“L’Europa boccia la dicitura ‘senza olio di palma’ sui prodotti alimentari, scrive La Stampa, e aggiunge che questa è una “buona notizia per la Ferrero che ha sempre difeso l’uso dell’ingrediente per produrre Nutella”.
In realtà, precisa poi il quotidiano torinese, il riferimento esplicito al discusso olio di palma non c’è nell’emendamento appena approvato dal Parlamento europeo, ma viene espressamente richiesto di “vietare che nelle etichette dei cibi siano pubblicizzati ingredienti non presenti, ma solo quelli contenuti nel prodotto, per tutelare i consumatori dal proliferare di pubblicità ingannevoli o che fanno leva sull’emotività”.
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Insomma, non ci vuole il fiuto di Hercule Poirot per capire che le etichette prese di mira sono quelle che ostentano l’assenza del famigerato grasso saturo, forse anche per distogliere l’attenzione dalla presenza di altri ingredienti utilizzati come sostituti.
Certo è che molte aziende, spesso italiane, ottengono dal claim “senza olio di palma” un vantaggio non da poco. Come di recente ha fatto notare Il Salvagente, chi utilizza questa dicitura vende quasi il 20% in più.
Pensate alla campagna pubblicitaria dei biscotti Gran Turchese, marchio Colussi, o alle tante confezioni Mulino Bianco (quindi Barilla), che evidenziando l’assenza di olio di palma: vogliono suggerirci che i loro prodotti sono migliori di altri in virtù di un ingrediente che non c’è?
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Vi lasciamo con il dubbio.
Se il provvedimento otterrà l’approvazione definitiva di Strasburgo, Barilla, Colussi e le tante altre aziende che hanno guadagnato (giustamente o ingiustamente: siete voi a deciderlo) esaltando i vantaggi del “senza”, non la prenderanno bene, mettiamola così.
Alla Ferrero, invece, come minimo offriranno da bere, o almeno un vasetto di Nutella: la prima azienda dolciaria italiana, che da mesi insiste sulla sostenibilità del proprio olio di palma, ricaverà sicuramente dei benefici.
Dopotutto, ogni volta che viene stampata una nuova etichetta che grida “senza olio di palma”, la multinazionale della crema spalmabile più famosa al mondo sembra più cattiva di com’è; l’ingrediente, a lei molto caro, viene trattato alla stregua del cianuro.
[Crediti | La Stampa]