Di cosa parliamo quando diciamo grenache (o garnacha, o cannonau), in Italia? La settima varietà più diffusa al mondo riesce ad esprimersi con grande personalità lungo la Penisola, e non solo in Sardegna. Regione per regione, come cambia la grenache e quali vini vi consigliamo.
Era l’anno scorso a Grenaches du Monde, concorso annuale e itinerante dedicato alla tipologia: ricordo bene quando a Gandesa, nel cuore della Denominación de Origen Terra Alta, in Catalogna, il relatore di un convegno spiegò le motivazioni che lo portavano a sostenere quanto la locale garnacha fosse certamente originaria della Spagna e in particolare delle sue coste meridionali. Gli stessi motivi che, l’anno prima ad Alghero, avevano portato un altro relatore a sostenere l’esatto contrario, che il cannonau non potesse cioè essere nato che in Sardegna, isola da cui poi si sarebbe diffuso in tutto il bacino del Mar Mediterraneo.
Grenache, garnacha, cannonau. Sono sono alcuni dei tanti nomi con cui è conosciuta la settima varietà più diffusa al mondo, famiglia di vitigni simili tra loro capaci di adattarsi come pochi altri e quindi in grado di restituire vini spesso molto diversi in base al luogo in cui vengono coltivati e successivamente vinificati.
Una varietà importantissima, capace di imporsi nel panorama mondiale per personalità e forse, capace di rappresentare, come scrive il giornalista Giuseppe Carrus, “una valida terza via tra i prestigiosi vini di Bordeaux da una parte (capitanati dal cabernet sauvignon e dal merlot che hanno dato origine ai tagli bordolesi nel mondo) e i vini della Borgogna che in tanti sognano di poter imitare coltivando il prestigioso pinot noir”.
Se le origini della grenache non sono universalmente accettate, le prove a sostegno della paternità sarda appaiono tuttavia quanto mai convincenti: recenti scavi archeologici hanno portato alla luce vinaccioli risalenti addirittura al XII secolo a.C., scoperta che potrebbe mettere la parola fine a ogni possibile rivalsa.
Quella che è certa, e tale rimane, è la grandezza dei vini che provengono non solo dalla Sardegna ma anche dai sud della Spagna e dalla Francia, ampie regioni in cui questa varietà ha trovato la migliore casa possibile. Non solo però, anche all’interno dei confini italiani e oltre quelli sardi riesce a esprimersi con personalità: in Toscana, in Liguria, in Veneto, in Umbria e fino alle Marche la grenache (o per essere più precisi, quelle varietà riconducibili geneticamente alla sua famiglia) viene coltivata con nomi e con esiti molto diversi tra loro, sempre di grande interesse.
Cannonau in Sardegna
Parlare di grenache in Italia significa inevitabilmente parlare di cannonau, vitigno simbolo della Sardegna che copre il 30% della superficie vitata della regione per un totale di circa 7600 ettari complessivi. Una varietà che viene coltivata su tutto il territorio regionale -anche se la maggiore concentrazione si trova nelle zone centrali dell’Isola, in particolare nell’area del Nuorese e dell’Ogliastra- e che inevitabilmente porta a espressioni molto diverse tra loro, in base non solo alla provenienza ma anche allo stile di vinificazione. In linea generale ne deriva un rosso potente ed elegante al tempo stesso, caldo, dai chiari rimandi mediterranei, tanto gastronomico quanto profondo e longevo.
Vini da assaggiare: il “Mamuthone”, Giuseppe Sedilesu (Mamoiada, Nu), il “Barrosu”, Giovanni Montisci (Mamoiada, Nu), il Cannonau di Pusole (Baunei, Nu), il “D53” di Cantina Dorgali (Dorgali, Nu), il “Dule”, Giuseppe Gabbas (Nuoro), lo “Josto Miglior”, Antichi Poderi (Jerzu, Og), il Cannonau di Antonella Corda (Serdiana, Ca), il “Tenores”, Dettori (Sennori, Ss), il liquoroso “Anghelu Ruju”, Sella & Mosca (Alghero, Ss).
Grenache in Liguria
La storia della grenache in Liguria non è cosa recente, pare infatti che già a partire dal XVIII secolo fosse presente grazie ad alcune famiglie che, commerciando con la Spagna, l’avevano importata nel savonese. La granaccia, come viene chiamata in zona, porta a vini di bella profondità giocati sull’intensità della frutta scura, succosi e saporiti.
Vini da assaggiare: Granaccia, Durin (Ortovero, Sv), Granaccia, Innocenzo Turco (Quiliano, Sv).
Grenache nel Veneto
Nel vicentino la locale grenache porta il nome di tai rosso, vitigno probabilmente arrivato nella zona dei Colli Berici in quanto dono alla locale curia, i cui emissari erano spesso di passaggio ad Avignone, in Francia. Varietà che nelle interpretazioni più interessanti porta a vini di particolare freschezza e fragranza, non di rado caratterizzati da una lieve mineralità, dinamici e gustosi (nonostante di recente si stia provando anche a valorizzarlo in versioni più strutturate).
Vini da assaggiare: Tai Rosso “Vigneto Riveselle”, Piovene Porto Godi (Toara di Villaga, Vi), Tai Rosso, Daniele Portinari (Alonte, Vi), Tai Rosso, Pegoraro (Barbarano Mossano, Vi).
Grenache in Toscana
Diffusa in particolare modo in Maremma, sembra che la grenache sia arrivata in Toscana durante la dominazione spagnola. L’alicante, come viene chiamata in regione, porta a vini pieni, morbidi, solari, di buona profondità.
Vini da assaggiare: “l’Alicante”, Ampeleia (Roccatederighi, Gr), il “Querciolaia”, Mantellassi (Magliano, Gr).
Grenache in Umbria
In Umbria la grenache prende il curioso nome di gamay perugino, ovviamente da non confondersi con quello ben più famoso della Borgogna. Qui, sulle sponde del Lago Trasimeno, ai confini con la Toscana, un pugno di aziende lo vinifica da anni in rosso e più recentemente anche in rosato. Ne deriva un vino tanto gentile quanto generoso, mai eccessivamente ricco, molto piacevole nella beva.
Vini da assaggiare: il “C’osa” di Madrevite (Castiglione del Lago, Pg), il Gamay “Etichetta Bianca” di Duca della Corgna (Castiglione del Lago, Pg) e il “Due Colli” di Conestabile della Staffa (Magione, Pg).
Grenache nelle Marche
Da un antico vigneto scoperto alcuni anni fa da Eleonora Rossi e Marco Casolanetti e da cui è stato prelevato il materiale per alcuni dei successivi impianti della zona si è sviluppato un piccolo fenomeno: il bordò, come viene chiamata la grenache nelle Marche, viene infatti oggi vinificato da poche aziende in quantità poco più che confidenziali, tutte vocate alla qualità. Vini sfaccettati, dinamici, profondi anche nella stoffa e raffinati nella tessitura, di particolare longevità. Vini splendidi (e dai prezzi altrettanto importanti).
Vini da assaggiare: il “Kupra” di Oasi degli Angeli (Cupra Marittima, Ap), il “Cinabro” de Le Caniette (Ripatransone, Ap), il “Rossobordò” di Valter Mattoni (Castorano, Ap) e “La Ribalta” di Pantaleone (Ascoli Piceno).
[Immagini: Jacopo Cossater (in apertura: vallata vitata nella zona di Terra Alta, in Catalogna)]