Sei persone che stanno facendo la differenza nella gastronomia a partire dal Veneto

Sei storie di gastronomia veneta che meritano di essere conosciute. Vite dedicate al cibo, all'agricoltura e alla biodiversità capaci di fare la differenza, ben oltre la propria Regione.

Sei persone che stanno facendo la differenza nella gastronomia a partire dal Veneto

Parafrasando un noto detto, la strada per parlare di cibo è lastricata di buone citazioni. Mangiare è un “atto agricolo” per alcuni, “politico” per altri, ma è anche “incorporare un territorio”. Le citazioni danno autorevolezza, a volte sono delle occasioni di autocelebrazione, più in generale non sempre sono rivolte al lettore, che si ritrova nella scomoda posizione di sentirsi ignorante rispetto a chi scrive. Nel raccontare dei personaggi che seguono – agricoltori, agronomi, agroecologi, giornalisti, scrittori, cuochi, narratori – l’idea di mettere un cappello al loro lavoro, sentenziando e racchiudendolo sotto una definizione, seppur ampia come quelle sopra riportate, è sembrata inutile oltre che fuorviante. Molto spesso chi, del cibo, dell’agricoltura e della tutela dell’ambiente ha fatto il proprio lavoro, non se ne sta a pontificare, ma – più semplicemente – crede in quello che fa, lo porta avanti, studiando e condividendo.

Abbiamo messo in fila una serie di storie e di personaggi le cui esperienze, per quanto riguarda il Veneto, sono significative e dicono molto di come, mai come oggi, uno sguardo trasversale in tema di cibo, sia essenziale e necessario alla stessa sopravvivenza dell’argomento.

Il bosco delle viole

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Frutto di un progetto ambientale di ampio respiro, il Bosco delle Viole è nato a metà degli anni ’90 dal lavoro dell’agronomo ed erborista Gianfranco Marchetti: si trova a Mansuè, nella campagna trevigiana, ed un è un bosco di pianura, un’azienda agricola e una fattoria didattica insieme. Nell’ambito della selvicoltura ha rappresentato e rappresenta un modello di progettazione ambientale che ha ispirato la creazione di diversi boschi in Veneto oltre a costituire un riferimento per testi didattici.

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Il bosco racchiude tutte le specie arboree e arbustive del territorio oltre ad una serie di alveari, per la produzione di miele. “Il progetto è nato sulla scia di una ritrovata sensibilità verso i boschi di pianura: parlarne 30 anni fa non era così scontato e associare il bosco con la pianura ancora oggi non è una cosa immediata. In passato era diverso e i boschi avevano valore sia in montagna che in pianura. A partire dalla seconda metà del 15° secolo e fino alla fine del 18° i “Catastici” della Serenissima riportavano elenchi precisi delle tipologie di alberi presenti nei boschi di allora. Il legno serviva per costruire le navi all’interno dell’Arsenale”, spiegano Gianfranco e Alessandro Marchetti, padre e figlio, responsabili del progetto. “Nel corso del tempo, progressivamente i boschi primevi di pianura sono spariti pressoché tutti: all’inizio degli anni ’80 nella pianura veneta ne restavano circa 50 ettari. Alla fine di quel decennio è iniziato, in modo spontaneo, un nuovo ciclo di ricostruzione dei boschi di pianura e un contributo fondamentale in questo senso è arrivato da Giustino Mezzalira (consulente forestale e ambientale)”.

Il nostro bosco è come un catalogo delle piante autoctone e naturalizzate presenti nei boschi di pianura delle nostre aree, una sorta di ‘showroom verde’ della biodiversità arborea e arbustiva tipica del territorio in cui si inserisce, che segue i principi della fitosociologia: non è cioè una mera successione di alberi, ma una comunità di piante nella costruzione della quale si è tenuto conto delle esigenze e delle caratteristiche di ogni specie. La nostra idea è quella di “vivere il bosco”, cioè di creare uno spazio con attività didattiche ed esperienze di benessere per tutti, dagli studenti, agli appassionati di natura, ai professionisti del settore, alle aziende agricole. Il bosco è uno spazio culturale e sociale oltre che ambientale”, concludono Gianfranco e Alessandro.

Scuola esperienziale itinerante di agricoltura biologica

Scuola esperienziale

Nata nel 2005 da un gruppo di agricoltori e non solo, la Scuola ha l’obiettivo di aprire una strada alternativa rispetto a quella praticata nelle sedi teoriche e didattiche tradizionali, in cui spesso l’insegnamento si traduce in semplice trasmissione di nozioni isolate dal contesto operativo. Centrale è la dimensione dell’esperienza, intesa come strumento di conoscenza applicata, che dal lato pratico si traduce nella possibilità per gli allievi di coltivare la terra a fianco degli agricoltori.

L’aggettivo ‘itinerante’”, spiega il direttore Luca Conte, “fa riferimento al fatto che coinvolge una rete di aziende dove si svolgono le lezioni, in cui ogni agricoltore sarà per gli allievi una sorta di tutor”. Si rivolge a chi considera l’agricoltura biologica e l’agroecologia uno stile di vita ed un modello di sviluppo sociale ed economico rispettoso della terra e delle persone, capace di incidere nei comportamenti e nei consumi. Le lezioni si svolgono un fine settimana al mese e gli allievi (una decina l’anno) si possono iscrivere in qualsiasi momento data la ciclicità dei temi. I percorsi formativi sono diversi, dall’orticoltura ai fruttiferi, dall’allevamento di polli e ovaiole all’analisi di costi e gestione aziendale.

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La maggior parte degli iscritti non arriva dal mondo agricolo bensì da quello artigianale o dell’impresa: c’è chi vuole mettersi alla prova e chi è insoddisfatto pur guadagnando bene e vuole cambiare vita. Le aziende in cui si svolgono le lezioni si trovano principalmente in Veneto ma gli allievi arrivano da tutta Italia”, precisa Conte. Il modello a cui si fa riferimento è quello della vendita diretta, dell’azienda multifunzionale (che unisca all’attività agricola anche ristorazione e servizi educativi), di dimensioni contenute, familiare, che non si rivolge alla grande distribuzione mentre la cornice culturale è quella della cultura contadina, dell’autoproduzione dei semi, del recupero di varietà tipiche. “La nostra idea è quella di formare una nuova generazione di agricoltori. Non vogliamo ingrandirci né crescere perché diventerebbe problematico. Siamo gratificati così, se spingessimo di più dovremmo cambiare organizzazione: non siamo competitivi e siamo felici così. Se riusciamo ad essere in tanti e piccoli riusciamo a sopravvivere: ci comportiamo come le radici”.

Elisabetta Tiveron

Tiveron

Per descrivere la figura di Elisabetta Tiveron forse conviene partire dalla fine. Da oltre due anni è responsabile del coordinamento editoriale e della promozione di Kellermann Editore, uno dei nomi di nicchia dell’editoria (non solo) gastronomica italiana. Suoi sono molti dei libri che fanno parte della collana “Quaderni”, dedicati a prodotti e stagioni e il cui stile e il cui font si rifà appunto a quello dei quaderni di ricette delle nonne, dei quali ognuno di noi ha memoria. Appassionata allo stesso modo di temi storico-sociali (laureata in storia, ha collaborato per diversi anni con il Comune di Venezia), cucina (non solo dal punto di vista culturale ma anche pratico, con all’attivo corsi e laboratori, oltre l’attività di personal chef) e libri, ha iniziato a scrivere raccontando storie di cucina, prima attraverso un blog poi – nel 2008 – in forma cartacea.

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Alle tematiche legate al cibo ha affiancato quelle di storia sociale e viaggio, spostandosi da Venezia ai Balcani aggiungendo il lavoro in ambito editoriale, che l’ha portata nel tempo ad essere, oltre che autrice e curatrice, anche editor, comunicatrice, consulente editoriale, docente di scrittura. Tra le case editrici con cui collabora, ci sono, oltre a Kellerman, anche Helvetia, Neos, Ediciclo. Ascoltarla fa capire quante connessioni sia in grado di creare il cibo, ma anche come la storia e la letteratura, unite ad una solida formazione culturale, siano in grado di portarle al massimo livello, evitando di chiudersi solo nel proprio circolo. Leggerla spinge chi scrive di cibo a confrontarsi con linguaggi diversi e a non smettere di studiare.

Cosa scegliere? “Il quaderno della primavera”, per esempio, oppure “Profumo di cannella. Dissertazioni letterarie e pratiche intorno alla spezia che unisce il mondo; e ancora “Pippi Calzelunghe, piccola grande cuoca”, fino a “Viaggio nei Balcani. Cibo senza frontiere nel vorticoso cuore d’Europa”.

Giannandrea Mencini

Mencini

Saggista e giornalista pubblicista, responsabile della comunicazione per Thetis, Giannandrea Mencini si occupa di storia dell’ambiente e del territorio. La sua produzione si è concentrata per molti anni sui problemi di Venezia, segnalando con (triste) lungimiranza problematiche già evidenti anni fa e oggi divenute di macroscopica attualità: il turismo, il moto ondoso, il progressivo spopolamento, l’inquinamento della laguna. Ha progressivamente spostato il focus della sua attenzione sulla montagna, ed in particolare su bellunese e Dolomiti, per una serie di motivi: da un lato per una passione che coltiva sin da piccolo (è iscritto al Cai), dall’altro per l’osservazione di come la montagna condividesse con il contesto veneziano le medesime problematiche ed infine per una sensazione di stanchezza nei confronti di Venezia (“è una città che considero persa”, ed è una considerazione veramente amara, sintomatica di un disagio diffuso che sembra preludere ad una resa definitiva). I

l primo volume “montano” è stato “Vivere in pendenza”, un’antologia di storie virtuose di agricoltori allevatori, malgari, pastori, produttori agricoli, gestori di agriturismo, testimoni di esperienze qualificanti, cui è seguito “Pascoli di carta”, in cui ha indagato il fenomeno della “mafia dei Pascoli” presente non solo nel sud Italia, ma esteso in realtà, seppur in forme diverse, ad Appennini, Alpi, Prealpi e Dolomiti. Beneficiando dei buoni rapporti instaurati grazie al volume precedente e conquistando la fiducia degli agricoltori, Mencini ha superato omertà e redatto un lavoro cui hanno attinto in molti. Il buon riscontro crescente ed il confronto continuo con il mondo agricolo lo hanno spinto ad approfondire il tema della biodiversità e dei danni delle monocolture, muovendosi in tutta Italia, tra il Prosecco nel Nordest, i meleti in Val di Non e i noccioleti in centro Italia, ma dimostrando anche come un’agricoltura diversificata e sostenibile è possibile e realizzabile. I suoi libri hanno vinto numerosi premi.

Annamaria Pellegrino

Pellegrino

A tre anni masticavo il brodo, tanto ero estenuante a tavola. E il mio colorito medio era tendente al verde”. Nel novero delle autopresentazioni dall’effetto respingente, sicuramente quella di Anna Maria Pellegrino sbaraglierebbe gli avversari. Detto ciò, se fosse possibile trovare una figura capace di sintetizzare spirito e opera di Brillat-Savarin e Grimod de La Reynière, sarebbe certamente lei. Gastronoma nel senso che nell’antichità si dava al termine, capace di unire preparazione culturale a competenze tecniche, doti di divulgatrice a quelle di scrittrice, oltre a quelle di cuoca, antropologa, e fotografa, Pellegrino è accademica della Cucina Italiana, Presidente fondatrice di AIFB (Associazione Italiana Food Blogger), Consigliere Direttivo in APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani). Soprattutto, è un volto noto della tv, essendo dal 2015 autrice per la trasmissione “Geo” di Rai3, dove cura una rubrica dedicata alle storie e ricette di cucina. Tiene inoltre workshop, corsi e cooking show in tutta Italia. L’interesse per la cucina compare inizialmente da adolescente – prima ancora che dal punto di vista tecnico, da quello culturale – e si rafforza nel corso della vita, in particolare grazie alla fornitissima biblioteca del suocero (giornalista, amico di Luigi Veronelli), ereditata alla sua morte e che ora conta migliaia di titoli, il più delle volte prime edizioni.

E’ la mia forza – afferma, parlando proprio del suo patrimonio librario – la forza di consuetudini culinarie che ho imparato sui libri ed a tavola prima ed in cucina poi, nella consapevolezza che le nostre radici, soprattutto quelle gastronomiche, le troviamo alla fine e non all’inizio del nostro viaggio”. A fare concretamente del cibo e della sua storia un vero e proprio lavoro è arrivata dopo un percorso diverso – manager nel mondo della sanità – ma una volta compresa con chiarezza quale fosse la strada, ha dato vita ad una figura rara nel panorama contemporaneo, che unisce rigore intellettuale (e morale) a talento pratico, competenza ad assenza di erudizione esibita, autoironia e modestia.

Luis Barbato

Luis Barbato

Luis J. Carlos Barbato, per la precisione, è un agroecologo italo-argentino. Laureato in Scienze agrarie, in Ecologia ed etologia per la conservazione della natura, in Urbanistica e Pianificazione ambientale e in Scienze Giuridiche, è specializzato in Ecologia umana ed agraria nonché in Igiene ambientale. E’ stato docente universitario a progetto e a contratto, ha insegnato sia in Italia che all’estero ed ha all’attivo oltre 200 articoli in riviste di settore. Consulente di enti pubblici e privati; attualmente è docente formatore in corsi Psr e Fse.

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Un curriculum decisamente asciutto che non restituisce la complessità e la figura di Barbato, che accoglie i suoi studenti – all’inizio di ogni corso – con un’affermazione perentoria: “io vi apro la testa, ve la spacco a metà” con il duplice obiettivo di vederne il contenuto e riempire i vuoti fornendo spunti di riflessione. Mettere in dubbio le certezze, o meglio le nozioni apprese senza ragionamento, utilizzare il dubbio nella sua funzione positiva, stimolare il confronto: ascoltare Barbato riporta ai tempi della filosofia greca e le sue lezioni costano fatica e richiedono impegno. L’obiettivo – ambizioso? coraggioso? utopistico? – è quello di formare tecnici e agricoltori che non si limitino a mettere in atto e replicare pratiche imposte sulla base di conoscenze superficiali ma siano in grado di padroneggiare il proprio lavoro sia dal punto di vista tecnico-normativo che, soprattutto, culturale.

Attivo nel mondo ambientalista, aperto alla dimensione paesaggistica e rurale, all’etica ecologica e all’etica agricola, Barbato accosta alla formazione per addetti ai lavori anche lezioni-eventi aperti al pubblico nell’ambito di Insilva, appuntamento annuale condotto da biologi, entomologi, ornitologi, oceanografi, geologi e artisti che – nato come passeggiata tra foreste e parchi – è diventata nel tempo un’occasione per approfondire temi ambientali e culturali.