Se la bandiera dei Quattro Mori nei bar di tutta Italia e oltre si è fatta appannaggio della birra industriale, stuzzicando il senso di appartenenza e orgoglio insulare proprio della Sardegna, c’è una birra artigianale sarda che punta a fare la differenza attraverso la filiera e quindi le materie prime. Il malto, prima di tutto, e poi il luppolo, diventano i due punti fermi da cui partire, fin da una nuova agricoltura “birraria”, ora incipiente sull’isola, per andare a definire una birra sarda per davvero, oltreché artigianale e indipendente.
La birra artigianale in Sardegna: il punto nel 2024
Sono 43 i birrifici artigianali sull’isola (60, considerando i beer firm, ovvero i brand di birra craft che producono conto terzi, presso birrifici a loro volta indipendenti), per 4 milioni di litri prodotti nel 2022. Numeri emersi e discussi durante l’Exmé Beer Festival 2024 svoltosi lo scorso weekend a Nuoro, festival di riferimento per il settore e sostenuto da Coldiretti, che sostiene si possano implementare questi dati con la creazione di una filiera Made in Sardegna. Filiera agricola che si manifesta non solo nella coltivazione di quelli che sono gli ingredienti base della birra, ma anche in quelli aggiuntivi, caratterizzanti, come il fico d’india, o la pompia, agrume endemico del territorio.
L’orzo sardo: come funzionerà
Restando sulle materie prime basali, la Sardegna sta investendo 1,5 milioni di euro per i produttori di orzo locali, oltreché 1 milione per sostenere i birrifici artigianali. Un passo notevole per una Regione che ha storici problemi di approvvigionamento e, nondimeno, in Paese che come l’Italia, che importa il 60% del proprio fabbisogno di orzo distico (quello atto alla produzione brassicola, per indendersi, che nella Penisola si attesa sui 24 mila ettari di coltivazione).
La coltivazione di orzo distico sardo parte dalla cooperativa Isola Sarda, già produttrice di foraggio per il bestiame locale e grano per pasta (il marchio è Oro Sardo), che si è attivata con 70 ettari destinati alla maltazione. La raccolta è prevista per fine giugno e gli obiettivi sono chiari. Li spiega Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana: abbattere i costi per i piccoli produttori, chiaramente, sempre più soggetti ai cambiamenti climatici e agli squilibri geo-politici, la guerra in Ucraina in primis. Poi, pagare di più i coltivatori e ridurre notevolmente l’impatto ambientale. Infine, rendere i birrifici artigianali indipendenti anche nella filiera, capaci di auto-approviggionarsi. Spiega Schizzerotto: “In assenza di malterie sufficentemente capienti in Sardegna, il processo di maltazione passerà per la Penisola e il prodotto finito sarà stoccato nella cooperativa, a disposizione dei singoli produttori di birra che, man mano, ritireranno il malto necessario”. E il malto necessario corrisponde a 2.000 quintali: è quanto si dovrebbe ottenere dai 2.800 quintali previsti dai 70 ettari coltivati. Il tutto sarà distribuito tra i 19 birrifici aderenti al Consorzio Birra Italiana, nell’ottica futuribile di creare un marchio dedicato alla filiera brassicola sarda. “Un domani si potrà investire su una malteria sarda, ma bisogna partire dall’orzo”, conclude.
I birrifici artigianali sardi che maltano da sé sono due, Marduk e Birra Lara, mentre piccole e incipienti coltivazioni di luppolo si fanno strada. Eccezioni che valgono la pena di essere citate. In provincia di Cagliari c’è Brass – Luppoleti Sardi, prima realtà nel suo genere in Sardegna, mentre Birrificio Agricolo Agritto e i sopra citati Marduk e Birra Lara coltivano direttamente il proprio luppolo.