10 vini italiani che hanno segnato il decennio 2010-2019

10 vini italiani che per i motivi più diversi anno segnato il decennio 2010-2019, tra mutamenti e nuove tendenze, da Nord a Sud, e perché.

10 vini italiani che hanno segnato il decennio 2010-2019

Sì, i decaloghi del decennio riescono talvolta nell’incredibile impresa di riassumerne il peggio, a mia discolpa posso però dire che se un anno solare è troppo breve per parlare del vino “versato” dieci sono un tempo sufficientemente rilevante per provare a tirare alcune somme. Senza alcuna pretesa di esaustività ho provato quindi a radunare 10 vini che hanno segnato il periodo 2010-2019. Andiamo.

Se a guardare indietro il 2010 sembra lontanissimo è anche vero che già allora stavano iniziando a farsi strada alcuni dei temi che hanno poi dominato le conversazioni sul vino del decennio che si chiuderà questa notte: dagli scontri ideologici tra vini “naturali” e vini “convenzionali” all’ascesa dei vini frizzanti a rifermentazione in bottiglia. E ancora: la messa in discussione di alcune politiche consortili, la biodinamica nelle università, l’improvvisa ascesa di alcune zone del Sud.

Ecco dunque 10 bottiglie, vini che per i motivi più diversi hanno rappresentato una bella fetta di questo decennio tra mutamenti e nuove tendenze. Se 10 vini segnanti non bastano ci sono sempre i commenti, no? Ah già, ora si commenta solo sui social, non è più il 2010.

Il Syrah di Stefano Amerighi

Se il decennio che si sta per chiudere potesse avere nel vino un volto questo sarebbe forse quello di Stefano Amerighi, iconico produttore di Cortona, in Toscana. Lui più di altri è stato in grado in questi anni non solo di sfornare vini di straordinaria qualità e di grande personalità ma anche di interpretare con particolare consapevolezza il ruolo del vignaiolo contemporaneo, a suo agio tanto in campagna quanto nel raccontare il suo approccio alla biodinamica nelle aule di un’università.

Il Barolo Monvigliero di G. B. Burlotto

Barolo Monvigliero di G. B. Burlotto

Era il 2017 quando Vietti e Burlotto videro premiati con i 100 punti del critico americano Antonio Galloni i loro Barolo 2013. Fu un momento di svolta nella storia recente delle Langhe, da allora territorio sempre più protagonista all’interno dello scacchiere mondiale dei cosiddetti “fine wines”, quello dei vini più costosi. In attesa del prossimo nome che verrà portato alla ribalta: in zona ce ne sono tantissimi i cui vini è ancora possibile acquistare a prezzi per tutte le tasche, o quasi. Quelli di tanti non più, che all’aumentare della domanda corrisponda un immediato e automatico aumento anche dei prezzi (specie sul mercato cosiddetto secondario, quello di chi specula) è fatto che non dovrebbe più stupire, o almeno non più di tanto.

Il Bianchello Ribelle di Ca’ Sciampagne

Bianchello Ribelle di Ca’ Sciampagne

Pochi altri vini risultano ancora tanto divisivi come quelli prodotti da Leonardo Cossi nelle Marche, a Urbino. C’entra Facebook e la generale tendenza, anche e soprattutto nelle discussioni di carattere politico, di acuire le distanza, di cementare le opinioni, di rassicurare gli utenti mostrando loro una “bolla” in cui specchiarsi: questi sono stati gli anni dello spesso eccessivo nei toni dibattito dei vini naturali vs. quelli cosiddetti industriali. Una diatriba ancora lontana dall’esaurirsi tra ultrà di una e dell’altra parte: una volta contro il vino cotarelliano di turno, un’altra contro vini magari caratterizzati da una volatile un po’ eccessiva (spoiler: non sono questi i veri nemici, se di nemici è possibile parlare). Il Bianchello di Ca’ Sciampagne rappresenta alla perfezione questo scontro ideologico, tanto amato quanto quanto pubblicamente disprezzato.

Il Cirò di A’ Vita

Cirò di A’ Vita

Difficile immaginare all’inizio del decennio la Calabria di oggi, regione giustamente considerata come uno dei cantieri enologici più interessanti della Penisola. Una rivoluzione che parte da Francesco De Franco e dalla sua ‘A Vita: dopo le sue prime annate e in particolare dopo quella del 2010 niente è stato più lo stesso. Prima la Cirò Revolution, quel gruppo di vignaioli che hanno idealmente riscritto le regole della denominazione calabrese più nota, quella appunto del Cirò, nel crotonese, poi tutto un movimento di giovani ed entusiasti produttori che, passando anche dal cosentino, ha investito tutta la regione. Applausi.

Il Prosecco col fondo di Ca’ dei Zago

PROSECCO, CA' DEI ZAGO

No doubt: questo è stato anche il decennio dei vini frizzanti a rifermentazione in bottiglia. Da Nord a Sud, grazie alla loro capacità di apparire artigianali e di strizzare l’occhio al mondo dei vini naturali, non c’è cantina non si sia cimentata (con risultati a volte anche molto poco convincenti) con questa particolare tipologia. Sono però le aree considerate come storiche -Marca Trevigiana, Emilia e in parte Oltrepò Pavese- ad essere ancora i territori privilegiati in materia. Christian Zanatta rappresenta appieno la consapevolezza, la sensibilità, il talento che può avere un giovane produttore a partire da una delle zone più vocate di tutta la denominazione, appena fuori il centro abitato di Valdobbiadene.

Il Pinot nero di Podere Santa Felicita

Pinot nero di Podere Santa Felicita

La dimostrazione che si può fare. Che può cioè esistere una strada italiana al Pinot nero oltre quella legata alla sua regione privilegiata, l’Alto Adige. Difficile poi prevedere questa piccola rivoluzione arrivasse dal semisconosciuto (almeno a livello vitivinicolo) Casentino, vallata a nord di Arezzo, e da uno degli enologi toscani più rinomati, quel Federico Staderini famoso per i vini di Poggio di Sotto. E invece.

Il (non più) Brunello di Montalcino di Soldera

Brunello di Montalcino di Soldera

Prima il “fattaccio”, oltre 600 ettolitri di vino versato nel 2012 nelle fogne da un ex-dipendente, e poi la sua dipartita, a febbraio di quest’anno. Difficile 10 anni fa immaginare che il Brunello che Gianfranco Soldera produceva nelle sue Case Basse sarebbe stato tanto al centro della cronaca, vino diventato introvabile e al tempo stesso oggetto di grande speculazione fino al prezzo attuale, di molte centinaia di euro in enoteca per un Toscana IGT Sangiovese, provocazione nei confronti di una denominazione e di un Consorzio con cui forse non c’è mai stata tutta questa sintonia.

Il Brunello di Montalcino di Biondi Santi

Prima la scomparsa di Franco Biondi Santi nel 2013, poi la cessione 3 anni più tardi della cantina e dei vigneti a EPI, polo del lusso francese il cui portafoglio comprende anche il famoso marchio di Champagne Piper-Heidsieck. Non il primo e certamente non l’ultimo caso di un’importante azienda italiana entrata nell’orbita di un gruppo straniero, forse però il più rumoroso, quello che ha coinvolto il più iconico dei marchi non solo di Montalcino. Difficile dire quello che sarà, di certo per il Brunello del Greppo questo è stato il decennio della svolta, quello che ha segnato un prima e un dopo.

Il Sabbie di Sopra il Bosco di Nanni Copè

Sabbie di Sopra il Bosco di Nanni Copè

È notizia di qualche giorno fa che quella del 2019 è stata per Giovanni Ascione l’ultima vendemmia del suo “Sabbie”. Un rosso che in appena una decina d’anni (la prima annata è quella del 2008) non solo ha dimostrato le potenzialità di una delle zone meno conosciute della Campania, il casertano, ma ha anche aperto uno squarcio, se ancora ce n’era bisogno, sulle straordinarie virtù di tantissimi vitigni ancora poco noti, lontani anni luce dalle denominazioni più famose. Una considerazione che valeva allora per il pallagrello nero (!) e che è tutt’ora valida per uno numero quanto mai rilevante di varietà che aspettano solo di trovare la persona capace di interpretarle, di comunicarle, in generale di valorizzarle nel modo giusto. Nanni Copè ci ha dimostrato che è possibile.

Il Gattinara di Nervi

Gattinara di Nervi

Perché l’Alto Piemonte è forse il posto dove trovare i vini con il miglior rapporto qualità/prezzo d’Italia e non da oggi. Che uno dei più famosi produttori di Barolo, quello il cui vino spunta i prezzi più alti, Roberto Conterno, abbia deciso nel 2018 di acquistare una delle storiche aziende di Gattinara la dice lunga su quanto ancora sia possibile parlare di una zona in parte ancora inesplorata, da Ghemme a Fara, da Bramaterra a Lessona, da Boca a Carema. Ma forse questa più che del decennio che si sta per chiudere sarà una delle tendenze di quello che si sta per aprire. Chissà.