Bere 35 bicchieri di vino al mese fa bene al cuore: siamo sicuri?

Perché dobbiamo a tutti i costi scovare nel vino benefici per la salute che ne giustifichino il consumo? Il caso dei 35 bicchieri al mese "fanno bene al cuore", uno studio virale.

Bere 35 bicchieri di vino al mese fa bene al cuore: siamo sicuri?

Ebbene sì, bere vino fa bene al cuore: lo conferma la scienza. Probabilmente nei giorni scorsi vi sarà capitato di leggere la notizia di uno studio, finalizzato dall’Università di Barcellona e pubblicato sull’European Heart Journal il 18/12/24, che ha messo in relazione il consumo di vino con l’efficacia nel prevenire malattie cardiovascolari (MCV).

Lo studio è giunto alla conclusione riportata da tutte le testate giornalistiche: un quantitativo di circa 35 bicchieri di vino al mese ha un discreto effetto sulla riduzione del rischio di sviluppare MCV. Un altro assist vincente donato al vino dopo le premurose parole del Ministro Lollobrigida il quale, come saprete, ha portato all’attenzione di tutti le terrificanti conseguenze derivanti dall’abuso di acqua. Ma è davvero tutto così semplice e lineare?

Acido tartarico e malattie cardiovascolari

vino rosso

Questo studio è una costola di una ricerca più ampia denominata PREDIMED (PREvenciòn con DIeta MEDiterànea), condotta in Spagna da ottobre 2003 a dicembre 2010 (più successivi periodi di follow-up) al fine di valutare l’impatto della dieta mediterranea sulle MCV.
7447 uomini e donne di età media pari a 68 anni, tutti soggetti ad alto rischio di MCV, si sono sottoposti alla ricerca PREDIMED. Tra coloro, 1232 soggetti sono stati selezionati per studiare l’effetto cardioprotettivo del vino; circa metà delle persone selezionate aveva già accusato una MCV durante la ricerca, mentre la restante parte e stata scelta in maniera casuale. L’operazione compiuta dalla Dr.ssa Inés Domínguez-López e dagli altri scienziati è stata misurare la quantità di acido tartarico presente nelle urine al tempo zero e dopo un anno, seguendo la dieta e le condizioni di salute dei pazienti attraverso monitoraggi clinici e questionari.

Perché determinare la concentrazione di acido tartarico? Perché questo, essendo presente nell’uva in discrete quantità, funge bene da biomarcatore del consumo di vino; non solo, ma pochi altri alimenti ne dispongono in quantità altrettanto apprezzabili (il tamarindo ne contiene un bel po’, ma non sono chissà quante le persone in Europa che sgranocchiano abitualmente dei tamarindi a fine pasto), determinando in pratica uva e vino quali fonti esclusive di questo acido.

La necessità di un biomarcatore misurabile è data dal fatto che i precedenti studi sugli effetti benefici del consumo di vino si basavano su informazioni auto-riportate da parte dei partecipanti. Tuttavia, per i più disparati motivi (non da ultimo, eventuali remore riguardanti il dichiarare un consumo di alcolici ritenuto socialmente eccessivo), la quantità di vino dichiarata rischiava facilmente di essere sottostimata. Di conseguenza, il biomarcatore si smarca agilmente dall’umana mendacità.

Questo è ciò che è emerso dallo studio: nel contesto della dieta mediterranea, un consumo leggero o moderato di vino è associato a un rischio inferiore di MCV; non solo, ma è stato chiarito anche che l’effetto benefico del vino viene annullato a fronte di un consumo eccessivo o anche, paradossalmente, pressoché nullo.

Per cui la scienza ha fissato in 35 bicchieri di vino al mese la quota medicamentosa di vino? Non proprio. Questa quantità non è scritta da nessuna parte nell’articolo scientifico, se non nell’estrema sintesi dell’abstract: lo studio ha individuato una diminuzione del rischio di MCV fra i soggetti i cui livelli di acido tartarico nelle urine erano di 3–12 µg/mL (corrispondenti a un consumo leggero di vino) e di 12–35 µg/mL (indicanti un consumo di vino fino a 1 bicchiere al giorno). Dunque si parla di 1 bicchiere al giorno. Ma anche assorbendo quanto espresso nell’abstract dell’articolo, andiamo da 3 a 35 bicchieri al mese. Tradotto: basterebbero già un paio di bicchieri ogni weekend per ottenere benefici. E, parallelamente, basta un consumo superiore a 1,25 bicchieri al giorno per rendere vano qualsiasi effetto benefico apportato dal vino, facendo crollare malamente il mito del singolo bicchiere di vino a pasto come fonte di salute.

Andando a fare le pulci a modo nostro allo studio, notiamo la mancanza di alcune fondamentali informazioni. Una è la quantità di acido tartarico presenti nei vini bevuti dai partecipanti, dato che questa concentrazione può variare da 4 a 10 g/L (si badi bene che queste sono cifre spannometriche: la quota di acido tartarico dipende dall’uva, dal suo grado di maturazione, dalla latitudine del vigneto, etc.). Per cui, a parità di quantità di tartarico nelle urine, possono corrispondere volumi di vino consumato assai differenti.

Un altra mancanza di questo studio è non indicare il volume standard con cui si intende una dose di vino. Stando agli studi sugli effetti dell’alcol, questa potrebbe essere individuata in 125 mL, ossia 1/6 di una bottiglia da 0,75L. Ma è una nostra speculazione, l’articolo scientifico non lo specifica.

Altro problema, di notevoli dimensioni a mio avviso, è parlare di vino in termini generali. Nelle conclusioni lo studio ipotizza che l’effetto cardioprotettivo sia opera dei composti bioattivi del vino, indipendentemente dall’etanolo. E i principali composti bioattivi del vino sono i polifenoli. Ebbene, la concentrazione di polifenoli varia molto da vino a vino: andando a spanne, andiamo da meno di 1 g/L per i vini bianchi a oltre 10 g/L dei vini rossi, ma ovviamente sono cifre con pochissimo senso: per ogni tipologia va considerata la varietà di uva, il tempo di macerazione, un eventuale passaggio in botte (e se questa è piccola o grande, se è di primo passaggio o quasi esausta), etc. È chiaro che bere un bicchiere al giorno di San Crispino bianco o di Sagrantino di Montefalco DOCG non potrà mai avere lo stesso effetto.

E allora il vino dealcolato, ci rende immortali?

Ma riprendiamo un concetto espresso poco fa, che magari ai più può essere sfuggito: nelle conclusioni dello studio si può leggere “la maggior parte degli studi supporta l’ipotesi che il vino e i suoi composti bioattivi conferiscano benefici indipendentemente dall’etanolo“. Signore, signori, mi sembra un qualcosa di adamantino: questo è un meraviglioso endorsement al vino dealcolato! Pensateci, se un bicchiere di vino al giorno può proteggere dalle MCV, figuriamoci un bicchiere di vino privato della sgradevole presenza dell’alcol eppure ancora ricco in contenuto polifenolico. Altrimenti cosa facciamo, promuoviamo il consumo di vino perché fa bene al cuore ma avversiamo il vino dealcolato, malgrado l’effetto benefico maggiore? Forse importa della salute del consumatore solo se la bevanda che consuma ha tradizione secolare?

Ministro Lollobrigida, osteggiare il vino dealcolato conviene all’Italia? Ministro Lollobrigida, osteggiare il vino dealcolato conviene all’Italia?

Ecco qui il punto assurdo di tutta la narrazione attuale sul vino: dover trovare a tutti i costi un beneficio salutare che ne giustifichi il consumo. L’effettiva e innegabile capacità cardioprotettiva e antiossidante del vino, non può mettere in secondo piano nel dibattito generale il fatto che, come ormai sappiamo bene, l’alcol etilico sia una molecola cancerogena e che non esista una soglia di consumo a rischio zero. Dunque, perché continuare a muovere le ragioni del consumo del vino sul binario dei soli effetti benefici, tralasciando quelli avversi e, al contempo, snobbando bellamente l’opportunità fornita dal vino dealcolato?

Perché non basare la comunicazione sul fatto che il vino, questa bevanda millenaria, straordinaria, versatile, affascinante e financo eucaristica e trascendentale, è semplicemente pazzesco da bere e che in Italia siamo parecchio bravi a farlo? Promuoverne i suoi benefici salutari minimizzando o negando effetti avversi (o peggio, millantando interessi secondari nell’Europa cattiva che dice che l’alcol fa male) è una strategia comunicativa priva di senso, tanto più che questa riguarda una semplice bevanda ricreativa. Il vino va bevuto consapevolmente, va compreso, va collegato al territorio da cui proviene e che gli ha dato determinate caratteristiche gustolfattive, va condiviso e va discusso. Non si cerca la salute in un calice di vino, si cerca la gioia.