Le innaturali tinte verde brillante che tanto spopolano nelle pinte e nei boccali a St. Patrick’s non fanno certo parte dell’ampio spettro cromatico proprio della birra: eppure vi vediamo, che cercate “birra verde san patrizio” su Google. Ma cosa sono, esattamente, le birre verdi?
Perché, vedete, la birra verde di per sé non esiste (ossia: non è ottenibile naturalmente usando gli ingredienti tipici, acqua, malto d’orzo, luppolo, lievito). Allora perché spopola nell’immaginario collettivo quando si parla della caratteristica festività irlandese? Da dove deriva l’idea?
Date le origini della ricorrenza, si penserebbe che l’usanza di tingere i boccali di nuance smeraldine si ricolleghi a qualche antica tradizione dublinese. Ma è davvero così? E come viene ottenuto il colore?
La dura verità: come si fanno le birre verdi
Per avere risposta, facciamo un passo indietro e partiamo dalle abitudini di consumo del popolo irlandese. Che birra si beve, in Irlanda? Se non avete vissuto dentro a un buco per gli scorsi 400 anni, lo sapete bene: Irlanda uguale stout. Birra nera. Per gli amici, semplificando, “una birra tipo Guinness”.
E com’è possibile allora che una birra scura e impenetrabile venga tinta di verde? Semplice: non è possibile!
La birra verde, infatti, non ha nulla a che vedere con le stout.
Il colore verde viene ottenuto aggiungendo colorante alimentare blu alla birra finita: questo, interagendo con la colorazione giallo-dorata tipica delle lager industriali e in genere delle birre chiare, dà luogo alla tonalità finale.
Perché sì, sono le birre chiare che vengono usate per produrre le schiere di boccali verdi tanto in voga ogni 17 Marzo: e questo ci porta ad un’altra conclusione, ossia che le birre verdi non hanno direttamente nulla a che vedere con l’Irlanda.
Come sono nate le dannate birre verdi
L’idea di produrre birre verdi per San Patrizio è infatti generalmente accreditata all’inventiva del medico legale Prof. Thomas H. Curtin, che per la prima volta produsse nel 1914 una birra verde per festeggiare San Patrizio nel bar del club Schnerer di New York, di cui era socio e maestro di cerimonie.
Si legge sull’Evening Independent del 26 Marzo 1914: “Il giorno di San Patrizio viene sempre celebrato, al Club Schnerer, con una grande cena sociale tenuta presso la loro clubhouse. […] Tutto ciò che era possibile decorare, è stato tinto di verde o con ornamenti di tale colore, e durante il banchetto sono stati cantati canti irlandesi e servita birra verde. No, non in un bicchiere verde, ma vera birra verde in normali bicchieri trasparenti! La birra verde è una scoperta del Dott. Curtin, medico legale di lungo corso. Tutto ciò che il Dottore ha dichiarato a chi chiedesse, è stato che l’effetto è generato da una goccia di tintura di Blu di Prussia dispersa in una certa quantità di birra”.
Bisogna innanzitutto considerare che il blu di Prussia sia tossico (ferrocianuro di ferro): non abbiate paura, però, oggi la birra verde è prodotta con coloranti alimentari di altra natura.
Resta comunque il fatto che quella di consumare birra verde a San Patrizio sia quindi un’usanza creata da americani di origini irlandesi, e non un’autentica tradizione dell’Isola di Smeraldo: in altre parole, è tanto “irlandese” quanto possano essere italiane la chicken parmesan o le broccoli linguini Alfredo.
Essa fa parte del nostro immaginario collettivo perché, messa in circolo dall’industria americana del cinema, dell’intrattenimento, del marketing, ha acquisito la potenza necessaria a convincere il mondo del fatto che in Irlanda la birra verde del 17 Marzo sia un must; quando invece a Cork, Derry e Dublino lasciano volentieri le lagerone color pisello a statunitensi, francesi e italiani affollati negli Irish pub, applicandosi piuttosto di buon grado al consumo di dry stout.
Vi consigliamo di fare lo stesso: dopotutto una goccia di colorante non aggiungerà nulla, alla vostra birra, se non l’illusione di far parte di una tradizione che non esiste… La cremosità, gli aromi torrefatti e la secchezza di una Irish stout, invece, potrebbero darvi per qualche minuto l’illusione della felicità.