“Proposta Ue per abbassare il grado alcolico: sì all’acqua nel vino”. Così il Sole 24 Ore rilancia un comunicato stampa rilasciato da Coldiretti e in poche ore abbiamo letto, ovunque, la “notizia” del vino annacquato: l’ultima trovata dell’Unione Europea per scalfire la magnificenza della produzione vinicola peninsulare. Una minaccia fortissima (se solo la nuova fosse vera..) per le nostre DOC e DOCG, dalla quale l’associazione degli agricoltori italiani ci difenderà.
“L’introduzione della dealcolazione parziale e totale come nuove pratiche enologiche rappresenta un grosso rischio ed un precedente pericolosissimo che metterebbe fortemente a rischio l’identità del vino italiano e europeo, anche perché la definizione “naturale” e legale del vino vigente in Europa prevede il divieto di aggiungere acqua”.
Questo è quanto leggiamo sul sito di Coldiretti, a cui segue un commento non meno allarmante di Domenico Bosco – responsabile vitivinicolo Coldiretti:
“È pericoloso perché compie un vero e proprio “salto di qualità”. Finora le bevande dealcolate erano considerate come una categoria a parte, che in nessun caso poteva essere confusa col vino. Nel documento Ue invece si parla dell’ipotesi di ridurre l’alcol come di quella di aggiungere acqua come di una “pratica enologica”. Ovvero una tecnologia che una volta approvata diventa utilizzabile su tutto il territorio Ue bypassando i limiti previsti dai disciplinari di produzione che invece hanno sempre svolto la funzione di frenare derive qualitative”.
“Se passasse questa impostazione – continua Bosco – un soggetto potrebbe comprare ad esempio una partita di Chianti Docg come di un altro vino a denominazione e poi annacquarlo nel proprio stabilimento per trasformarlo in Chianti dealcolato. Appare chiaro come un’ipotesi del genere aprirebbe vere e proprie praterie per frodi e contraffazioni”.
Getta benzina sul fuoco anche Stefano Putuanelli, ministro delle Politiche agricole, che in nota Ansa parla della proposta come di pratiche che “il nostro Paese non intende assecondare” promettendo di portare in Europa la voce compatta del Governo.
Al lupo al lupo insomma.
Ma quale sarebbe questa fantomatica proposta di legge a cui fa riferimento Coldiretti?
Si tratta di un working paper che -secondo quanto chiarito nelle dichiarazioni degli esponenti dell’associazione di categoria- consentirebbe ai produttori di diminuire il grado alcolico dei vini (compresi quelli a denominazione di origine), diluendoli con acqua, pratica al momento non consentita da nessun regolamento di nessun Paese UE.
Leggendo il testo mi vengono in mente almeno due commenti rispetto alla vicenda. Non è che magari è stato dato eco ad una non notizia? Il testo non è una proposta di legge. Si tratta di un documento di lavoro, nulla che sia stato redatto per passare il vaglio di una commissione insomma. E ancora, non è che ci siamo dimenticati che dal 2009 è possibile produrre vino dealcolizzato?
Non mi stupisce che un’associazione di categoria faccia corporativismo, prenda insomma ciò che le interessa e cerchi di pilotare l’informazione in una specifica direzione, ma che la stampa non prenda queste dichiarazioni per quello che sono. Non verifichi insomma le fonti (forse non riesca a comprende il contenuto di un testo), o non consulti un esperto per chiarire meglio la faccenda prima di buttare benzina sul fuoco. Ho raggiunto Alessandra Biondi Bartolini, direttrice scientifica di Mille Vigne, per farmi spiegare meglio la (non) vicenda.
La dealcolazione è una pratica consentita dal 2009
“Il comunicato di Coldiretti è una sorta di indiscrezione, si riferisce ad un foglio di lavoro che contiene una serie di modifiche ad una proposta di regolamento. Non è il testo del regolamento insomma, quello non l’abbiamo letto, quindi diventa impossibile capire esattamente quali articoli verrebbero eventualmente modificati. Si intuisce il tema della discussione: da un lato la necessità di colmare un vuoto normativo rispetto alla denominazione di vendita (quindi la categoria merceologica) di alcuni prodotti, dall’altro consentire il reintegro del volume perso in alcol con acqua nei vini dealcolizzati.
La dealcolazione è una pratica consentita dal 2009 per i vini generici nella misura massima del 20% (con un contenuto in alcol dopo dealcolazione non inferiore ai 9 gradi). La parziale dealcolazione si è resa necessaria perché, com’è ormai noto, i cambiamenti climatici hanno progressivamente portato a concentrazioni sempre più elevate di alcol. Si tratta insomma di uno strumento operativo, necessario a volte per arginare il problema.
Le tecniche sviluppate si sono mostrate così efficienti da consentirci di ottenere anche vini anche con contenuti in alcol inferiori ai 9 gradi, e inferiori a 0,5 (del tutto privi di alcol insomma). Ed è proprio rispetto alla denominazione di vendita di questi prodotti che abbiamo un vuoto normativo a livello europeo. Al momento ciascuno stato si sta muovendo autonomamente, c’è chi li chiama “vino a basso grado alcolico”, e chi “bevanda” ad esempio. Nel nostro Paese non è possibile parlare di vino per prodotti di questo tipo. L’OIV – l’organismo intergovernativo di tipo scientifico e tecnico in materia – propone di non chiamarli vini.
La questione su cui sembra stiano discutendo è legata alla designazione di vendita, e si ricollega ad un aspetto non secondario -anche se non è chiaro chi dica cosa- e cioè se considerarli nella filiera come prodotti vinici o meno. A mio avviso lo sono”.
La faccenda dell’acqua nel vino
“La questione in questo caso è legata alla necessità di reintegrare il volume perso in alcol, verosimilmente proprio nei prodotti del tutto o quasi totalmente privi di alcol. Discussione sollevata dal comitato degli esperti dell’OIV che evidenziano come la perdita in volume si renda necessaria anche per questioni di godibilità sensoriali. Se tolgo del tutto o quasi l’alcol concentro il resto: acidi, polifenoli. Insomma ottengo un succone. Da qui la proposta di consentire di reintegrare il volume perso con acqua”.
Leggendo il comunicato di Coldiretti sembra la vicenda trovi, nei produttori italiani, un fronte compatto e ostile alle proposte, ma è davvero così?
“In effetti sembra tutti stiano escludendo l’ipotesi che ai produttori italiani non interessi regolamentare queste pratiche. Si tratta invece di proposte che potrebbero colmare un vuoto normativo rispetto ad una tecnica che potrebbe tornare utile anche a chi produce vini a denominazione di origine, là dove le pratiche agronomiche fatichino ad arginare il problema dei gradi zuccherini sempre più elevati. Non è da escludere nemmeno che ad alcuni produttori non interessino mercati specifici in cui magari poter vendere vini totalmente dealcolizzati. Si tratta insomma in entrambi di possibilità, normarle potrebbe esserci utile”