Sappiatelo: in molti casi, non c’è molta differenza fra i prodotti con e senza olio di palma. O meglio, il claim “senza olio di palma”, onnipresente sulle etichette di quei cibi altrimenti proibiti – e demonizzati, da qualche anno a questa parte, rispetto alle questioni sulla salute e sulla sostenibilità -, sembra essersi rivelato una fake news, un inganno o, quantomeno, un’indicazione fuorviante per le nostre scelte alimentari.
Un nuovo studio, dal titolo “Senza olio di palma, ma più saturi e meno sostenibili“, presentato ieri mattina a Roma, alla Camera dei Deputati, e condotto da For Free Choice Institute, organizzazione scientifica non-profit, ha confermato il sospetto di molti consumatori, di fronte alla recente lobotomia pseudo-salutistica di ormai quasi ogni forma di marketing che riporta la dicitura “senza”.
L’indagine comparativa ha messo a confronto 96 prodotti con e senza olio di palma – dove quest’ultimo era, ovviamente, reso esplicito sul packaging. Il risultato? Il conclamato nemico di molti consumatori pare avere l’impatto negativo minore, a livello di sostenibilità, rispetto agli altri oli vegetali usati in commercio; inoltre, a livello di salute, i prodotti analizzati contenenti olio di palma si sono rivelati più sicuri (mi raccomando: non “sicuri” in assoluto, ma solo “più sicuri”) rispetto agli altri.
Ecco le principali osservazioni emerse durante il convegno, presentato il 21 marzo a Roma, al quale sono intervenuti esponenti della ricerca e l’On. Beatrice Lorenzin:
La questione sui grassi saturi
Lo ricordiamo: come molti oli tropicali, quello di palma contiene naturalmente acidi grassi saturi, riconosciuti come un potenziale danno alla salute (specialmente per le malattie cardiovascolari), secondo l’Oms, che ne consiglia un consumo inferiore al 10% all’interno della dieta.
Questo non significa, come ha evidenziato l’indagine citata, che molti prodotti confezionati dalla dicitura “senza olio di palma” non li contengano: semplicemente, vengono sostituiti con altri oli vegetali e grassi saturi altrettanto nocivi – senza considerare il fatto che molti prodotti dolciari contengano zuccheri raffinati o grassi idrogenati, anch’essi non proprio un toccasana.
È stato dimostrato che, fra gli alimenti messi a confronto, il 63% dei prodotti con olio di palma abbia un livello medio di grassi saturi inferiore a quello medio dei prodotti senza. Quindi, è sempre meglio girare la confezione e dare un’occhiata all’ettichetta nutrizionale e la lista degli ingredienti.
La sostenibilità
L’altro punto critico è la sostenibilità, anch’esso tema di una battaglia politica e mediatica, principalmente rivolta ad accusare l’olio di palma di essere una totale minaccia per la biodiversità e le comunità locali nei suoi paesi di produzione.
Altra questione che il “senza” non necessariamente risolve: secondo autorevoli studi indipendenti, molti surrogati in commercio si rifanno a coltivazioni dall’impatto ambientale peggiore, come quello di soia, di colza e di girasole.
Per confrontare l’indice di sostenibilità dei vari oli è stato determinato il loro Life Cycle Assestment, ossia un indice che serve a determinare l’impatto ambientale complessivo durante tutto il ciclo di vita del prodotto. E, all’interno dei campioni analizzati, l’olio di palma risulta essere il più sostenibile – la coltivazione della palma da olio copre soltanto il 6% (la percentuale minore) dei terreni adibiti alla coltivazione di oli vegetali e, allo stesso tempo, rappresenta la fonte di guadagno maggiore.
Cosa possiamo concludere?
Diciamo che, se per molti consumatori attenti la questione dell’olio di palma abbia assunto quel che di trash e di poco affidabile già da un po’ di tempo, questo studio porta avanti un punto importante, che suona quasi come una denuncia: il “senza olio di palma” è un inganno.
Se vogliamo proprio essere politically correct, possiamo dire che la dicitura, di per sé, non sottointenda nulla, se non l’assenza di un ingrediente. Dall’altro lato, però, sappiamo tutti che si porta appresso delle implicazioni che, nella confusione generale, influenzano le nostre scelte nel fare la spesa, proponendo alternative non proprio sane o vantaggiose per l’ambiente.