Guai a toccare la carne. Non si può sottolineare una cosa evidente come la correlazione tra consumo di acqua e allevamenti industriali, che subito arrivano i professorini del debunking a fare no col ditino. Arrampicandosi sugli specchi tra ragionamenti cavillosi (non tutti gli animali “consumano” la stessa quantità di acqua, c’è differenza tra bovini e altri; non in tutto il mondo le percentuali sono le stesse, ecc: grazie, Graziella) e clamorose ingenuità (“Di questi 11.5k litri, l’87% è semplicemente acqua piovana che poi rientra nel circolo: è acqua che cade dal cielo e cadrebbe con e senza mucche e che nutre il pascolo. Non è l’acqua del rubinetto. Non è l’acqua che beve la mucca. Non è acqua di irrigazione estratta dalla falda o dai fiumi”. Acqua che nutre il pascolo? Qui siamo a una visione dell’agricoltura da mulino bianco, a essere generosi). Vediamo adesso che succede.
Adesso che uno studio scientifico di tipo economico è arrivato a una conclusione clamorosa quanto poco sorprendente, purtroppo: mangiare più vegetali fa bene all’ambiente, ed è una delle cose migliori che possiamo fare per provare ad arginare il riscaldamento globale. Proprio così: a parità di investimenti, quelli effettuati per ridurre il consumo di proteine animali sono quelli che di gran lunga apportano più benefici in termini di riduzione di gas serra. Lo dice un report del Boston Consulting Group, e i numeri sono impressionanti.
Il documento, intitolato Food for Thought: The Untapped Climate Opportunity In Alternative Proteins, evidenzia come ad esempio rispetto al “cemento verde”, le proteine vegetali hanno riducano di tre volte le emissioni di gas serra. Rispetto agli edifici ecologici, questo numero sale a sette volte, e quando si tratta di auto elettriche, come l’acclamata Tesla, si va a 11 volte la riduzione delle emissioni.
“Ci sono stati molti investimenti in veicoli elettrici, turbine eoliche e pannelli solari”, ha detto al Guardian Malte Clausen di BCG, “il che è ottimo e utile per ridurre le emissioni, ma non abbiamo ancora visto investimenti simili in proteine alternative, anche se stanno aumentando rapidamente”.
Proteine alternative e gas serra
Nel rapporto Food for Thought dell’anno precedente lo stesso istituto affermava: gli attuali modelli di previsione indicano che le proteine alternative rappresenteranno l’11% di tutto il consumo di proteine entro il 2035 e, con l’aiuto di tecnologia, investitori e autorità di regolamentazione, potrebbero raggiungere il 22%. Una bella differenza.
I calcoli sono presto fatti: il sistema alimentare rappresenta il 26% delle attuali emissioni globali di gas serra. Al settore agricolo che ruota attorno agli allevamenti va attribuita la maggioranza delle emissioni all’interno del sistema alimentare: è responsabile del 15% delle emissioni globali, che corrispondono all’incirca alle emissioni del settore dei trasporti.
Ma il sistema alimentare, oltre a essere una delle prime cause del riscaldamento globale, è una delle prime vittime: l’innalzamento del livello dei mari, i periodi di siccità come quello attuale, e d’altra parte anche estremi di segno opposto come piogge torrenziali e alluvioni, sono un disastro per l’agricoltura. Mettono a rischio l’esistenza stessa di certi alimenti; incidono pesantemente sulla produzione di alcune coltivazioni; e non è solo una questione quantitativa ma anche qualitativa, perché certi cibi stanno diventando anche meno nutrienti, soprattutto a livello di microsostanze come vitamine e minerali.
L’ONU ha previsto che le emissioni di gas a effetto serra raggiungeranno 55 gigatonnellate entro il 2030, in assenza di cambiamenti nelle attuali politiche. Nel rapporto Food for Thought del 2021, si stima che il passaggio a proteine alternative a manzo, maiale, pollo e uova farà risparmiare più di 1 gigaton di CO2 entro il 2035. Ciò equivale a decarbonizzare la maggior parte delle industrie aeronautiche o navali o circa il 22% dell’edilizia. Nello scenario al rialzo (che prevede che proteine alternative acquisiscano una quota di mercato del 22%), vediamo la decarbonizzazione di 2,2 Gt CO2e, ovvero il 4% delle emissioni nell’attuale scenario delle politiche delle Nazioni Unite, entro il 2030.
C’è anche un bonus. Qualsiasi cambiamento significativo nelle diete verso proteine più alternative avrà un effetto immediato sul pianeta, dal momento che le emissioni di gas serra dell’allevamento di animali includono una quota sostanziale di metano, fino al 50%. Il metano ha un potenziale di riscaldamento globale molto più elevato della CO2 e una permanenza atmosferica molto più breve.
Il picco della carne
Certe previsioni sembrano un po’ ottimistiche: secondo un altro rapporto di BCG, l’Europa si sta dirigendo verso un “picco della carne” nel 2025, in cui il consumo si sposterà verso alternative in numero maggiore, siano esse di origine vegetale o in laboratorio. Esperti del settore, tra cui Pat Brown, fondatore di Impossible Meat, hanno previsto che la “fine” della carne arriverà prima della metà del secolo. Brown prevede che i prodotti animali saranno obsoleti in poco più di un decennio. La sua previsione rispecchia un rapporto del 2019 della società di consulenza AT Kearney secondo cui la maggior parte dei prodotti a base di carne del mondo non proverrà dagli animali entro il 2040.
Questo sta portando a investimenti sempre maggiori, lo vediamo in continuazione, sia da parte di startup e venture capitalist, che da parte di corpration tradizionali del settore che stanno tentando una virata verso il nuovo settore. Il capitale di rischio investito in proteine alternative è aumentato a un tasso annuo del 124%, da 1 miliardo di dollari nel 2019 a 5 miliardi nel 2021, secondo il Good Food Institute. Investimenti in aziende basate sulla fermentazione e su cellule animali, due nuove tecnologie, sono in aumento: dal 2019 al 2021, la prima è aumentata di oltre il 137%, da 300 milioni a 1,7 miliardi, e la seconda è aumentato di oltre il 425%, da 50 milioni a 1,4 miliardi.
Ciononostante, e a dispetto anche della propensione dei consumatori che mostra un’apertura sempre maggiore nei confronti delle proteine alternative, gli investimenti in alimenti sostenibili sono solo una frazione di quelli destinati ad altri settori. La strada è lunga.