Il prezzo del caffè sta aumentando e, se non si trattasse di una reazione temporanea, repentina e estemporanea, del tutto slegata dall’intenzione di alzare l’asticella della qualità in uno degli ambiti gastronomici più bistrattati in Italia, ci sarebbe da rallegrarsene.
Ammesso e non concesso che il prezzo del caffè stia aumentando, beninteso. Perché al netto delle (numerose) segnalazioni su varie città italiane, che hanno fatto notizia e immediatamente allertato il Codacons, a 48 ore dalla riapertura degli esercenti è difficile parlare di cambiamenti.
In ogni caso, sono bastati i segnali di un ritocchino sull’espresso al bar, coincidente, guarda un po’ con la fine di un lockdown rovinoso per le attività commerciali, a far scoppiare la rissa tra apocalittici e integrati del caffè verde, ad accendere il dibattito tra riluttanti negazionisti della filiera del caffè, il forcone alla mano contro la minaccia della soglia dei 90 centesimi a tazzina superata, e gli illuminati, dall’altra parte, che ricordano le proprie ragioni da sempre sbandierate, indicando il giusto prezzo finalmente raggiunto sfilando sul carro del vincitore.
Rissumendo: il consumatore entra in un bar e trova la tazzina a 10 o 20 centesimi in più, il Codacons spara l’allerta e l’Istituto Espresso Italiano in tutta risposta evidenzia il gap sul caffè al banco tra gli altri paesi e il nostro; finalmente, era l’ora che si ragionasse, fanno eco i baristi della filiera di qualità, i torrefattori e i baristi dello Specialty, mentre il consumatore di cui sopra continua a indignarsi e a sperare che questa cosa del rincaro del caffè abbia le ore contate, che sia una sorta di “Supplemento Covid-19” aggiungo allo scontrino, come stanno facendo negli Stati Uniti.
È forse questa la disputa a cui abbiamo sempre sperato di assistere? Ci mettiamo dalla parte di quelli del “caffè di qualità”, noi che del giusto prezzo della tazzina abbiamo sempre parlato e del rito dell’espresso italiano candidato all’Unesco dobbiamo ancora capacitarci, facendo parte di un Paese che reitera, tradizionalmente, il caffè al ribasso. E magari bruciato.
“Purché se ne parli”, dice il saggio (ubriaco), ma ammesso e non concesso che l’asticella del prezzo salga di uno scalino, stabilizzandosi, ipotizziamo, sull’euro e 20 centesimi (rendiamoci conto che così non sarà e che il consumatore qualunque può mangiare tranquillo), vogliamo veramente ridurre il posizionamento del caffè al dibattito sul prezzo della tazzina? Laddove per “tazzina” intendiamo quella qualunque, che tipicamente gli integralisti del buon caffè, quelli che la tazzina l’hanno sempre messa a listino sopra l’1,30 euro, ritengono scarsa, mal servita, sbagliata fin dalla piantagione e probabilmente odorosa di muffa
Se il prezzo del caffè si alza, oggi, è per la disperazione degli esercenti che non sanno come pagare l’affitto, che attendono ancora la cassa integrazione dal Governo, non certo perché durante il lockdown hanno deciso di spendere di più in detergenti per le macchine e formazione dei baristi.
Non c’è nulla di cui gioire, né tantomeno evincere da ciò che sta accadendo una vittoria culturale, o tirare un sospiro di sollievo perché “almeno qualcosa si muove”.
Senza considerare gli effetti collaterali di questo, eventuale, cambiamento: se il caffè del bar Da Lello d’ora in poi costerà 1,30 euro, l’espresso come si conviene ora potrebbe raggiungere i 2 euro, di base. Sarebbe coerente: un innalzamento del prezzo generale e proporzionato, considerando pure che la tazzina qualunque, quella che additeremo come “di scarsa qualità”, dovrebbe comunque costare più di 90 centesimi. Ebbene, in quel caso nessuno pagherà un caffè 2 euro, se chi era già appassionato di caffè, perché non è avvenuta alcuna rivoluzione culturale per giustificare tale disposizione a spendere in quella che poi, in fondo, è una tazzina.
Quanto costa una tazzina di caffè?
Quantificare il costo medio di una tazza presuppone di dover fare innanzitutto un distinguo sulla natura della materia prima. Nella parola caffè facciamo rientrare tutta una serie di prodotti, dal più scadente allo specialty, con una forbice sul prezzo al kg estremamente variabile. Per fare i conti della serva abbiamo chiesto aiuto a Davide Cobelli, formatore e microroaster con una lunga militanza dietro al bancone di un bar.
Per i prodotti più scadenti i prezzi a scaffale in GDO si aggirano sui 4/5 Euro al kg, fino ad arrivare ai 21 Euro per uno specialty coffee di buona qualità. Se poi si parla di eccellenze e rarità il prezzo ovviamente aumenta. L’estrema forbice sul prezzo del caffè verde è legata alla provenienza della materia prima, ma anche a come è selezionata e processata.
I caffè più dozzinali sono spesso vecchi di anni, stoccati in magazzino e immensi sul mercato seguendo le logiche di una commodity. In questi casi si parla di prodotti che potremmo definire un compendio sui difetti, questi caffè presentano infatti tutta una serie di alterazioni della materia prima dovute alle ragioni più disparate, che sinteticamente possiamo attribuire alla zona di provenienza, alle condizioni in cui avviene la raccolta e alla conseguente fase di stoccaggio. Quindi insomma, se ho una caffè di bassa qualità, non faccio alcuna cernita e lo stocco per lungo tempo in condizioni pessime, avrò un caffè verde con evidenti difetti dovuti a contaminazioni microbiche e di natura ossidativa ad esempio.
Perché una tazzina non può costare 1 al banco (anche se è mediocre)
Questi 5 Euro al kg in GDO diventano 10 quando parliamo di somministrazione, quindi canale Ho.Re.Ca. Stiamo sempre parlando di caffè dozzinali, in questo caso il prezzo al kg aumenta sensibilmente perché al costo della materia prima vanno aggiunti i costi di affitto delle attrezzature (macchina espresso, macinadosatore, addolcitore), che normalmente sono cedute in comodato d’uso gratuito (che gratuito non è) dalle grandi torrefazioni a chi fa somministrazione, contestualmente alla stesura di contratti che impongono al gestore di utilizzare esclusivamente il caffè oggetto del contratto.
Ipotizziamo di avere un locale non molto grande, con un dipendente, che lavori mediamente 1 kg di caffè al giorno, principalmente durante la mattinata e di far pagare questo caffè 1 Euro (ivati). Sottraiamo l’iva, che come sappiamo è un’imposta che grava sul consumatore finale e che di fatto non è un ricavo per il gestore, portiamo la nostra tazzina a 0,909 centesimi.
Da 1 kg di caffè si estraggono circa 140 tazze, quindi 7 centesimi il costo della materia prima. A questo dobbiamo aggiungere lo zucchero, circa 1 centesimo, e il contenitore. In questo periodo il take away sta andando parecchio e per ogni caffè si parla di circa 12-15 centesimi tra bicchierino, coperchio e paletta di plastica. In caso contrario dovremo lavare tazzine e cucchiaini ovviamente. Siamo a circa 23 centesimi e dobbiamo ancora considerare tutta una serie di costi fissi.
Immaginiamo di avere un dipendente assunto a tempo pieno (che a noi costa circa 2 mila euro al mese) e ipotizziamo che questo dipendente sia di fatto impegnato nella preparazione del caffè per circa 4 ore al giorno (il resto del tempo chiaramente sarà impegnato in altre attività, quindi non imputeremo le restani ore al costo della tazzina). Ci costerà poco più di 12 Euro all’ora, quindi circa 48 Euro per quattro ore, che spalmati per i nostri 140 caffè sono circa 34 centesimi.
Poniamo poi il caso che l’affitto del locale ci costi 1500 euro al mese, si tratta di 50 Euro al giorno, quindi di 25 considerando le sopracitate 4 ore di servizio, che divise per le nostre 140 tazzine sono circa 18 centesimi a tazza. Sommando queste tre voci arriviamo a 75 centesimi a tazza, e dobbiamo ancora aggiungere energia elettrica, acqua, gas e i prodotti necessari per la manutenzione e pulizia delle attrezzature (detergenti, anticalcare). Il ricavo lordo per ogni tazza si aggira sui 16 centesimi, quindi circa 22 euro su 140 tazze. È una cifra ottimista peraltro perché non tiene conto di alcuni costi che non siamo riusciti a quantificare, ed è di fatto un ricavo ridicolo e insostenibile, anche quando si parla di prodotti di scarsa qualità, di servizio poco attento e di personale poco pagato.
Quanto cosa un caffè di qualità
Se invece parliamo di caffè e servizio di qualità ci sono almeno 3 voci che fanno schizzare in alto il costo a tazzina. Innanzitutto la materia prima, che aumenta al kg di almeno il doppio. Inoltre chi sceglie di lavorare caffè di qualità e di selezionare autonomamente i prodotti, acquista anche le attrezzature necessarie. Non esistono comodati d’uso per il mondo dello specialty, chiunque faccia un lavoro basato sulla qualità della materia prima acquista anche macchine espresso, macinadosatori (magari più di uno), addolcitori. Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di investimenti che viaggiano nell’ordine dei 10- 12 mila euro (che ammortizzerà in 4 anni)
Poi ci sono i costi per la formazione del personale e dello stesso titolare magari, imprescindibili se si vuol fare qualità, formazione che si traduce con una maggiore preparazione e competenza del personale, che va giustamente retribuita.
Costi | Voce | |
Caffè (10€/kg) | 0,07 | |
Zucchero | 0,01 | |
Takeaway | 0,15 | |
Costo personale | 0,34 | |
Affitto locali | 0,18 | |
TOTALE SPESE | 0,75 | |
Prezzo vendita IVATO | 1,00 | |
Prezzo senza IVA | 0,909 | |
Ricavo lordo per tazzina | 0,159 | |
Ricavo per 1kg caffè venduto | 22,4 € | |
Ricavo da parte del dipendente nelle 4 ore di servizio: | 24€ |
Alla luce di tutto questo: è forse considerando queste singole voci che il caffè “minaccia” di aumentare il proprio prezzo al banco? Il caffè deve costare di più, ma non per la disperazione improvvisa dei commercianti. Il caffè deve costare di più perché se lo paghiamo meno di 1,10 euro c’è qualcosa che non va in quello che stiamo bevendo.