Qualcuno di voi conosce la birra artigianale perché conosce il Baladin, qualcun altro sorseggia IPA da una lattina di Crak e impugnandola completa il proprio outfit. A chi conosce entrambi i birrifici potrebbe interessare questo articolo, che tratta brevemente di come due aziende che in comune hanno solo una denominazione sociale (“Birrificio Agricolo”, ndr.) e una categoria merceologica possano passarsi un testimone pesante in termini di immagine.
Perché oggi, alla luce di un comunicato ufficiale di Crak, che ribadisce e “fortifica” il proprio concetto di indipendenza dall’industria, ho pensato: ecco, questo è il Baladin degli anni ’20.
Crak da oggi è più indipendente di ieri: la notizia è che questa è una notizia
La notizia è di quelle irrilevanti, di per sé, ma poiché ormai gli astuti birrai di Campodarsego riescono a far parlare di sé anche stando fermi a fissare le ombre spostarsi e poiché questa testata ha un onere chiarificatore, la diffondiamo.
Con una lunga nota su Facebook, ripresa sul sito aziendale, il birrificio ha annunciato che da oggi in poi distribuirà direttamente le proprie birre, rinunciando al lavoro degli intermediari che, come accade nella quasi totalità dei casi quando si tratta di birra artigianale, si occupano di commerciare e trasportare il prodotto finito ai locali.
Si tratterebbe di un banale comunicato stampa capace di attirare unicamente l’attenzione degli addetti ai lavori, se non fosse stato anticipato, settimane fa, da un annuncio dell’annuncio: il 22 febbraio 2020 avrebbero “infranto le regole”, promettendo importanti novità riguardo il futuro del birrificio.
In quel momento, alcune voci di corridoio già da tempo esistenti si sono fatte rumorose: le teorie sulle scelte imprenditoriali di un’azienda che si era fatta strada con successo (e che forse stava stretta a se stessa) sono diventate le più disparate. Noi, alcuni rumors, li abbiamo messi nero su bianco, descrivendo un articolatissimo quanto fantasioso scenario, uno dei tanti che ci sono stati riferiti come certi o pressoché tali, sicuramente il più interessante: se Crak avesse ceduto i diritti della propria distribuzione a una multinazionale avrebbe “infranto le regole”, mantenendosi artigianale, mettendo a nudo un bug legislativo mostruoso, espandendo di fatto i propri orizzonti.
Dopotutto, Crak non ha mai negato, nemmeno a noi, di aver venduto alcunché all’industria: i no comment ci sono parsi un campanello d’allarme. Invece erano un rischio calcolato, evidentemente, uno degli elementi considerati nella costruzione di una trovata mediatica impeccabile.
Il risultato? Articoli sulla stampa locale e specializzata, centinaia di condivisioni entusiastiche per un post social che senza le stesse premesse avrebbe a malapena interessato il risentimento di cinque distributori, non certo clienti e appassionati di birra artigianale in genere, oggi giustamente sollevati dalla “scelta” di Crak: restare artigianale e anzi, accorciare la filiera.
Lasciamo agli addetti ai lavori ogni considerazione su pregi e difetti della filiera estesa, evitiamo altresì di fare i conti in tasca al birrificio valutando i margini di guadagno derivati da un’operazione del genere. Concentriamoci sul fatto che questa non è una notizia e che, complice la bagarre (creata in parte anche da noi), lo è diventata. Nel nostro lungo articolo à la Dagospia, per la verità, avevamo azzardato anche quest’ipotesi, che riportiamo:
Ipotesi 2: la burla
Cr/ak ha messo in giro le voci sulla propria cessione per aumentare il buzz intorno a sé, prima di annunciare, una volta esploso il caso, che era tutto uno scherzone architettato per lanciare con massima risonanza un nuovo locale, un colossale crowdfunding, un’ulteriore espansione indipendente. Applausi.
Controparte: hype a palla e street credibility alle stelle, premio della critica per la metaironia.
Crak è il Baladin del 2020
Il Baladin aveva bisogno di un erede, diciamocelo. Essere pionieri di un movimento, diventare il più grosso birrificio artigianale italiano, differenziare con bicchieri e prodotti premium e mantenere alta, al contempo, la soglia d’attenzione degli appassionati di birra non deve essere facile. E Teo Musso, l’uomo del Teku, l’ultima sfida non l’ha certo vinta, cedendo il passo degli stili più contemporanei e delle pinte più desiderate ai birrifici di seconda e terza generazione, tra i quali però, fino a Crak, era difficile scorgere un “erede”: un produttore artigianale abbastanza prospero, riconoscibile e capace di far parlare di sé da farci tirare un sospiro di sollievo.
Crak che fa incetta di premi a Birra dell’Anno 2020 (là dove vinse, nel 2018, afferrando il testimone che nel 2017 era del Baladin), Crak trendsetter, che ha portato la birra buona in lattina all’attenzione della stampa italiana per il suo design, sulle stesse pagine che 20 anni fa analizzavano la forma e l’estetica di una bottiglia di birra sconvolgente, a partire dal prezzo. Crak che apre tap-room bellissime in Veneto e ci organizza i super-concerti, vicino alle bottaie, altro tratto distintivo dello storico birrificio piemontese. Ma soprattutto. Crak che fa parlare di sé tra un migliaia di birrifici attivi senza fare, poi, chissà che (sapete, c’è un’abbondante rassegna stampa di qualche anno fa a proposito della birra che fermenta “ascoltando” la musica, attraverso le cuffie). Poi c’è la distribuzione diretta, certo: Selezione Baladin esiste da almeno 10 anni e fa capo ovviamente al birrificio; non pare essersi dimostrata una cattiva scelta imprenditoriale.
Le birre, quelle sono completamente diverse: Baladin ha continuato a fare delle belgian ale il proprio cavallo di battaglia, nonostante le IPA si siano fatte strada in maniera sempre più trasversale, mentre Crak nasce con il preciso intento di farci trovare le differenze tra i dry hopping. Ma a maggior ragione, Crak è figlio (e emblema) del proprio tempo.
C’è ancora un fattore che accomuna i due birrifici, e che mi fa pensare siano più simili di quanto possa sembrare: una certa dose di antipatia che suscitano, forse perché entrambi hanno il vizio di stare alle proprie regole, comunicando alle proprie regole scelte capaci di far discutere o forse perché, semplicemente, il successo non si perdona.