Abbiamo parlato di difetti in tazza e del concetto di specialty coffee. Abbiamo anche capito come fare la moka perfetta e rivalutato la Robusta, ma per bullarci davvero e ostentare sicumera manca una parte essenziale del puzzle: quella sui metodi di lavorazione del caffè (quindi parliamo di caffè naturale, lavato, o semi-lavato), che ogni vero nerd conosce e che, per vostra fortuna, ho provato a strizzare in questo pezzo.
Cosa vado blaterando? Mi riferisco alla fase del processo che precede la tostatura, quella che avviene dopo il raccolto nei paesi d’origine e che è di fondamentale importanza per ottenere chicchi di qualità e sensorialmente interessanti. Un bel po’ dei difetti e pregi che troviamo in tazza sono legati a questa fase, mi sembrava carino scrivere un altro spiegone in merito insomma.
Prima però dobbiamo capire a cosa ci riferiamo quando pronunciamo la parola caffè. Quale parte della pianta utilizziamo, e come si presenta? Il chicco è in realtà il seme di una drupa, un piccolo frutto simile a una ciliegia, verde quando acerbo e rossastro (il colore in realtà varia in funzione della varietà) una volta raggiunta la maturazione. La drupa contiene due semi, protetti da una specie di pellicola e racchiusi all’interno di una membrana chiamata pergamino. All’esterno, tra la buccia e i semi, troviamo la polpa, una sorta di “mucillagine” composta da (semplifico) acqua, zuccheri, acidi.
Drupa è il termine utilizzato in botanica per descrivere tutti quei frutti dotati di buccia esterna, polpa interna più morbida e seme. Sono drupe le ciliegie, le pesche, l’oliva e appunto il caffè. Il chicco tostato è appunto il seme- privato di buccia, polpa, pellicola e pergamino- contenuto all’interno delle drupe.
Ed è proprio su come eseguire questo processo di estrazione e separazione del seme da tutto ciò che lo ricopre che si aprono diversi scenari.
La scelta del metodo dipende da vari fattori legati al contesto e ai mezzi a disposizione per svolgere tale processo, alla filosofia produttiva e al profilo sensoriale che si sceglie di dare al caffè. Qualunque sia il metodo impiegato, se vogliamo parlare di qualità, le drupe dovrebbero essere raccolte al giusto grado di maturazione ed essere sane. Insomma, la prima cernita andrebbe fatta in pianta. Potremmo peraltro aprire una lunga parentesi su come eseguire la raccolta e su quanto anche questa fase sia determinante ma magari ne parleremo più avanti.
Oggi il pippone è su come estrarre e processare il seme della drupa, gettando uno sguardo sui metodi di lavorazione del caffè più noti e utilizzati. Dunque, cosa intendiamo per “caffè naturale” e “caffè lavato?”
METODO NATURALE (NATURAL PROCESS)
È il metodo più antico ed è solitamente molto utilizzato in paesi con clima asciutto e con carenza idrica. Le drupe vengono raccoglie, stese e lasciate asciugare in piazzali, patii o letti rialzati detti “african beds”. La fase di asciugatura è piuttosto lunga, può richiedere tra le 3 e le 4 settimane ed è necessaria per permettere ai chicchi di raggiungere il corretto livello di umidità (10-12%).
La drupa deve essere continuamente rimestata in modo da scongiurare derive fermentative indesiderate, attacchi fungini e garantire un’asciugatura il più possibile uniforme. Una volta raggiunto il giusto grado di umidità i semi vengono separati dal frutto con una macchina decorticatrice, selezionati a mano o con selettori meccanici, separati dal pergamino e imballati.
È un sistema che non richiede grandi risorse ed è utilizzato su grandi quantitativi di caffè (si, tutti quelli dozzinali), ma è errato pensare che un caffè processato con metodo naturale non possa essere di qualità. Si tratta sempre di come condurre il processo. Raccolta manuale o meccanica, spessore con cui si stendono le drupe a seccare e la cura nel controllare il processo di asciugatura fanno tutta la differenza del mondo ovviamente.
Un caffè processato con metodo naturale ha grande corpo e dolcezza, note fruttate (frutta matura, cotta) molto intense e sentori speziati. I cosiddetti terziari, un po’ come nel vino insomma.
LAVATO (WASHED)
Ha fatto la sua comparsa sul mercato attorno al 1850 per accorciare i tempi di asciugatura ed è tra i metodi di lavorazione del caffè verde più conosciuti. Differisce dal naturale in quanto il seme viene estratto dalla drupa e subisce una fermentazione prima di essere steso ad asciugare.
Se nel metodo naturale è fondamentale scongiurare fermentazioni indesiderate, nel cosiddetto metodo lavato si persegue invece questo obbiettivo. Le drupe raccolte arrivano ad una stazione di lavaggio, vengono immerse in vasche con acqua e vengono selezionati i frutti in base alla densità. Le drupe che galleggiano, segno di difetti del chicco, vengono eliminate.
Solo dopo questa prima selezione si procede alla fase di spolpatura che può avvenire meccanicamente o a mano. I chicchi spolpati ancora ricoperti di uno strato di mucillagine e avvolti nel pergamino vengono nuovamente inseriti in vasche dove avviene la fermentazione malolattica, una fermentazione batterica che trasforma un acido, il malico, in un altro acido, il lattico. Il processo può avvenire in presenza o assenza di acqua.
Terminata la fase di fermentazione si sciacquano i chicchi, si stendono su patii o piazzali e si procede all’asciugatura, operazione che dura in media tra gli 8 e 10 giorni. Una volta raggiunto il corretto grado di umidità si separano il seme dal pergamino e il caffè verde è pronto per essere confezionato. È un metodo largamente utilizzato sull’arabica, ed è molto più oneroso rispetto al metodo naturale.
Un caffè lavato ha maggiore acidità, minor corpo e un po’ meno dolcezza del naturale. Il profilo aromatico dei caffè lavati è solitamente pulito, con note floreali e fruttate fresche.
SEMI-LAVATO (PULPED NATURAL O HONEY PROCESS)
Sperimentato inizialmente in Costarica con lo scopo di migliorare la qualità, si è diffuso in centro e sud America ed è oggi largamente utilizzato nel mondo degli Specialty. Sfrutta in parte la tecnica del lavato ma evita di fatto la fermentazione, riducendo significativamente i consumi idrici.
Le drupe vengono immerse in acqua, selezionate e spolpate da una macchina, i semi così ricoperti da mucillagine e pergamino vengono fatti asciugare al sole o in essiccatoi (per 8-10-15 giorni, dipende). Successivamente il seme viene separato dal pergamino, selezionato e imballato.
Anche il profilo sensoriale è una sorta di compromesso tra i due metodi. Un semilavato ha maggiore corpo e dolcezza del lavato (ma meno del naturale). I nasi sono un compendio sui fruttati.
Esistono poi variazioni sul tema, basate sulla quantità di mucillagine che si sceglie di eliminare prima dell’essicazione e sul tempo di essicazione del seme. Con il termine Yellow, Red e Black Honey ci si riferisce a queste variabili. Quantità di mucillagine e tempi di asciugatura si riflettono sul profilo sensoriale del seme, quindi su corpo, acidità e aromi. In foto tre esempi di honey process.
E anche il Bignami di questa fase del processo è fatto, mi ringrazierete quando ci vediamo.