La carne coltivata non piace al nostro Governo. E il pesce? Figuriamoci. Nel frattempo il resto del mondo va avanti, e mentre gli Stati Uniti danno uno storico via libera preliminare alla lab-grown meat, candidandosi a essere il primo paese ad autorizzarne il commercio dopo Singapore, è proprio da Singapore che parte un’altra ondata: la produzione di pesce sintetico.
Emergenza climatica e cibo
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Alla recente COP27 di Sharm El-Sheik, la conferenza mondiale sull’emergenza climatica dove i grandi della Terra fanno finta di cercare soluzioni al disastro arrivando con una caterva di jet privati inquinanti e facendosi sponsorizzare dal maggior produttore di plastica al mondo (Coca Cola), di cibo non si è parlato. Eppure si è mangiato. Tanto che gli ambientalisti e animalisti che quotidianamente protestano al summit, tra i vari slogan hanno anche scritto: “Animal Agriculture should be on the agenda, not the menu“.
Eppure è noto che gli allevamenti terrestri producono quantità notevoli di gas serra (almeno il 20% secondo studi indipendenti) mentre l’acquacoltura e la pesca stanno distruggendo gli oceani in vari modi. A questo punto arriva Singapore. La sera del 14 novembre il piccolo ma ricco e avanzato paese asiatico ha invitato a cena i rappresentanti di nove stati, con un menu a base di pollo coltivato.
Come dicevamo, al momento Singapore è l’unico posto al mondo che consente la vendita commerciale di proteine coltivate, o lab-grown meat o carne sintetica o carne in laboratorio: la prima autorizzazione per il produttore Eat Just è arrivata un anno fa, e altre ne sono seguite, sempre per la stessa azienda e per lo stesso tipo di carne (il pollo). Ma non di solo pollo vive il tech food, e Singapore è capofila di un movimento che sta sviluppando e punta a diffondere nel mondo intero il pesce coltivato. La città-stato ha la tecnologia, e ha l’esigenza, perché non avendo sostanzialmente territorio non può contare su risorse agricole proprie: ma decine di start-up in tutto il mondo stanno provando a sviluppare in laboratorio tonno, astice, granchio e persino caviale.
La ricerca sul pesce coltivato
Le cellule animali cresciute in laboratorio abbiamo visto cosa sono (carne “vera” anche se cruelty free, molto diversa dalla fake meat di origine vegetale) e quali sono gli ostacoli da superare perché arrivino sugli scaffali dei supermercati. La ricerca è partita con la carne, ma la ricerca sul pesce coltivato è un territorio che promette ampi margini. Oggi ne consumiamo più del doppio rispetto al 1960: il consumo di pesce è aumentato di quasi il doppio rispetto al tasso di crescita della popolazione. E il trasporto spesso richiede viaggi aerei a lungo raggio, con conseguenti abbondanti emissioni di gas serra.
L’industria della pesca è anche tra le più vulnerabili ai cambiamenti climatici, poiché l’acidificazione degli oceani compromette gli habitat marini e l’acqua marina più calda modifica il modello di distribuzione degli stock ittici. Meno di due terzi di questi stock sono ora entro livelli biologicamente sostenibili, in calo rispetto al 90% nel 1974, secondo la Fao. Il calo della pesca non può essere compensato dall’acquacoltura, che è essa stessa vittima di condizioni meteorologiche estreme dovute ai cambiamenti climatici: a luglio, un ciclone tropicale nel sud della Cina ha devastato allevamenti ittici di dimensioni pari a 22.900 campi da calcio. Oltre che essere dannosa per gli ecosistemi.
Mirte Gosker, amministratore delegato del Good Food Institute Asia Pacific, non profit con sede a Singapore, dichiara a Bloomberg: “È semplicemente un modo più intelligente per fare la carne. I mercati asiatici svolgono un ruolo centrale in questo cambiamento. Dei primi 10 paesi che mangiano più pesce, sette di loro si trovano in Asia, creando un oceano di opportunità per i produttori alternativi”.
Anche gli investitori puntano su questa opportunità: i finanziamenti per le aziende di prodotti ittici coltivati hanno raggiunto i 115 milioni di dollari nel 2021, secondo GFI Asia Pacific. Briciole rispetto agli 1,3 miliardi di dollari che sono stati destinati alla carne cellulare l’anno scorso, ma è il doppio dei finanziamenti ricevuti nel 2020. Le startup del settore includono Shiok Meats (gamberi e aragoste con sede a Singapore), la tedesca Bluu Seafood (salmone, trota e carpa), BluNalu negli USA (tonno), Avant Meats di Hong Kong (fauci di pesce, ovvero le vesciche natatorie di pesci grandi, che in Asia sono considerate una prelibatezza).
Quando arriva il pesce in laboratorio?
Ci sono però una serie di ostacoli alla diffusione commerciale di questi prodotti: la diffidenza dei consumatori verso una novità come il pesce in laboratorio. E più a monte le autorizzazioni legali che i vari stati devono rilasciare per la messa in vendita. Ma più a monte, siamo sicuri che la tecnologia sia davvero pronta a sostenere produzioni di massa e costi competitivi? Per questo non sappiamo con precisione quando arriva il pesce in laboratorio.
Per esempio i filetti di pesce di Avant non saranno competitivi in termini di costi per almeno tre anni. La società sta ora progettando la sua prima fabbrica e ha raccolto quasi 15 milioni di dollari da investitori istituzionali, che includono S2G Ventures di Singapore e l’incubatore tecnologico ParticleX con sede a Hong Kong. La co-fondatrice Carrie Chan afferma che Avant ha anche iniziato a richiedere l’approvazione normativa a Singapore per le sue fauci di pesce. Una volta che ciò accadrà, il cosiddetto “tesoro del mare” coltivato in laboratorio potrebbe raggiungere le tavole dei ristoranti entro due anni.
Altrove, i Paesi Bassi hanno legalizzato quest’anno la coltivazione di proteine animali e il nuovo piano agricolo della Cina per la prima volta include la coltivazione di carne da cellule animali come una delle tecnologie prioritarie. Mentre il Governo italiano non perde occasione per scagliarsi contro la carne sintetica, o carne-frankenstein, come dispregiativamente viene definita: sia il premier Giorgia Meloni che ha firmato una petizione di Coldiretti, sia il ministro dell’Agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida secondo il quale “fa schifo”, e “spezza il legame tra agricoltura e cibo“.