Alleluia! Da oggi anche in Italia esiste la birra artigianale.
Non che prima mancasse, intendiamoci, ma la legge su produzione e commercio, risalente al 1962, classificava la birra a seconda del livello di grado Plato (livello zuccherino del mosto prima della fermentazione): ragione per cui avevamo birra analcolica, birra leggera e così via fino alla birra doppio-malto.
Una legge che non faceva distinzioni tra le birre in base all’identità del contenuto: caro consumatore, io legislatore non te lo dico se la birra che bevi è artigianale, industriale o ancora peggio industriale spacciata per artigianale. E che nessuno si permetta di farlo al posto mio.
Non a caso nel 2011 il micro-birrificio pescarese Almond 22 si becca una multa dal ministero delle Politiche Agricole per via della dicitura “Birra Artigianale” apposta nell’etichetta dei suoi prodotti.
In definitiva: mezz’Italia beve birra artigianale, ma per la legge non esiste e nessuno sa di preciso che cos’è. Assurdo.
Dopo il via libera al Senato, il 13 gennaio scorso Giuseppe Collesi, presidente della Tenute Collesi di Apecchio, insieme al Comune del paesino in provincia di Pesaro e all’Associazione Nazionale Città della Birra, presenta alla Camera dei Deputati in Commissione Agricoltura una proposta di legge che in questi giorni è stata approvata rinnovando la legge del 1962 e introducendo finalmente la sospirata definizione di birra artigianale.
Eccola:
“Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”, per citare l’emendamento approvato“.
COSA SUCCEDE ADESSO?
Intanto, l’industria per tradizione brutta e cattiva, spesso colpevole di risparmiare sugli ingredienti di qualità (tagliando il malto d’orzo con cereali che costano meno come il mais, per dirne una) e costretta per dare stabilità ai prodotti a sottoporli a pastorizzazione o a micro-filtrazione, processi che oggettivamente ne abbassano il livello qualitativo, non può definire le proprie birre artigianali.
Benché il limite di 200.000 litri di produzione annua indicato dalla legge finisca per tutelare più i birrifici artigianali di dimensione media che i microbirrifici.
Ma da Senato e Camera dei Deputati non arrivano solo buone notizie.
Dal primo Gennaio 2016, dopo una serie di aumenti reiterati che avevano costretto molti produttori di birra artigianale a rivedere all’insù i prezzi, già non esattamente popolari, provocando un piccolo crollo nei consumi con conseguente distruzione di posti di lavoro, le accise sono salite a 45 centesimi per ogni euro di birra.
Uno sproposito, visto che l’imposizione fiscale non fa differenza tra microbirrifici e grandi industrie né tra volumi di produzione.
Ebbene, la legge approvata dalla Camera non riduce le accise per i micro birrifici, anche se Chiara Gagnarli, portavoce del M5stelle che ha proposto la norma, sostiene che gli sgravi fiscali per i piccoli produttori di birra sono il prossimo obiettivo.
[Crediti | Link: La Cucina Italiana, Repubblica]