“Perché dovrei diventare vegetariano?” Ai Millennial – i nati tra gli anni ’90 e i primi anni del 2000, 2,5 miliardi di persone, 10 milioni solo in Italia, prima generazione veramente digitale – non gliene frega niente di cosa potrebbe essere gradito all’altro sesso, se esiste vita dopo la morte o altre quisquilie del genere.
A loro interessa il cibo. Il cibo, certo.
Ma non tanto mangiarlo, no: a loro interessa più di tutto informarsi sul cibo, conoscere tutto sull’alimentazione, sapere perché dovrebbero nutrirsi preferibilmente di vegetali e bacche piuttosto che di prosciutti e cotechini.
Logico, d’altronde: altrimenti, che Millennial sarebbero? Non sono forse loro i più informati, i più connessi, i più smart, i più attenti a tutti i temi principali dei giorni nostri?
E uno dei punti di maggiore interesse nei nostri tempi è appunto il cibo. I suoi effetti sul nostro organismo, sulla nostra salute, sull’ambiente che ci circonda e tutto quanto di altro sia attinente all’argomento.
E proprio loro, i Millennial, sono quelli che maggiormente s’informano su Google sugli eventuali benefici di una dieta vegetariana, e che stanno verosimilmente indirizzando il mondo verso una nutrizione sempre più distante dalla tipica dieta a base di carne e prodotti di origine animale, per avvicinarsi a un’alimentazione “veg-centrica”, dove bistecche e zamponi cederanno il passo a rape e cavolfiori.
Un cambiamento epocale, considerando che solo fino a ieri le verdure sulle nostre tavole non avevano vera dignità di piatto a sé stante, ma erano (sono?) considerate al livello di scipito contorno, di mero accompagnamento per portate ben più sostanziose, e anzi, spesso percepite dai bambini così poco gradevoli da aver bisogno di una qualche giustificazione per essere trangugiate.
Percezioni che ci portiamo dietro anche da grandi, ovviamente.
Mangiare vegetariano fa bene alla salute?
E’ stato stimato che solo il 6% degli americani, tra i maggiori consumatori di carne del pianeta, consuma la dose giornaliera di verdure raccomandata dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), vale a dire circa 400 grammi tra frutta e verdura, infischiandosene di tutti i misfatti di cui l’eccesso di consumo di carne è accusato.
Patologie cardiache, ictus, tumore, diabete di tipo 2, obesità.
Patologie che invece vedrebbero diminuire drasticamente la loro incidenza se sostituissimo (l’eccesso di) bistecche e zamponi con broccoli e cavolfiori.
E all’ambiente?
Anche l’ambiente ricaverebbe grandi benefici da una nostra conversione alle verdure: è stato stimato infatti che ben il 30% della superficie emersa è utilizzata per allevamenti di animali o per il loro foraggio, e che ben il 20 per cento delle emissioni di CO2 dannose per l’ambiente provengono proprio dagli allevamenti.
Una dieta basata maggiormente sulle verdure, invece, contribuirebbe a ridurre le emissioni di gas serra a tutto beneficio della nostra salute. Anzi, è stato stimato che la maggior parte delle emissioni di gas dannose è da imputarsi non a trasporti o riscaldamento, ma proprio agli allevamenti.
Ma non per tutti è così facile diminuire il consumo di carne: in gioco ci sono anche fattori di identità culturale, per cui la carne non rappresenta un semplice alimento, ma anche una tradizione, un simbolo di appartenenza o un rituale radicato nella cultura, come il tacchino mangiato negli USA nel giorno del Ringraziamento o le nostre tagliatelle al ragù della domenica.
Per quanto lento, però, il cambiamento è comunque in atto, tant’è che i media stanno dedicando sempre più spazio alla “nuova carne”, come il magazine Vogue ha ribattezzato le verdure.
Anche il mondo della ristorazione si sta adeguando: in molti locali tra i più attenti alle nuove tendenze, le verdure vengono già servite come piatti a sé stanti, e non come semplice contorno, mentre i piatti di carne sono spesso destinati a un piccolo, risicato spazio in fondo al menù.
Ma cosa succederebbe se improvvisamente diventassimo tutti vegetariani?
Davvero l’umanità intera non potrebbe che ricavare benefici da una dieta esclusivamente a base di vegetali, sia in relazione alla salute e sia in tema di inquinamento e salvaguardia dell’ambiente?
Davvero potremmo vivere tutti meglio, più sani e in un ambiente con un’atmosfera più pura e salubre per l’uomo?
No.
O meglio, non tutti.
Se infatti un’alimentazione più fondata su frutta e verdure avrebbe innegabili benefici effetti sul clima, sul territorio e su una parte della popolazione mondiale, causerebbe però un aumento della povertà nei Paesi in via di sviluppo, così come riportato da un recente articolo della BBC.
Certo, se tutti diventassimo vegetariani entro il 2050 si potrebbero salvare dalla morte per fame circa 7 milioni di persone, e ben 8 milioni se la svolta fosse completamente vegana, ma cosa succederebbe se attualmente, nel nostro sistema, diventassimo tutti improvvisamente vegetariani dal giorno alla notte?
Gli effetti sul riscaldamento del clima.
Innanzi tutto andrebbero considerati gli effetti positivi sul clima. Come abbiamo detto la produzione di cibo infatti vale da un terzo a un quarto di tutte le emissioni di gas serra causate dall’uomo, e la responsabilità di questi valori è da attribuire quasi interamente all’industria del bestiame.
Ad esempio, è stato stimato che una famiglia media degli Stati Uniti è responsabile, con la sua alimentazione prevalentemente a base di carne, dell’emissione di gas serra tanto quanto l’utilizzo medio di due vetture.
Mentre una recente ricerca effettuata da Marco Springmann, ricercatore presso presso l’ Oxford Martin School’s Future of Food, sostiene che se entro il 2050 diventassimo tutti vegetariani, le emissioni di gas serra diminuirebbero ben del 60%, e addirittura del 70% se tutti diventassimo vegani.
Il 68% della terra coltivabile è destinato agli animali.
Gli allevamenti di bestiame, inoltre, utilizzano anche un’enormità di terreno, e dei cinque miliardi di ettari di terreno agricolo totali del pianeta, ben il 68% viene impiegato per il bestiame.
Se diventassimo tutti vegetariani, potremmo nuovamente destinare l’80% di questi terreni a prati e foreste, che contribuirebbero a diminuire il quantitativo di CO2 nell’aria, e destinare il restante 20% a terreno agricolo, dedicato alle colture di vegetali per l’alimentazione umana.
Ma tutta questa riconversione richiederebbe comunque un’ attenta pianificazione e notevoli investimenti: non basta togliere gli animali da un terreno perché questo si trasformi da solo, magicamente, in una foresta lussureggiante.
Il lavoro
Altro grande problema da tenere presente e pianificare con attenzione riguarda senza dubbio le persone che lavorano nel settore degli allevamenti o comunque del bestiame.
Se dovesse venire a mancare la loro unica fonte di reddito, sarebbe necessario reindirizzare tali risorse verso una nuova mansione nell’agricoltura, magari rendendole parte attiva nel processo di rimboschimento, o fornendo comunque loro qualche valida alternativa lavorativa, per non andare incontro ai conseguenti problemi di disoccupazione.
Ci sono infatti 3,5 miliardi di animali da allevamento sulla Terra, e decine di miliardi di volatili abbattuti ogni anno per l’alimentazione umana, afferma Ben Phalan, ricercatore in materia di domanda alimentare e biodiversità alla Cambridge University.
Se tutti diventassimo vegetariani, sarebbe comunque indispensabile garantire agli addetti che lavorano nel campo del bestiame, nonché nell’indotto, una valida alternativa di sostentamento.
Problemi di riconversione
Ma non è semplicemente sfrattando gli animali che si possono guadagnare terreni agricoli o verdeggianti foreste.
Un terzo dei terreni del mondo è infatti composto da spazi aridi o semi aridi, in grado di essere adibiti solamente a pascolo.
Quando in passato si è cercato, per esempio, di convertire parti del Sahel, regione a sud del Sahara, da terreno di pascolo a terreno agricolo, il risultato è stato la desertificazione e la perdita di produttività, e la riconversione non solo non ha portato ad alcun beneficio ma anzi, si è dimostrata dannosa.
La carne inoltre inoltre, è ancora la principale risorsa alimentare per alcune popolazioni, come ad esempio i gruppi nomadi dei Berberi o dei Mongoli, che senza il bestiame dovrebbero stabilirsi permanentemetne in centri cittadini perdendo la loro identità culturale.
E l’impatto sarebbe comunque notevole anche nella nostra civiltà, da sempre abituata al consumo di carne.
Ma anche se si trovasse il modo di far fronte a tutti questi problemi, al momento una ricetta universale per offrire una buona qualità della vita, e dell’alimentazione a tutti gli abitanti della Terra non sembra possa essere trovata.
Infatti, le proteine di origine animale contengono più calorie e nutrienti preziosi che non i cereali o i vegetali, e sostituirle del tutto si ripercuoterebbe negativamente non su di noi, pasciuti occidentali per cui il vegetarianesimo è quasi un vezzo, bensì sui due miliardi di persone sotto-noutrite del pianeta.
“Diventare tutti vegetariani potrebbe creare seri problemi di salute per le popolazioni in via di sviluppo: da dove potrebbero ricavare le preziose sostanze nutritive, senza la carne?”, si chiede Tim Benton, ricercatore su temi alimentari all’Università di of Leeds.
Soluzione: la chiave è la moderazione
Ma per fortuna, la soluzione è forse più a portata di mano di quel che sembra, e come in ogni cosa, il giusto mezzo è il sistema per salvare capra e cavoli.
Non abbiamo bisogno di diventare tutti vegani dall’oggi al domani, abbandonando completamente uova e bistecche a favore di frutta e verdura. La chiave non è eliminare completamente carne e prodotti di origine animale dalle nostre tavole, ma di diminuirne la frequenza di consumo, nonché le quantità.
Non si ha a che fare, cioè, con una scelta drastica tra alimentazione carnivora o vegetariana, non c’è nessun aut-aut tra broccoli e bistecca.
Basta arrivare a considerare la carne non più come il piatto principale imprescindibile ogni giorno della settimana, ma considerarlo come una piccola leccornia da concedersi con moderazione, e gusto, durante la settimana.
E per quanto riguarda tutti gli altri pasti, dedicarsi invece alla verdura, cercando di renderla, con appropriate tecniche di coltivazione e di mercato, più economica, più fresca e più ampiamente disponibile.
Il futuro del pianeta è nelle nostre mani, o meglio nelle nostre papille. E la sua salvaguardia non passa attraverso rinunce drastiche o decisioni avventate, bensì attraverso politiche lungimiranti e scelte quotidiane ragionate.
Solo in questo modo garantiremo un futuro migliore all’umanità. Senza penalizzare nessuno.
[Crediti | Link: Bbc, Vogue, Repubblica]