La notizia è di un paio di settimane fa: in Lombardia è stata avviata la sperimentazione in campo di un riso modificato con editing genetico per resistere a un parassita. È una notizia perché si tratta della prima sperimentazione in Italia da vent’anni in qua, e della prima in assoluto autorizzata con piante ottenute da Tecniche di Evoluzione Assistita in agricoltura (TEA). È una notizia da trattare con i guanti, perché bisogna sottolineare che l’editing genico è cosa del tutto diversa dall’incrocio genetico di DNA proveniente da specie diverse: le New Genomic Tecniques (NGT, in Italia abbreviate con la suddetta sigla TEA) sono interventi come disattivazioni e “taglia-incolla” all’interno dello stesso organismo, cosa del tutto diversa dagli OGM, che erano e continuano a essere vietati.
È una notizia, soprattutto, che va inquadrata in un contesto più ampio: quello delle biotecnologie che cambiano, e che inducono a cambiare anche le regolamentazioni. C’è una grossa battaglia a livello europeo sul tema, ed è appena iniziata. Ma ripartiamo dal riso.
Che cos’è il RIS8imo
Il progetto RIS8imo – che burlone queste scienziate quando ci si mettono – è guidato da Vittoria Brambilla, docente di Botanica Generale del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della Università Statale di Milano. Lo scopo è quello di sviluppare una varietà di riso Arborio resistente al fungo responsabile della malattia detta brusone: questo patogeno è particolarmente resistente agli agrofarmaci (quelli che volgarmente vengono detti pesticidi) e particolarmente dannoso; una varietà che si ammala di meno consentirebbe di ridurre quindi l’utilizzo di farmaci.
Brambilla ci tiene a sottolineare che si tratta di un metodo che semplicemente indirizza e accelera l’evoluzione naturale: il ris8imo “presenta le varianti inattivate di 3 geni che sono associati alla suscettibilità a brusone, che potrebbero trovarsi anche con bassa frequenza in natura”. La sperimentazione in laboratorio è già andata avanti per anni con buoni risultati, ora si passa alla prova della coltivazione vera, se pure ristretta: in un terreno di 28 metri quadrati nell’azienda agricola Radice Fossati a Mezzana Bigli (Pavia). La speranza è che si mantenga la resistenza al fungo ma non si perda nulla in termini di qualità e resa.
C’è da dire che tutto questo non sarebbe potuto avvenire senza la crisi idrica degli anni passati, che ha portato all’adozione di misure straordinarie e urgenti, contenute nel cosiddetto decreto siccità del 2023, appunto: che ha allargato le maglie molto strette delle sperimentazioni genetiche, consentendo progetti come questo, la cui autorizzazione è stata richiesta a gennaio di quest’anno. Ma sullo sfondo si prospettano cambiamenti di livello più ampio.
Come sta cambiando la normativa UE in materia di biotecnologie
Gli OGM, lo sappiamo tutti, non ci piacciono: hanno sempre suscitato paura nella popolazione e diffidenza nelle istituzioni. Tanto che, soprattutto in Europa, sono stati sottoposti a severissime restrizioni, seguendo il principio di precauzione. Che in sostanza dice: è una roba nuova, non sappiamo che effetti ha col tempo, andiamoci piano. Ora però sono passati più di vent’anni (la prima normativa UE è del 2001), nei quali sono successe due cose.
Uno, si è visto che gli organismi geneticamente modificati non portano all’apocalisse: d’altra parte anche in Italia, che è uno dei paesi con le restrizioni maggiori, gli OGM non si possono coltivare ma si possono importare, e si importano infatti. Si è pure visto che i laboratori non sono gestiti da tanti dottori Frankenstein che generano ibridi mostruosi come l’incrocio tra un ananas e un merluzzo. Tanto che già da anni la buona parte della comunità scientifica si batte per una modifica delle regole, e dell’atteggiamento generale: nota è la lettera aperta a Greenpeace inviata da centinaia di scienziati nel 2016, nella quale si accusava l’associazione ambientalista di bloccare l’uscita dalla fame e dalla malattia di milioni di persone.
Due, nel frattempo sono state sviluppate nuove tecnologie: come la CRISPR/Cas9, che ha portato Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier al Nobel per la chimica nel 2020. Queste tecnologie, come si diceva, intervengono sul genoma senza innesti “alieni”, sono per così dire più “naturali”, che la scienza mi perdoni. E infatti sono anche, dicono vari studi e sondaggi, più propense ad essere accettate dall’opinione pubblica: a patto che essa sia informata.
Di conseguenza, nel luglio 2023 c’è stata a livello di Unione Europea una proposta per regolamentare le New Genomic Technologies in modo diverso dagli OGM. Attenzione, non si tratta quindi di cambiare l’atteggiamento verso gli OGM, ma semplicemente di decidere se questi organismi, che OGM non sono, e per i quali non esisteva una normativa visto che sono “nuovi”, vanno trattati come OGM. Oppure come varietà naturali; o ancora, ed è questa la strada scelta, come una categoria a parte.
La proposta sta seguendo il suo iter, ha già avuto varie modifiche, ma soprattutto è diventata un campo (ahah, pure noi non scherziamo coi calembour) di scontro tra approcci opposti, in cui scienza e ideologia, buonafede e interessi sono difficili da sbrogliare.
Charpentier e Doudna a gennaio 2024 hanno scritto una lettera, firmata da altre decine di Nobel e migliaia di persone di scienza, in cui plaudono all’iniziativa del Parlamento Europeo e lo invitano a tenere duro. A marzo si è espressa in modo simile l’Organizzazione europea per la scienza delle piante (EPSO), dichiarando però alcune preoccupazioni. Attenzione qua il fatto diventa tecnico: la proposta UE distingue due categorie, NGT 1 e NGT 2: semplificando la prima è quella in cui si creano varietà che si svilupperebbero anche da sole (“in questa categoria non rientrano le piante NGT che non contengono geni estranei provenienti da specie sessualmente non compatibili, poiché queste saranno essenzialmente identiche alle piante ottenute con metodi di miglioramento genetico convenzionali”). L’EPSO chiede per esempio che queste piante non vengano sottoposte a etichettatura specifica.
Dall’altro lato, Greenpeace lancia un appello drammatico (“Stop ai nuovi OGM!”) alle forze politiche che si stanno candidando ad andare a Bruxelles, e le invita a impegnarsi a fare opposizione su alcuni punti: tra questi, ad esempio, proprio la distinzione tra NGT 1 e NGT 2, ma per i motivi opposti, cioè che inserire una categoria light sarebbe un cavallo di Troia per tutti gli organismi geneticamente modificati. Ma perplessità vengono anche da autorevoli voci nel mondo della scienza.
E il bello è che che tutti, da ambo i lati della battaglia, fanno appello agli stessi valori e agli stessi principi: la salute e la sostenibilità ambientale. Ma per il momento anche la battaglia deve arrestarsi e mettersi in stand-by: ci sono le elezioni europee. E quindi, come si dice, se ne riparla a settembre.