Ognuno ha il proprio punto di vista sulla birra artigianale, sempre diverso da quello dell’altro, ognuno ha la propria preferenza, il proprio impazzimento.
Guardiamo allo stile con curiosità, Pils, Bock, Trappista, Weisse, IPA, Lambic… ma mentre i gusti cambiano i luoghi comuni resistono: i falsi miti a volte sembrano macigni inamovibili.
Per non adeguarsi serviva un post di Dissapore sui falsi miti della birra artigianale che riprendesse il buon lavoro fatto dal sito americano First We Feast, avvalendosi di esperti veri, forse un po’ di parte (sono produttori, publican e sommelier).
Qualcuno vi sembrerà la scoperta dell’acqua calda, altri vi sorprenderanno o vi faranno adirare come è accaduto alla sottoscritta.
1) La birra deve costare poco
I prezzi delle birre artigianali sono esagerati. Okay, però diciamolo: non possiamo pretendere che costino come qualunque Pils industriale.
Partiamo da lontano. Calcolate che aprire un micro birrificio con una produzione annua di 300 ettolitri, tra macchinari e autorizzazioni, costa intorno ai 200mila euro. Vero, si potrebbe acquistare attrezzatura usata da micro birrifici dismessi, in questo caso bene che vada siamo intorno a 80mila euro.
Poi, in Italia c’è la simpatica questione delle accise sulla birra: oltre a essere sproporzionate, bisogna pagarle al momento della produzione. In sostanza, alla cieca.
Si producono birre da bere con calma, da meditazione e birre più facili per il sabato sera. Le prime richiedono sforzi ingenti da parte dei produttori, servono tempo e idee per realizzare ricette credibili e che abbiano mercato.
Resta comunque difficile giustificare una birra artigianale in bottiglia a 15 euro nelle pizzerie, su questo avete ragione, ma è un errore associarla a un prodotto semplice che deve per forza costare poco, mettiamocelo in testa.
2) Più alto è il tasso alcolico migliore è la birra
Prima che le birre artigianali riuscissero a stupire a tal punto da diventare moda, anche in Italia raramente sfioravano la soglia dei 5°.
Questo perché nelle percezione comune la birra doveva essere leggera, fresca, disimpegnata. Di solito, di tipo pils. Forse solo l’America ha fatto peggio di noi, abituandosi a birre di bassissima gradazione alcolica.
Negli ultimi vent’anni invece, abbiamo visto il grado alcolico della birra salire a dismisura, toccare e sfondare la doppia cifra. Questo cosa significa?
Più alcol è uguale a più sapore? Oppure ci siamo invaghiti del lato più estremo della birra?
Rispetto a una IPA, India Pale Ale, cioè la birra facile da conservare che il governo inglese destinava all’India (ma sarebbe falso mito anche questo) caratterizzata da un tenore alcolico dai 5,5° ai 7°, stando ad alcuni esperti, le Imperial IPA (cioè le IPA con un grado alcolico tra i 7° e i 9°) hanno un gusto più fine.
In particolare, le Imperial Stout (birre create dagli anglosassoni per rinvigorire i viaggiatori verso la Russia, gradazione alcolica 9-10°) hanno sapori più marcati e memorizzabili rispetto alle altre.
Non tutti sono d’accordo, per altri intenditori le birre più aromatiche si attestano tra i 4° e i 6°: esempi lampanti sono le bitter inglesi, le tedesche, le birre acide belghe ora molto di moda. Piacciono, sono ricche di aromi senza per questo farci scivolare dallo sgabello del bar.
3) La birra in lattina non è all’altezza della birra in bottiglia
La birra in lattina viene discriminata a priori. La prima lattina alcolica risale al 1935, prodotta dalla Gottfried Krueger Brewing Company.
Un successo istantaneo, facile capire perché: il trasporto è più semplice, i costi di stoccaggio calano, il rischio delle bottiglie rotte si azzera. Ma lo sappiamo, l’occhio vuole la sua parte.
Ragione per cui la lattina è stata sempre discriminata rispetto alle bottiglie: alte, slanciate, scimmiottature smorfiose di quelle da vino. Più snob rispetto alla goffa lattina.
Dal 2002 in poi qualcosa è iniziato a cambiare: in America appaiono le prime artigianali in lattina con vendite confortanti. In Italia è la recente Pop di Baladin a mettere definitivamente al bando l’apartheid dell’alluminio.
In realtà le lattine sono fantastiche, assicurano una bevuta fresca e disimpegnata, attirano meno raggi ultravioletti (la luce è nemica dell’alcol) rispetto alle bottiglie. Che sono da preferire invece per la possibilità di tappo in sughero e gabbietta metallica, ottimi in caso di invecchiamento.
Una lattina difende meglio la birra dai suoi nemici: ossigeno (con il quale la birra si ossida) calore e luce. Fa un lavoro migliore della bottiglia, da preferire soltanto se si prevedono tempi di bevuta rapidi, ma possibilmente scura e spessa.
4) La freschezza della birra è sopravvalutata
I fatti: Anheuser-Busch, nel 1996, è stato il primo birrificio a stampigliare la data di scadenza sulle bottiglie. Fu un putiferio: davvero la birra poteva andare a male? In effetti, molto dipende da come si conserva, oltre che dal tipo di birra.
Sono numerosi gli appassionati che apprezzano molto le birre invecchiate, specie alcune che per caratteristiche si prestano meglio di altre all’invecchiamento.
Il consiglio è di lasciare che invecchino le birre a gradazione alcolica molto alta, in modo tale da permettere ai luppoli di sprigionare tutti gli aromi primari.
5) Le birre ricche di luppolo sono tutte amare
Durante la preparazione della birra i cereali (malto compreso) vengono triturati e fatti macerare, in modo da ottenere un mosto fine, lontano progenitore della nostra bevanda. Durante la bollitura del mosto si aggiunge il luppolo (per chi possiede il kit di malto luppolato: l’operazione è già fatta).
Il luppolo è un’infiorescenza che, di solito, conferisce alla birra il tipico sapore amarognolo, oltre a un notevole bouquet di aromi primari e secondari. La resina apporta il sapore amaro, gli olii essenziali del fiore infondono gli aromi.
Oggigiorno sono centinaia le varietà di luppolo utilizzate nelle birre artigianali, attribuendo unicità e differenze apprezzabili.
In definitiva, tutto dipende dalla varietà di luppolo (esistono i luppoli da aroma, i luppoli da amaro e gli ambivalenti), e anche dal momento in cui il luppolo viene aggiunto. All’inizio della fermentazione aggiunge amarezza mentre se si unisce negli ultimi 15 minuti della bollitura conferisce aromi.
L’amarezza del luppolo andrebbe rapportata alla dolcezza del malto usato. Alle birre con un residuo di malto zuccherino basso, il luppolo apporta aromi più amari. Nelle birre ricche di malto il luppolo agisce da catalizzatore, bilanciando i sapori. Le Barley wine inglesi sono un’ottimo esempio.
6) I lieviti rendono la birra acida
Stiamo parlando dei lieviti, spesso riportati in etichetta, dal nome proibitivo ridotto per comodità a “brett”.
Nella birra sono visti in genere come portatori di difetti legati all’acidità. Molti birrifici americani usano i brett per produrre delle Saison e delle Ale particolari, ispirati alle birre acide belghe, Cantillon in testa (marchio belga che ha sviluppato un seguito di culto).
In pratica i brett mangiano gli zuccheri della birra, e più a lungo lo fanno più la birra diventa secca e acida (ma l’acidità non dipende solo dai brett, anche da batteri lattici e tutta una serie di altri microrganismi).
Anche in questo caso è importante il momento in cui il lievito viene a contatto con la birra. Se inoculato all’inizio della prima fermentazione, si limita ad aggiunge soltanto un carattere lievemente aspro.
[Crediti | Link: Dissapore, First we Feast, Il Sole24Ore]