Se è vero che gli Italiani fanno fatica a mandare giù il successo e la ricchezza altrui, figurarsi quanto possono odiare quelli che ci arrivano per diritto di nascita. Ammettetelo: quanto vi fanno rosicare i rampolli delle famiglie in vista?
E quando si parla di rampolli, nel settore enogastronomico, il pensiero vola dritto dritto ai tre giovani fratelli Farinetti, che di recente – e non senza sollevare un polverone di polemiche – hanno ereditato l’impero del food costruito da papà Oscar.
Di sicuro conoscete Nicola, il secondogenito, a cui nella spartizione dei pani e dei pesci è toccata l’amministrazione di Eataly. E prestissimo sentirete parlare di Francesco (il più grande) a cui è andato Green Pea, il nuovo progetto torinese dedicato all’ecosostenibilità.
Ma forse, nelle vicende Farinettiane, vi siete persi Andrea, il piccolino di famiglia, che di casa – e di lavoro – sta alla bellissima tenuta Fontanafredda, anche se preferisce non darsi un ruolo perché – dice – “non serve a niente”. Non servirà a nulla, ma intanto è lui che dirige la baracca.
Ci parli, con Andrea Farinetti, e capisci quanto debba essere costante il paragone con il padre. La voce, l’intonazione, l’entusiasmo, la capacità affabulatoria: tutto, in questo ragazzo del 1990, terribilmente appassionato di vino, ricorda suo padre. Per quanto lui lo neghi, è evidente che quel nome a volte è un peso da portare, un confronto da espiare con lo studio e la fatica sul campo.
Anche se non c’è dubbio che sia un campo già arato: a quattordici anni Andrea inizia a studiare enologia, a venti è già nelle tenute di famiglia, e a venticinque arriva a Fontanafredda, dove si innamora (“è un posto bellissimo – dice – come fai a non innamorarti?”) e lì resta fino a oggi, che di anni ne ha trenta. Nel frattempo, cerca di guadagnarsi il rispetto di chi lo vede solo come il “figlio di”, lavorando e portando a casa risultati. In un 2020 quantomeno bizzarro, Fontanafredda è “riuscita a tenere botta, grazie a una diversificazione del mercato e a una prima parte di anno che è andata molto bene, che è servita a portare un po’ di fieno in cascina”. Le previsioni di chiusura, ci dice il rampollo, non sono negative considerando i tre mesi persi: “Abbiamo davanti una possibile forbice che va da un -15 se siamo bravi a -un 20 se l’estero non si riprende”.
Noi però, abbiamo altre domande da porr a Farinetti jr (speriamo che siano le stesse che gli vorreste fare voi):
Come sei finito a Fontanafredda?
“Mio padre aveva provato a far seguire la strada del vino ai miei fratelli, ma niente. Con me aveva perso le speranze, e invece ho scelto la scuola enologica: pensavo fosse facile, ma è stata tosta e bellissima. Nel 2010 ho finito, e tieni presente che a fine 2007 avevamo preso Borgogno, e subito dopo Fontanafredda. Io andavo a studiare, ma in cantina c’era da fare e a un certo punto ho pensato: sai che c’è? Io vado a lavorare”.
E hai subito preso le redini di tutto, a soli vent’anni?
“Ma no, mi sono fatto un po’ di vendemmie, ho studiato, ho cercato di capire meglio il mondo del vino. Poi, da quest’anno, ho iniziato a occuparmi un po’ di tutto: diciamo che non ho scelto proprio l’anno giusto”.
E così fai il lavoro che volevi fare, giovanissimo, nella splendida azienda di famiglia. Immagino tu sia consapevole che la tua è una gran fortuna: come la vivi?
“Come vivi la fortuna alla mia età. Nessuno decide nella sua vita dove nascere né quando né in quale famiglia. Io ho avuto il culo la fortuna sfacciata di nascere negli anni Novanta, nella zona del Barolo e nella mia famiglia. Tutto ciò mi ha permesso di essere qui oggi: lo so che è un merito immeritato, che è una gran fortuna, e lo scopo dei miei prossimi quarant’anni di lavoro sarà quello di farmi perdonare questa fortuna”.
Il fatto di essere preceduti dal proprio nome è un ostacolo o un vantaggio?
“È un vantaggio, non un ostacolo, sarei un pirla uno scellerato a dire il contrario. Se non fossi stato figlio di mio padre non sarei dove sono adesso, ne sono consapevole e so di essere incredibilmente fortunato. Ma questa cosa è un ostacolo solo se vivi con l’unico obiettivo di diventare come tuo padre, ma di Oscar ce n’è uno. Io farò la mia vita e il mio percorso, avendo la fortuna di poter prendere spunto dai suoi consigli”.
Come ci si sente a essere il più piccolo di famiglia, “Non quello di Eataly, l’altro?”
“Mah, in effetti lo sono, il piccolino di famiglia. Ma io la vedo come un’ulteriore fortuna: posso confrontarmi con i miei fratelli più grandi, ho più consigli a cui attingere oltre a quelli di mio padre. Lavoriamo tutti nello stesso settore, e ci confrontiamo molto”.
Insomma, siete il “dream team” dei Farinetti?
“Non saprei se siamo un dream team…di sicuro siamo una squadra, e abbiamo un rapporto straordinario”.
Che progetti hai nel tuo futuro e in quello dell’azienda?
“Sono convinto che il futuro vada nella direzione del “less is more”: tutto il mondo ormai con questa grande crisi ha capito che è necessario eliminare il superfluo, lo spreco in generale. Io vorrei passare da 7 milioni a 5 milioni di bottiglie, facendole sempre più belle e sempre più importanti, devono diventare un unicum. Dobbiamo produrre di meno ma riuscire a dare un valore aggiunto al nostro prodotto, altrimenti ognuno berrà la cosa che ha più vicino a casa. Per fortuna noi siamo pieni di valori aggiunti: siamo nelle Langhe, nella zona del Barolo, siamo la prima cantina fondata dal re d’Italia, Vittorio Emanuele II, uno chateau unico. E poi c’è il tema della sostenibilità: bisogna rimettersi in discussione e puntare a diventare 100%. “Rinascimento verde” significa essere sostenibili a 360 gradi, dal packaging al prodotto, e anche trasportare questa forma di rispetto anche sulle persone e non solo sulla terra: sono convinto che il vino possa diventare un importante strumento sociale”.