Continua a fare caldo e sto per suggerirvi bevande per integrare i sali minerali, esatta equazione direi.
Con la birra artigianale spiegata bene, guida agli stili birrari di Dissapore con annessi consigli per gli acquisti, ci siamo spostati in Belgio (e qui staremo per un po’). Vi porto dove alcolicità contenute e freschezze gagliarde sapranno combattere calura e smisurata sete. Sto parlando di lambic e delle sue variazioni sul tema.
Già mi tremano le ginocchia, sarà ansia da prestazione o fame? Nel dubbio spilucco pane e mortazza.
La storia del Lambic
L’Alberto Angela che è in me suggerisce un incipit che mi auguro calzante. In questa storia non ci sono reperti su cui ipotizzare un passato parecchio diverso dal presente, ma opere ben conservate e funzionanti.
I Lambic sono l’emblema della tradizione, un frammento di antichità sopravvissuta a omologazioni del gusto, tecnicismi produttivi e sciroppose scorciatoie. Vive e si nutre (letteralmente) dei luoghi e delle pratiche di chi sa preservarne l’identità e oggi rivendica con fierezza la bandiera della spiccata acidità al grido di “*brettato è buono!” (ricordate, vi devo la spiegazione di brettato).
Il teatro di questo scenario è l’area che si estende tra Bruxelles e la vallata del fiume Senne, il Pajottenland. Ed è il medioevo a portare agli albori della cronaca le prime tracce di questo fermento che, nella pratica, mostra similitudini con altri racconti contenuti in questa rubrica (Gose, Berliner weisse, Saison, ad esempio).
Affidarsi a fermentazioni spontanee e tenere a bada inacidimenti, nasi formaggiosi o sentori di cantina non era certo inconsueto, ma la naturale conseguenza di procedure che non si sapevano gestire diversamente. I Lambic non fanno eccezione.
L’eccezionalità va letta oggi, in barba ad un Pasteur qualunque, nella volontà di preservare queste pratiche, di affermare una sorta di identità territoriale e di valorizzare la conseguenza di questa spontaneità nel bicchiere.
Spontaneità incompresa e maltratta a lungo. Se nei primi del ‘900 lo scenario Bruxellese era disseminato di centinaia di realtà, quello attuale sopravvive grazie alla tenacia di pochissimi protagonisti.
Sono circa una decina le realtà odierne (per lo più assemblatori che acquistano i lambic da terzi), tra questi solo Cantillon, Girardin e Drie Fonteinen continuano a produrre rispettando i dettami della tradizione che impone loro di non ricorrere a scorciatoie, come il raffreddamento forzato dei mosti, rispettare gli andamenti stagionali (producendo solo nel periodo invernale) lasciando alla flora microbica locale il compito di svolgere la magia.
Per tradizione prodotti e consumati in purezza, o miscelati con zuccheri direttamente nel locale di mescita (Faro) oppure rifermentati con aggiunta di ciliegie o lamponi (Kriek e Framboise) per ammansire acidità e sentori olfattivi di difficile approccio, hanno vissuto anni di grande impopolarità e declino.
Malamente scimmiottati con sciroppi di frutta o pastorizzati (come nel caso dei Faro) sopravvivono nelle loro espressioni tradizionali grazie all’incredibile fascino che, da una decina d’anni a questa parte, esercita tutto ciò che fa rima con acidità.
L’opera evangelica di alcuni ambasciatori in un momento storico in cui i palati dei birrofili erano più aperti all’isolito ha contribuito alla rinascita e successo di questi nettari.
Notorietà arrivata con il prodotto di più recente concezione. Un blend (assemblaggio) di diversi lambic rifermentato in bottiglia chiamato Oude Gueuze (o Oud) su cui ci soffermeremo tra un po’. Prima dobbiamo capire quale sia la base di tutto e quali caratteristiche abbia.
[*Brettato: dicesi di prodotto con sentori di Brett, un diminutivo di Brettanomiceto, ovvero un lievito, ma che dico lievito, Brett è ormai una star indiscussa in fatto di fermentazioni spontanee (e non) per il suo modo così originale di mangiarsi gli zuccheri e restituirci sentori che vanno da un fruttato a una buccia di salame. Ci piace un sacco questa sua arroganza].
Le caratteristiche del Lambic
Qui ci siamo dati delle regole e tentiamo di rispettarle, certo con i lambic il concetto di stile è un tantino fuori posto. I lambic sono appunto, lambic, ovvero il risultato di una fermentazione spontanea in cui l’elemento flora microbica locale diventa firma di tipicità.
È prodotto a partire da orzo e frumento non maltato, oltre all’immancabile luppolo, in questo caso invecchiato (pratica che gli consente di perdere il potere amaricante conservando le utili proprietà antisettiche e conservarti), detto surannes.
Per farla breve: il mosto (ciò che non è ancora birra), viene pompato in vasche poco profonde e dalla superficie molto estesa, solitamente poste nei sottotetti dei birrifici.
Qui raffredda con lentezza e viene spontaneamente inoculato dai microrganismi presenti nell’ambiente circostante. Una volta avviata le fermentazione viene trasferito in botti dove sosterà per il tempo necessario (si parla di mesi o anni, in funzione del prodotto cui sarà destinato).
Il risultato di quanto contenuto in ogni singola botte è un lambic e si esprime nel bicchiere all’incirca così:
ASPETTO: da giallo pallido a dorato intenso, l’azione del tempo (e l’ossigeno) ossidano la bevanda che tende a scurire. Anche la limpidezza è variabile. Le versioni più giovani sono spesso torbide mentre le più vecchie sono in genere più limpide. Schiuma e carbonazione (anidride carbonica) assenti. Il lambic non è rifermentato e si presenta piatto.
AL NASO: ogni luogo, ogni annata, ogni botte (e il momento in cui la si utilizza) sono a sé. Generalizzando, il naso è un susseguirsi di note lattiche, eventualmente acetiche, terrose, animali (qui è dove vi suggerisco di annusare una sella di cavallo sudata) di cantina e fruttate/agrumate con intensità variabili in funzione dell’età del lambic.
IN BOCCA: spiccata acidità, buona attenuazione (secchezza), amaro da basso a nullo e alcolicità contenuta (5.0 – 6.5% vol).
Fino a qualche anno fa si trovavano solo nei pressi di Bruxelles ma oggi è possibile assaggiarli anche in Italia in qualche locale specializzato (al Lambiczoon a Milano, al The Dome a Bergamo, al Drunken Duck nel vicentino, al Macche a Roma, ad esempio). Raramente vengono imbottigliati, di solito li trovate alla spina.
Sono anche i meno popolari a dire il vero, nonostante siano la base per produrre le variazioni sul tema che stanno furoreggiando ovunque. Quindi, se volete capire da dove si parte, un assaggino didattico io lo farei.
Oude Gueuze – Lo Champagne di Bruxelles
Ci sono così tante similitudini con il mondo del metodo champenoise che quasi non le conto. Dall’assemblaggio dei lambic (la base spumante) alla rifermentazione in bottiglia, dalla marcata acidità ai lunghi affinamenti in legno.
Il prodotto più recente ha saputo riaccendere i riflettori sul mondo delle fermentazioni spontanee a tal punto da rendere necessarie azioni per tutelarne la tipicità.
Le Gueuze (o Geuze in fiammingo) oggi sono regolamentate e protette da un disciplinare.
Quando ne acquistate una, sinceratevi che contenga la menzione Oude, Oud (o Vieille) in etichetta. Saprete di assaporare un blend di (2 o più, solitamente 3) annate diverse di lambic, in cui il più vecchio deve avere sostato almeno 3 anni in botte.
È stato probabilmente l’unico risultato di Horal, associazione di produttori nata per tutelare i lambic e i prodotti a base lambic tradizionali, ma che in realtà ospita esempi in antitesi con il concetto di tradizione.
Una vicenda controversa che ha spinto Cantillon, il più prestigioso e integerrimo tra i produttori, a chiamarsi fuori dai giochi.
Cosa aspettarsi nel bicchiere? Un nettare secco, dalla carbonazione sostenuta e il naso di complessità variabile.
La percezione di freschezza (acidità) è enfatizzata dalla bolla, la mano del birraio nel fare la miscela; la seconda fermentazione in bottiglia (o fusto) e il fatto che stiate bevendo qualcosa di giovane o vecchio, arricchiscono e ingentiliscono il naso dei sentori più disparati.
A questi si sommano ovviamente i tratti di rusticità olfattiva tipica dei lambic.
Kriek e Framboise – I Lambic alla frutta
Ripetete con me: i lambic alla frutta non contengono sciroppi ma frutta vera. La sintetizzerei così l’infelice deriva di alcuni produttori che ha trasformato queste birre in qualcosa che assomiglia a succhi dolciosi e gasati.
Tradizionalmente prodotti a partire da lambic a cui vengono aggiunte rispettivamente ciliegie, una varietà piccola e aspra chiamata Griotta (le Kriek) e lamponi (Framboise), mantengono e talvolta enfatizzano il carattere acido dei lambic ma ne ingentiliscono i sentori olfattivi. Secche, spiccatamente acidule, molto frizzanti, ai sentori di ciliegia e lamponi appunto.
Oltre alla frutta della tradizione, esistono altri entusiasmanti esempi di lambic alla frutta (il sodalizio frutta-birra impazza nelle produzioni più disparate, ma ne parleremo più avanti).
Faro
È un lambic a cui viene aggiunta una miscela di zuccheri, acqua (e lambic). Tradizionalmente veniva miscelato direttamente nei locale di mescita, oggi viene solitamente preparato all’interno del birrificio. Se ne trovano esempi pastorizzati in bottiglia. Pratiche che gli hanno fatto perdere molto del suo fascino.
Le migliori birre a base Lambic
Non esiste lambic fuori dal Belgio e non è solo una questione di pratiche produttive, ma di legame indissolubile con una storia e un territorio. Ci sono ottimi esempi di fermentazioni spontanee anche in Italia, ma nessuno tra gli estimatori e produttori si sognerebbe di chiamarle lambic. Di quelli parleremo presto, la cernita di oggi è fatta nell’unico paniere possibile, quello belga.
Definire un prezzo è complicato, molto dipende dalla nomea del produttore, dalla tipologia del prodotto e dall’annata magari. L’apertura mentale in questo caso non è utile solo per approcciarsi ad acidità sostenute e nasi naif, ma anche per alleggerire il portafogli consci di stare assaggiando un pezzetto di storia (che il vil danaro a volte può comprare).
Lambic
Grand Cru Bruocsella – Cantillon
Probabilmente l’esempio in bottiglia più facilmente reperibile. Talvolta erano serviti giovani (il passaggio in legno non superava i 6 mesi) come prodotti di più facile approccio.
Vi suggerirei di provarli alla spina, in questo caso non è così raro trovare esempi di altri produttori o assemblatori in versioni più giovani.
Oude Gueuze
Gueuze 100% Lambic – Cantillon
E va beh. Facciamo prima a dire cosa non vi consiglierei. Vi posso dire che la mia percezione è che negli anni le chicche di Jean Van Roy (birraio, o meglio, deus ex machina di Cantillon) si siano ingentilite, pur conservando il rigore di ferro legato della tradizione.
Oud Gueuze – Drie Fonteinen
A sud di Bruxelles ha sede questa piccola realtà che oggi acquista Lambic (un tempo produceva anche) assembla e mette in bottiglia chicche con uno stile che mi piace assai. Apprezzo la sferzante irruenza acida delle produzioni giovani e i suoi nasi cesellati e tutto sommato composti. Potreste regalarmene una paletta, per dire.
Gueuze – Boon
Potrebbe essere un buon modo per introdurvi in questo mondo senza schiaffeggiare troppo papille e neuroni olfattivi e portafoglio.
Kriek
Kriek 100% Lambic – Cantillon
150 kg di ciliegie in botti della capienza di 650 litri. Direi che la proporzione frutta- lambic è cospicua. Il risultato va provato.
Schaerbeekse Kriek – Drie Fonteinen
Un altro bel esempio di tradizione al naso ciliegioso è quello confezionato da 3 Fonteinen. Prodotta con le varietà tradizionale di ciliege (le griotte di Schaarbeek).
Kriek Lambiek – De Cam
Tradizione anche nella versione prodotta dall’assemblatore De Cam.
Framboise
Rosé de Gambrinus – Cantillon
Dalle cigliegie ai lamponi, altro capolavoro di casa Cantillon.
Framboos – 3 Fonteinen
Realizzata sporadicamente, la produzione più recente è stata imbottigliata nel 2014 e messa in commercio l’anno successivo. Qualche esemplare si trova anche qui (basta cercarla nei luoghi giusti).
Framboise – Boon
Frank Boon fu il primo birraio a rispolverare la storica usanza di preparare queste birre nel periodo estivo (era il ’76). Prodotta con il 30 % di lamponi freschi, esprime il meglio di sé in gioventù.
Potrei suggerirvi altri assaggi, ma scommetto che anche a voi è venuta sete. Ne stappiamo una, che dite?