“Il cibo è politica”, ha detto e ripetuto per anni Carlo Petrini. E proprio nei giorni dell’edizione 2020 di Terra Madre Salone del Gusto, arriva una clamorosa conferma dai piani altissimi. Il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, il World Food Programme, ha vinto il Premio Nobel per la Pace.
Scorrendo il palmares dei vincitori passati, salta subito all’occhio quanto questa assegnazione sia straordinaria. Abiy Ahmed Ali dall’Etiopia (2019), Nadia Murad dall’Iraq (2018), Juan Manuel Santos dalla Colombia (2016) fino ai nomi più popolari, come Barack Obama nel 2009, Al Gore nel 2007 o Aung San Suu Kyi nel 1991. Politici, per lo più, o attivisti. Invece, oggi, il Nobel per la Pace va a un’organizzazione umanitaria, che si occupa di cibo.
Perché Petrini ha ragione da vendere: il cibo è politica.
Il World Food Programme: cosa fa l’organizzazione Nobel per la Pace 2020
Ma cos’è esattamente il World Food Programme? Con 86,7 milioni di persone assistite in circa 83 paesi ogni anno, il World Food Programme (WFP), la cui sede è a Roma, è “la principale organizzazione umanitaria e agenzia delle Nazioni Unite impegnata a salvare e cambiare le vite, fornendo assistenza alimentare nelle emergenze e lavorando con le comunità per migliorarne la nutrizione e costruirne la resilienza”.
Finanziato da donazioni volontarie, principalmente dei governi internazionali (ma anche di aziende e donatori privati), il WFP nel 2019 ha raccolto 8 miliardi di dollari. È governata da un consiglio esecutivo di 36 membri e ha 90.000 dipendenti, di cui circa il 90% nei paesi in cui l’agenzia fornisce assistenza.
Il Programma alimentare mondiale, istituito nel 1961 su proposta del presidente americano Dwight D.Eisenhower, si è da allora occupato di aiutare le popolazioni in difficoltà, inizialmente fornendo aiuti alimentari. La sua prima operazione di soccorso è stata quella di aiutare dopo un terremoto in Iran nel 1962, e dopo di allora ce ne sono state molte altre: la carestia in Etiopia negli anni ’80, le guerre in Jugoslavia negli anni ’90, lo tsunami asiatico del 2004, il terremoto di Haiti del 2010 e, non in ultimo, la pandemia che stiamo vivendo, per cui il WFP ha inviato carichi di aiuti in oltre centoventi Paesi.
Nel 1989, il WFP ha organizzato quello che viene ricordato come il più grande lancio aereo umanitario della storia. Venti aerei cargo hanno trasportato e distribuito 1,5 milioni di tonnellate di cibo nell’ambito dell ‘”Operazione Lifeline Sudan”, in cui le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni non governative hanno collaborato per alleviare una carestia causata dalla guerra civile.
Negli anni, il ruolo del World Food Programme è cambiato leggermente, diventando anche quello di una divulgazione politica e culturale su temi legati, per esempio, alla sostenibilità alimentare o al cambiamento climatico. Ed è qui che il Premio Nobel per la Pace 2020 assume, come sempre nella storia, una forte connotazione politica.
Il significato politico di questo premio
Il Premio Nobel per la Pace al WFP arriva in un momento politico molto delicato, e assume per questo una valenza simbolica (e non solo) decisiva. Il riconoscimento da parte del Comitato per il Nobel arriva infatti – come fa notare il New York Times – in un momento in cui gli Stati Uniti, con l’amministrazione guidata da Donald Trump, hanno ritirato pubblicamente il sostegno a molte organizzazioni globali (tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità), sostenendo che gli Usa si stavano assumendo una responsabilità finanziaria fuori misura rispetto ad altri Paesi.
Di più: il Premio Nobel al WFP arriva proprio a pochissimi giorni dalle dichiarazioni di Trump riguardanti la scarsa considerazione avuta per i suoi due Premi Nobel (mai ricevuti, si trattava semmai di due nomination avute nel 2021).
Così, in qualche modo e sotto un certo tipo di lettura, questo riconoscimento così significativo e in parte inaspettato, a un passo dalle elezioni USA, suona come un monito nei confronti di chi, come il presidente Trump, mette in discussione la reale importanza di questa o di altre organizzazioni internazionali. E questo nonostante l’attuale direttore esecutivo del WFP sia David Beasley, un politico repubblicano che è stato nominato proprio dall’amministrazione Trump.
Le motivazioni del Premio
“Una forza trainante negli sforzi per prevenire l’uso della fame come arma di guerra e conflitto”. Così il Comitato norvegese per il Nobel ha definito il World Food Programme, 101esimo vincitore del Premio Nobel per la Pace.
La presidente Berit Reiss-Andersen ha affermato che con il premio di quest’anno il Comitato norvegese per il Nobel ha voluto “rivolgere gli occhi del mondo ai milioni di persone che soffrono o affrontano la minaccia della fame”. “Il Programma alimentare mondiale gioca un ruolo chiave nella cooperazione multilaterale per rendere la sicurezza alimentare uno strumento di pace”, ha detto in conferenza stampa a Oslo.
Il comitato ha affermato che Covid-19 ha ulteriormente rafforzato l’importanza del gruppo. “La pandemia di Coronavirus ha contribuito a un forte aumento del numero di vittime della fame nel mondo”, si legge in un comunicato. “Di fronte alla pandemia, il Programma alimentare mondiale ha dimostrato una capacità impressionante di intensificare i suoi sforzi”.
Un premio che vale 10 milioni di corone svedesi (circa un milione di euro), che diventano fondamentali per la prosecuzione delle attività dell’organizzazione in un momento reso critico dalla pandemia che stiamo vivendo.
“Il mondo rischia di vivere una crisi della fame di proporzioni inconcepibili se il World Food Programme e altre organizzazioni di assistenza alimentare non ricevono il sostegno finanziario richiesto”, ha detto il comitato del Nobel, facendo riferimento all’importanza delle donazioni volontarie che rendono possibili le azioni umanitarie.