“Non sono così convinto che ai produttori italiani convenga investire in questo segmento di mercato“. A dire che il mercato del vino no e low alcol non è interessante per le aziende italiane è il Ministro Francesco Lollobrigida, dal Congresso Assoenologi a Brescia. Non sappiamo sulla base di quali valutazioni il Ministro della Sovranità Alimentare si esprima in questi termini, né se abbia interpellato i produttori che già investono nel settore, per chiedere loro se gli investimenti fatti siano in effetti remunerativi. Di certo sappiamo che lo avrà fatto, il Ministro, prima di esprimersi con tanta sicurezza rispetto a un segmento di mercato che invece risulta in evoluzione.
Per dire, il rapporto 2022 di IWSR Drinks Market Analysis parlava di una crescita per le categorie del vino no e low alcol di oltre il 7% in volume in dieci mercati globali chiave, per un valore di mercato di 11 miliardi di dollari. Ma di certo, il Ministro avrà dati diversi a disposizione per sconsigliare ai produttori italiani di investire nel segmento, e ci piacerebbe sapere quali.
Al di là dei numeri, abbiamo pensato che fosse utile sentire il parere diretto di chi, nel mercato del no e low alcol, ha investito da tempo. Parliamo di una realtà storica, che con i suoi spumanti ha costruito un pezzo importante della produzione vitivinicola piemontese, e che è stata da sempre pioniera nel guardare ai mercati esteri. Bosca, che fa “bollicine controcorrente” dal 1831 (come recita il loro claim), è ormai da anni fortemente concentrata sul mercato degli spumanti no e low alcol, e a sentire Pia Bosca, amministratore delegato dell’azienda, è un investimento che è stato ripagato, molto più di quanto il ministro Lollobrigida non creda.
Voi siete stati dei precursori in questo segmento di mercato, almeno tra i produttori italiani…
“Sì, è vero, lo stiamo stati, ma ora in tanti si stanno affacciando”.
Quindi forse il Ministro Lollobrigida non ha così ragione nel sostenere che alle aziende italiane quel mercato non interessa?
“Premetto che non voglio davvero entrare in polemica con il Ministro, ma bisogna analizzare le cose che ha detto. Innanzitutto, lui dice che se non c’è alcol non c’è vino: è un’opinione personale che credo sia legittima, ed è peraltro quello che dice la nostra normativa. Però quella normativa è in fase di rimodulazione”.
Cioè, ha voglia di spiegarci la questione?
“C’è un regolamento europeo – immediatamente esecutivo in tutti gli Stati dell’Unione – che dice che si può dealcolare il vino, ma in Italia non è fattibile, perché c’è il testo unico sulla vite e il vino che mette dei paletti che di fatto lo impediscono. In uno stabilimento vitivinicolo non posso detenere alcol, e dalla dealcolazione creo alcol, e non posso detenere acqua, che di nuovo creo dalla dealcolazione. Insomma, alla fine non posso dealcolare, ed è chiaro che c’è bisogno di un decreto che ci permetta di allinearci, e infatti ci stanno lavorando”.
E voi come fate a produrre le vostre bollicine analcoliche?
“Noi non facciamo un prodotto dealcolato: facciamo in uno stabilimento alimentare un prodotto che è sostanzialmente un succo d’uva, e non ci viene neanche in mente di chiamarlo vino. Quindi l’opinione di Lollobrigida è legittima, ma la legge europea dice che possiamo parlare di un prodotto, di una categoria merceologica (il vino) a cui è stato tolto l’alcol: a me non sembra che il consumatore si possa confondere”.
Quindi alla fine siamo gli unici a non poterlo chiamare vino dealcolato?
“In Europa sì, e sicuramente siamo tra gli unici al mondo, ed è ovvio che per noi produttori è limitante: perché dobbiamo avere un handicap sul mercato rispetto a un omologo francese o messicano? Alla fine questa normativa va a penalizzare le aziende italiane sul mercato estero. Ci stiamo autosabotando su un mercato in cui c’è richiesta, e che per di più non toglie una bottiglia a chi produce buon vino: non andiamo a erodere quote di mercato o di visibilità ai colleghi che fanno vino, andiamo solo a rispondere a una diversa necessità dei consumatori”.
Parliamo della questione economica: Lollobrigida sostiene che non convenga investire nel settore. Per la sua esperienza, è vero?
“Direi che è quantomeno limitativo. Noi ad esempio viviamo su quella tipologia di prodotti, e ormai ci sono tante aziende nel mondo che hanno scelto di fare anche le bevande no e low alcol. Per noi questo segmento rappresenta una percentuale della produzione molto alta: circa un 80% del nostro stabilimento italiano e il 100% di un secondo stabilimento in Lituania. Parliamo di una cinquantina di milioni di bottiglie, che in realtà sono numeri piccoli per chi fa bevande. Non si parlerà mai di utili giganti per bottiglia, questo è vero, non andiamo a vendere Barolo, ma si fanno grandi numeri: è un lavoro diverso ma economicamente interessante. Per noi rappresentano una fetta enorme del nostro business, e la categoria è in forte crescita. Certo, per saperla cogliere bisogna avere una mentalità laterale sul tema”.
Questo comunque non vi impedisce di continuare a fare vino…
“Assolutamente no. Possiamo certamente fare del buon vino e contemporaneamente delle buone bevande aromatizzate a base di vino. D’altra parte, siamo in giro dal 1831, siamo un riferimento storico del vino piemontese. Il know how, la capacità e le competenze per fare il vino al meglio le abbiamo tutte, ed è proprio questa maestria a darci la legittimazione a fare prodotti un po’ diversi. E qui si arriva al punto su cui davvero sono contraria alle affermazioni del Ministro Lollobrigida”.
E quali sarebbero?
“Il fatto che abbia sostenuto che il vino senz’alcol non sia un prodotto di qualità. Non è assolutamente vero. Inviterei il Ministro in cantina a vedere l’altissima soglia di qualità che c’è nei nostri prodotti, su cui lavora costantemente un modernissimo ed efficiente reparto di ricerca e sviluppo. C’è dietro un lavoro lunghissimo e molto attento”.