Avete mai sentito parlare, almeno ultimamente, di una competition per barman? Non per bartender in senso assoluto, intendo per barman maschi. Solamente bartender di sesso maschile per capirci. La risposta è ovvia: no. Avete sentito parlare invece di competition per sole barlady? Dai, avete già capito dove voglio arrivare.
Scrivo di bar (non solo di bar) ormai da qualche anno e spesso mi è capitato di raccontare competition, serate e cocktail list, tutte al femminile. Un modo per mostrare al mondo che quello del bartender non è più solamente un lavoro per uomini. Ci può stare, vista la storia di una professione che troppo a lungo ha visto impiegati in numero maggiore barman esclusivamente uomini. Ma anche una moda, un trend e una finta emancipazione che nel 2023 dovrebbero forse passare in archivio.
“Bartender è chi prepara e serve bevande di solito alcoliche in bar, wine bar, discoteche e simili”. Lo dice chiaramente l’Enciclopedia Treccani, sottolineando come questo sostantivo invariabile sia tanto maschile quanto femminile. Una parola unica, che elimina (o meglio ingloba) le altre due, rendendo il bartender una figura professionale totalmente slegata dal fatto di essere uomo o donna.
Siamo sicuri quindi che nel 2023 abbia ancora senso differenziare i barman dalle barlady, sia nella dizione sia negli eventi? A prescindere dalle connotazioni che vogliamo dare a questi due termini, perché dividere e scindere infatti una professione che ormai è diventata unisex?
“Barlady”: il parere di tre professioniste della bar industry
Ho chiesto un parere a tre amiche e stimate professioniste del settore: Chiara Beretta, Martina Bonci e Penelope Vaglini.
Chiara Beretta, Brand Ambassador Fine Spirits ed ex bartender
“Il termine barlady di fatto non esiste. Viene utilizzato come femminile di barman che è a sua volta scorretto e che viene utilizzato al posto di bartender, che è la forma esatta. E tutti i problemi cominciano proprio da questo errore di fondo. Perché bartender, come anche barista, sono di fatto neutri e pure termini gradevolissimi, e non si capisce per quale motivo non siano piaciuti alla storia recente. Il termine barista poi è stato relegato all’addetto alla caffetteria e ora suona come il giovane italiano sottopagato appena arrivato a Londra che lavora da Caffè Nero, con la r arrotondata all’inglese (baVRista).
Detto questo, per la necessità di nominare una donna al bancone si è cominciato a usare il fastidioso barlady, che non è mai piaciuto realmente a nessuna ragazza del bar. Per svariate ragioni. E poi perché Lady? Le donne del bar sono tipe toste: scarichiamo casse di bottiglie dai camion, lavoriamo fino a tarda notte, gestiamo un team variopinto. Questa specie di vezzeggiativo è fastidioso e fuori luogo.
Io sono certa di non averlo mai usato. E di pasticci linguistici nel mondo bar se ne sono fatti in quantità davvero sorprendenti. Pensiamo alla querelle ‘IL tequila VS LA Tequila’ che ha portato a mostri tipo ‘La Mezcal’. Nessuna bartender si è mai autodefinita barlady, quindi troverei molto carino sotterrare il termine insieme alla menta e alle altre spezie, per poi usarlo come garnish di un drink. Allo stesso tempo riesumerei il povero ‘barista’ maltrattato dagli eventi e proporrei una nobilitazione per chi non ama gli inglesismi, tema sempre molto attuale. Che lavoro fai? La barista. Semplice, no?“.
Martina Bonci, Bar Manager Gucci Giardino 25
“Il mio pensiero non si focalizza tanto sui termini barman, barlady, bartender, barista… Quando ho iniziato a fare questo lavoro, quando mi immaginavo da grande dietro al bancone, mi sono sempre sentita una barista e di conseguenza una professionista dell’ospitalità. Questo perché il mio obiettivo quotidiano è far star bene le persone, accoglierle e coccolarle toccando dei tasti della loro memoria, scatenando un’emozione e riportandoli a momenti specifici della loro vita. La mia polemica, se così vogliamo chiamarla, non è dunque tanto sul nome, ma sulla professione più in generale. Fino a qualche anno fa la distinzione fra barlady e barman serviva forse per comodità, per valorizzare la tipologia di discussione.
La cosa che mi dà più fastidio oggi, tuttavia, è che le persone fanno ancora fatica a categorizzare una donna come Bar Manager o comunque come figura di vertice, nel mio caso di un progetto così importante come il primo cocktail bar del mondo firmato Gucci. Non sapete quante volte mi è capitato di vedere la gente sorpresa dopo avermi chiesto dove fosse il Manager del locale o aver saputo che i drink appena degustati (e molto apprezzati) portavano proprio la mia firma. Secondo me dobbiamo cambiare la percezione ancora troppo comune che una donna non possa ricoprire un ruolo di leader ed essere rispettata dal suo team di lavoro, occupandosi del business di un’attività e non solo della sua fase operativa.
Forse sono un po’ troppo romantica, ma sogno un futuro in cui non ci siano distinzioni di sesso, fra barman e barlady, ma semplicemente uomini e donne con le stesse capacità. E proprio per questo motivo non amo le serate ricorrenti per sole donne, così come i concorsi per sole professioniste. L’emancipazione della donna al bar passa anche da questo concetto, dalla competizione fra bartender misurati in base al loro talento e non al loro sesso. Dov’è scritto che un bartender uomo è per forza migliore di una bartender donna?”.
Penelope Vaglini, co-founder di Coqtail Milano
“Partiamo dal presupposto che per me un termine non definisce quella che è la professionalità di una persona. Trovo piuttosto irrilevanti i recenti dibattiti sui nomi al maschile o al femminile, riferiti alle differenti professioni. Se penso per esempio alla mia figura, non è certo come vengo chiamata a definire infatti la mia professionalità: giornalista, imprenditore, imprenditrice… Per quanto riguarda però nello specifico la parola barlady, credo sia molto meglio usare l’espressione bartender.
Questo perché si tratta di un termine neutro, che non fa quindi alcuna distinzione di genere. Bartender è la parola che meglio si adatta alla descrizione e alla definizione di questa professione, non a caso parlando con tante attrici della bar industry viene spesso fuori come queste si sentano maggiormente rappresentate dal termine bartender. Vi faccio un esempio concreto: Carola Abrate, nota bartender di scena a Milano con la quale abbiamo realizzato vari progetti comuni per Coqtail Milano, ci chiede esplicitamente di essere definita bartender e non barlady. Insomma, abbracciare la parola bartender è senz’altro molto più significativo”.