Ahinoi, non è la prima volta che accade. Periodicamente, tra le offerte che si trovano in Autogrill, spunta fuori un Barolo a prezzi scontatissimi. Addirittura a 9,99 euro, notai recentemente, 12,99 euro “soltanto” in questi giorni. Anzi, pure meno, se si considera che con l’acquisto di due bottiglie si ottengono 5 euro di sconto in cassa. E tra le bottiglie stracciate, oltre a quello che dovrebbe essere il re dei vini piemontesi, anche il Brunello di Montalcino e l’Amarone della Valpollicella, entrambi venduti a 17,99 euro a bottiglia.
Il Barolo a 10 euro: roba da mettersi di corsa in macchina, imboccare l’autostrada e riempire il bagagliaio. Cosa che sicuramente in molti stanno pensando di fare (ristoratori compresi, ci scommettiamo).
Ma, come sempre accade quando i prodotti vengono venduti fuori prezzo di mercato, c’è sempre un ma da considerare. E in questo caso, il ma, è pure bello grosso.
Chi produce il Barolo low cost e perché è un problema
A produrre il Barolo low cost, in questi giorni in promozione negli Autogrill, è la Co.Tra.Pro. di Castiglione Falletto, che ci risulta essere in buona sostanza Terre del Barolo, cooperativa agricola piemontese (non nuova a questo tipo di operazioni) che quest’anno ha festeggiato un fatturato di 22 milioni di euro circa. Non male, in effetti, e quindi verrebbe da dire che imprenditorialmente hanno ragione loro.
E di per sé non c’è niente di male a vendere il proprio prodotto al prezzo che si preferisce: il libero mercato tutto sommato lo consente, nei limiti imposti dalle leggi, e non è certo la prima volta che assistiamo a operazioni di “sottocosto“, con prodotti utilizzati come “civetta” per attrarre i consumatori e sperare che comprino anche altro. Non crediamo tuttavia che sia questo il caso di Autogrill, per quanto chiunque entri nella spirale di corridoi delle stazioni di servizio italiane fatichi a uscirne senza almeno un pacco di Grisbì o di Tuc pagati cari e salati – ma voi, con 10 euro a disposizione, scegliereste i cracker o il Barolo? – .
Però ci sarebbe da discutere sulle opportunità e sulle conseguenze a cui porta questa scelta, quando di mezzo c’è una delle denominazioni più importanti d’Italia. Un vino che – per quanto Farinetti voglia farci credere che sia beverino e facile, con la chiara intenzione di venderlo al pubblico americano – è il re dei rossi piemontesi, e non soltanto. Un vino storico, prezioso, che porta alta la bandiera di un intero territorio e che costituisce un vanto per l’intera enologia italiana all’estero.
Un marchio, in fondo, che come tale smette in qualche modo di appartenere esclusivamente a chi lo produce (culturalmente, s’intende), e diventa patrimonio comune di un intero territorio. Dunque la scelta di (s)venderlo a un prezzo fuori mercato – almeno in una gestione ideale di una denominazione così di valore, non solo economico – andrebbe in qualche modo discussa, valutata, condivisa.
Perché vendere il Barolo sottocosto significa dare un’idea sbagliata di un prodotto intero, e non solo di quella singola bottiglia. Bottiglia che, nel bene o nel male, rappresenta comunque un’intera denominazione, fatta di un vino che è praticamente impossibile trovare altrove a quel prezzo. E invece, tra un Farinetti all’attacco del pubblico dei barbecue della domenica e una svendita dell’Autogrill, il rischio è che il pubblico perda l’orientamento, un po’ come dopo una bottiglia di Barolo bevuta fredda.