Formaggio fritto al sugo di pomodoro e olive: avevo 11 anni ed è una delle prime ricette che mi ricordo di aver preparato. Sono da allora una cuoca velleitaria, sperimentale e abbastanza superficiale da fregarmene quando un piatto non mi viene bene. Però quando voglio prendermi cura di chi mi è vicino preparo i piatti preferiti di mia madre: tortelli di zucca e coniglio arrosto.
Rimpiango di non aver fatto degli studi in enogastronomia, ma al tempo optai per un percorso più classico: laurea in lettere e dottorato in letterature comparate; fino ai 25 (abbondanti) ho inseguito un’altra passione, quella per le storie. Dopo la laurea sono approdata nella redazione di 2night, dove ho imparato un sacco di cose intervistando e raccontando baristi e ristoratori della porta accanto. Posso fregiarmi di essere entrata nella ristretta cerchia di quelli con lo sguardo apotropaico: riesco a sapere che vita avrà il tuo ristorante dopo mezzora che ne ho varcata la soglia.
Nel 2009 sono diventata giornalista, e da allora scrivo di ristoranti perché non si può scrivere di quello che non si conosce. Dal 2014 ho cominciato a collaborare con Dissapore e ho sviluppato una fissazione per i lievitati di ogni genere e la marmorea convinzione che la pizza napoletana è la migliore. Sono attratta dai fermentati e pratico un timoroso ossequio per Sandor Katz, anche se il mio scrittore preferito, quando scrive di cibo, è Adam Gopnik. Oggi, oltre a 2night e Dissapore, insegno foodwriting alla triennale dello IUSVE e sono vicepresidente della scuola di giornalismo A. Chiodi.
Una volta a Copenaghen mi sono accomodata per sbaglio in un ristorante con velleità iberiche, ho alzato gli occhi al cielo e ho visto dei poveri Patanegra impolverati appesi al posto dei lampadari: mi sono venute le lacrime agli occhi e sono fuggita. Se volete farmi felice fatemi mangiare sincero, e raccontatemi una storia.