Ci siamo abituati ormai a sentir parlare di siccità in pieno inverno. Il 2022 non è il primo anno tra gli ultimi registrati in cui l’Italia è stata esposta a un periodo prolungato di assenza di precipitazioni. La telecamera del Tg del Piemonte insiste sui resti di Borgo Franco “spazzato via dopo l’alluvione del 1808”, riemersi dopo 100 giorni di siccità dal Po. Poi arriva l’inizio di Aprile a portare le tanto osannate precipitazioni. Che purtroppo sembrano non bastare a risolvere il problema. “Per ora non sta piovendo abbastanza: la pioggia di adesso serve a recuperare quella che è mancata l’anno scorso. Sostanzialmente siamo sempre in deficit” mi racconta Lorenzo Costa, agricoltore e permacultore toscano.
La sua azienda, La Scoscesa, si trova a Gaiole in Chianti, un terreno piuttosto difficile adagiato scomodamente su 130 metri di dislivello e una bellissima storia alle spalle. Lorenzo l’ha acquistato dopo aver trovato un annuncio su Internet e ha creato qui un sistema in grado di produrre partendo dall’esistente. Muretti a secco, olivi, boschi, e poi 3500 metri di orto e aiuole dove si coltiva “intensivamente”. Ma non solo: Lorenzo è molto attivo nel campo della formazione e della divulgazione in permacultura, con una speciale attenzione al tema della gestione dell’acqua. Con lui possiamo parlare di modelli, di siccità e, segnate questa parola, di custodi dell’acqua.
“Io parto dalla mia esperienza: a La Scoscesa nel 2021 sono piovuti 100 millimetri in meno rispetto al 2018, 2019, 2020. Ad Aprile ha piovuto sì, ma vedo ancora il suolo risentire della siccità dell’anno scorso. A livello di rapporto tra acqua e suolo, non abbiamo ancora recuperato. Pur essendo la mia una realtà in positivo, perché noi raccogliamo l’acqua, la infiltriamo e poi la gestiamo, non vuol dire che non siamo in difficoltà”.
L’approccio di Lorenzo alla questione dell’acqua e della sua mancanza è molto singolare è fatto per ragionare sulla prevenzione invece che sull’emergenza. Invece che su “ha smesso di piovere” su “cosa possiamo fare con l’acqua che abbiamo”. Del resto, come ricorda anche Lorenzo, “Oggi quello che sta succedendo non è che sta piovendo concretamente meno: è che sta piovendo in modo più concentrato mentre i modelli di precipitazione cambiano. Prima nel centro Italia pioveva sia in autunno che in inverno con costanza. Oggi abbiamo invece due eventi estremi tra i quali non stiamo intervenendo. La siccità e le inondazioni”.
In agricoltura queste situazioni sono sempre più complesse da gestire, perché manca un approccio, uno studio, forse anche una sensibilità alla questione dell’acqua. Del resto, anche La Scoscesa ha una parte irrigata (gli orti di cui sopra) e un’ampia parte che vive solo di precipitazioni. “Chi lavora in agricoltura spesso si lamenta per via delle inondazioni perché le colture soffrono, le radici stanno all’acqua e ci sono tutta una serie di problemi che non si possono disconoscere” racconta Lorenzo “Allo stesso modo ci lamentiamo quando c’è la siccità perché anche lì le piante soffrono, perché i consorzi sono costretti a razionare l’acqua distribuita nelle varie condotte. Ma il problema è che nel tempo che intercorre tra queste due fasi noi non facciamo praticamente nulla. Sappiamo benissimo che ci sono le inondazioni, sappiamo benissimo che ci sono periodi siccitosi, eppure continuiamo a non imparare”.
Ma a questo punto, cosa possiamo davvero imparare sull’acqua? Su questo tema Costa ha ripreso i principi di gestione dell’acqua di Brad Lancaster, progettista americano in permacultura e design rigenerativo, che si è occupato di raccolta dell’acqua piovana per terreni siccitosi. Da qui è nato un motto: rallenta, distribuisci, infiltra, e una figura, quella dei custodi dell’acqua, che è ispirata dal lavoro di molte persone in India che lavorano sui suoli e sull’acqua con il nome di water warriors. A loro è affidato il compito centrale di abbracciare e diffondere una strategia più sostenibile nella gestione dell’acqua, soprattutto perché la situazione non è destinata a migliorare per via dell’emergenza climatica, semmai a peggiorare.
“Sul territorio servono custodi dell’acqua, dei fiumi, delle falde. Su quest’ultimo aspetto insisto perché spesso le persone pensano all’acqua quando l’acqua si vede, oppure non si vede perché c’è la siccità. Insomma una visione di superficie. E invece io lo dico spesso: il miglior posto in cui può stare l’acqua è il suolo. Più acqua riusciamo ad infiltrare nel suolo, più curiamo le nostre falde. Fare questo significa vedere l’acqua e il paesaggio in modo sistemico” dice Costa. In poche parole ci sono una serie di buone pratiche che, se messe tutte in fila e migliorate sulle esigenze del proprio terreno, non possono far piovere certo, ma possono migliorare la gestione dell’acqua.
“La strategia è progettare, creare un processo preciso fatto di step” dice Lorenzo “Ad esempio comprarsi un pluviometro per segnare ogni piccolo evento piovoso e misurare l’acqua. Questi dati poi vanno capiti in modo da sapere quando l’evento piovoso è così consistente da avere un impatto sul suolo. E poi occorre capire come si muove l’acqua sul proprio terreno, dove si raccoglie: si prende l’ombrello e si cammina sotto la pioggia. Dopo aver osservato, bisogna trovare le soluzioni più semplici. Pensiamo anche a piccole raccolte separate. Continuiamo poi a rielaborare ed osservare, per capire che impatto hanno le nostre azioni, anche minime. Attenzione però: gestire l’acqua non significa portarla da tutt’altra parte. Vuol dire aiutare l’acqua a non essere un pericolo, a non creare fenomeni di erosione”.
A monte di tutto però ci deve essere un suolo vivo, capace di infiltrare e accogliere l’acqua. “Proprio con la pioggia vedi la differenza tra un suolo ricco di sostanza organica e uno morto. Non mi tolgo dalla testa le scene che vedi quando fai l’A1 risalendo da Roma verso Firenze. Se sta piovendo vedi alcuni pezzi di terra inondati, dove l’acqua staziona e non si infiltra” ricorda. “Nella siccità, se vogliamo, tutti i suoli sono simili. Il terreno si spacca, diventa polvere nella parte superficiale perché non ha parte organica, che è proprio quella che rende possibile l’infiltrazione insieme a radici e microorganismi. Un terreno vivo invece si comporta in modo molto simile a un bosco in cui c’è così tanta sostanza organica che è raro vedere l’acqua scorrere copiosamente. A forza di lavorare i terreni lasciandoli nudi, la pioggia quando arriva si porta via anche il suolo”.