Voi non siete Robustofobi, ma. Istintivamente mettete nel carrello la 100% Arabica, ancor più se il prezzo è lo stesso di una miscela di caffè, con una percentuale di Robusta. Robusta contro la quale, sia chiaro, non avete problemi. Vostro cugino ha un amico che consuma quotidianamente moka di robusta e voi non lo avete mai giudicato. Le differenze non vi spaventano.
Andiamo, siete donne e uomini del vostro tempo. Eppure vi sentite intimamente rassicurati da quell’enorme cartello nel bar di quartiere. ARABICA, dice. Chissà, se in virtù di quel conforto siete persino disposti a pagare di più, senza nemmeno sapere, in cuor vostro, cosa cambi tra arabica e robusta.
Ci stiamo prendendo gusto, smontare dogmi sedimentati sotto strati di polvere di caffè inizia a piacerci. Dopo avervi suggerito di lavare la moka, sprezzanti per pericolo, oggi vi spieghiamo perché dovreste smettere di pensare al “100% arabica” come al gotha del gusto. Sì, questa è un’arringa in difesa della Robusta.
Snoccioliamo, una per una, le differenze tra Arabica e Robusta, al di là dell’aspetto più sinuoso (allungato, ovale) della prima e di quello rotondetto, con solco tendenzialmente dritto, del secondo chicco.
Botanica
Entrambe appartengono alla famiglia delle Rubiacee, genere Coffea, e sono le due specie coltivate in modo intensivo: insomma, Arabica e Canephora (o Robusta) monopolizzano il mercato. Pur condividendo la stessa famiglia sono molto diverse da un punto di vista botanico, sono coltivate in zone differenti e in diverse condizioni climatiche. Hanno un diverso modo di resistere all’attacco di parassiti e malattie e sono differentemente produttive. Semplificando, la Robusta cresce ad altitudini più basse, a temperature maggiori, è più produttiva e resistente; l’arabica cresce ad altitudini maggiori è più sensibile agli attacchi esterni e meno produttiva.
Gusto
Clima, territorio e DNA si traducono in caratteristiche sensoriali e quindi in un risultato in tazza completamente diverso. Generalmente, una robusta ha più amaro (quindi più caffeina), astringenza, corpo e profili aromatici meno interessanti, mentre un’arabica è più dolce, fresca, caratterizzata da un corpo più esile, maggiore pulizia e complessità
Questa generalizzazione ci ha convinti che basti parlare di Arabica per definire qualcosa di qualitativamente superiore. È in parte vero, in effetti il profilo sensoriale di una Robusta anche se di buona qualità può risultare disarmonico e sbilanciato su alcune spigolosità, ma nel fare queste considerazioni ne ignoriamo almeno un altro paio che andrebbero considerate.
Qualità del chicco (?)
In questa foto ci sono due Arabica, non credo serva essere esperti per fare considerazioni in merito alla qualità della materia prima. Pensare che basti pronunciare la parola per essere certi di bere qualcosa di eccellente non ci mette al riparo da pessimi caffè, tutt’altro.
Dimentichiamo infatti che una variabile fondamentale di qualunque prodotto agricolo è quella legata alle filosofie produttive, alle scelte agronomiche e di processo. Le stesse che negli anni hanno evidentemente spostato attenzioni ed investimenti in qualità sull’Arabica, dimenticandosi quasi completamente della Robusta.
Nella definizione di Specialty Coffee, i caffè “speciali”, quelli “di qualità” per antonomasia perché definiscono la qualità stessa, in centesimi, la varietà robusta non è nemmeno contemplata. Ciò non significa che non possano esistere Robuste con buone caratteristiche. Anzi, proprio per la sua maggiore rusticità e resistenza, verrebbe da pensare alla Coffea canephora come a una specie su cui investire, complici gli ormai evidenti problemi dovuti al cambiamento climatico, che certo non risparmiano il caffè.
La qualità non è solo questione di specie botanica insomma, ma di controllo di filiera e di valorizzazione del prodotto in base alle sue peculiarità.
I protocolli di valutazione
La robusta non sarà mai Miss Mondo? E va beh, può sempre diventare Miss Muretto. Se l’Arabica sfila sotto i nasi dei q-grader, sottoposta a rumorosi cupping per ottenere altissimi cup score – ve la facciamo breve, mentre l’arabica e soltanto lei può ottenere il vessillo dello Specialty Coffee – pure la sfighella un po’ più in carne – robusta, nomen omen, ha il suo concorso di bellezza.
La “Fine Robusta” esiste.
Ce lo dicono quegli agricoltori che promuovono pratiche agronomiche virtuose, i roaster che scelgono di utilizzare Robusta di qualità, e ce lo dice anche il Coffee Quality Institute (che lavora di concerto con SCA), che dal 2010 propone un programma specifico per stabilisce protocolli di valutazione sensoriale che, da un lato si pongono l’obbiettivo di creare un linguaggio comune, dall’altro formano professionisti in grado di individuare Robusta di buona qualità.
Nel loro “Fine Robusta Standards and Protocols”, originariamente redatto in collaborazione con l’Uganda Coffee Development Authority (UCDA), vengono appunto stabiliti i criteri e gli attributi sensoriali con cui approcciarsi all’assaggio della Robusta, tenendo conto del fatto che è appunto una specie botanica diversa dall’Arabica e che quindi va valutata in base alle sue peculiarità.
Una “Fine Robusta” non deve avere sentori quali terra, medicinale, fumo, paglia, polpa di caffè, fungo, peperone verde. Insomma non deve avere difetti cosiddetti primari, ma un profilo aromatico il più possibile pulito. L’amaro, più presente che in una Arabica, deve essere bilanciato con la dolcezza. Si tiene conto ovviamente anche del maggiore corpo e del bilanciamento globale delle sensazioni. Secondo il protocollo CQI per parlare di Fine Robusta il punteggio finale assegnato dal Q-Grader (in questo caso con formazione specifica sulla Robusta) dev’essere maggiore o uguale agli 80 punti.
L’apporto nella miscela
Ricapitolando, sbagliamo a fare considerazioni assolutiste sulla superiorità di una specie rispetto all’altra e questa cosa si ricollega ad un altro errore, cioè quello che ci porta a fare paragoni tra due specie così diverse. Ma sbagliamo anche quando ci dimentichiamo che alcune peculiarità sensoriali di una buona Robusta, come l’acidità moderata, il corpo e la persistenza più sostenute, sono tra le caratteristiche sensoriali che spesso ci piacciono di quello che definiamo lo stile italiano dell’espresso.
Insomma se è vero che una buona Robusta non può avere quella finezza e complessità aromatica che troviamo in Arabica di qualità, è pur vero che alcune caratteristiche della Robusta contribuiscono ad arricchire un sorso, aggiungendo corpo e persistenza. Nell’espresso, ma non solo.
Ne sono evidentemente convinti anche alcuni dei roaster che abbiamo selezionato nella nostra guida ai caffè da comprare on line, qualche esempio?
– Paolo Sminone, aka His Mjesty The coffee, ci propone Vitoria, un 100% Robusta a fermentazione anaerobica. Quale miglior modo per rivedere i nostri preconcetti?
– Le Piantagioni del Caffè ha pubblicato proprio recentemente sul sito aziendale una sorta di manifesto in difesa della Robusta. La potete trovare in ben tre diverse miscele;
– Anche Caffè Terzi utilizza Robusta, sia in miscela che in purezza.
– Troviamo Robusta anche in alcune miscele di Little Bean.
– Garage Coffee Bros ha selezionato un Kaapi Royale per la sua miscela bar Fratelli.
– Trovate Robusta anche in alcune miscele di Etna Roaster.
Insomma cercatele, assaggiate e ricredetevi.