C’è chi lo considera l’ingrediente più rischioso sulle nostre tavole (Grillo e il M5S che volevano apporre la dicitura “può essere dannoso per la salute” su una serie di prodotti, proposta bocciata dal governo) e chi ne riconsidera gli effetti negativi (i deputati francesi che hanno appena ridotto la cosiddetta tassa sulla Nutella istituita nel 2012).
Chi lo vede come il fumo negli occhi (Il Fatto Alimentare ne ossessionato) e chi pensa che non sia diverso da altri tipi di grassi (Unione Italiana per l’olio di palma sostenibile, l’associazione che sostiene la campagna di spot trasmessi in televisione dal 28 febbraio, composta da multinazionali come Nestlé, Unilver e Ferrero e altri nomi dell’industria alimentare).
Sull’olio di palma ci sono due agguerrite fazioni contrapposte.
Quale delle due ha ragione?
Il parere dell’Istituto Superiore di Sanità
Per fare chiarezza, il ministero della Salute ha chiesto all’Istituto Superiore di Sanità un parere sulle conseguenze per la salute dell’olio di palma.
Nel documento l’Iss sottolinea come questo olio di per sé non possa definirsi tossico, tutto dipende da quanto se ne consuma.
In pratica i problemi dell’olio di palma scaturiscono dal contenuto di grassi saturi, un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, pari a circa la metà del totale e più alta rispetto a quello di altri oli vegetali in uso nel settore alimentare: un consumo eccessivo di grassi saturi, che si trovano anche in latte, burro, formaggi, carne e uova, è infatti associato a un eccesso di colesterolo.
L’olio di palma perciò non è rischioso di per sé ma lo diventa quando se ne assume troppo: una probabilità reale dal momento che si trova in molti prodotti alimentari industriali dei quali si fa largo consumo tipo cracker, biscotti, cibi pronti, merendine e ovviamente Nutella.
Tutto dipende da quanto olio di palma si consuma
Per capire l’impatto sulla nostra dieta, i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità hanno misurato la quantità di grassi saturi naturalmente contenuti negli alimenti di uso comune, e quelli dell’olio di palma che viene aggiunto ai prodotti dall’industria alimentare.
Se l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che l’assunzione di grassi saturi di qualunque natura non superi il 10% delle calorie giornaliere, le stime degli scienziati indicano che nei bambini italiani questa percentuale è compresa tra l’11 e il 18 per cento, mentre negli adulti si attesta attorno all’11 per cento.
Il problema con i bambini
Questo vuol dire che nei bambini andrebbe fatta più attenzione a contenere i consumi di grassi saturi in generale.
Come facilmente prevedibile i calcoli dell’Iss rilevano che nei bambini dai 3 ai 10 anni circa il 70 per cento dei grassi saturi deriva dal consumo di alimenti quali carne, latte, latticini e uova, mentre il restante 30 per cento da snack, biscotti, gelati e cioccolato, di cui la dieta dei più piccoli è spesso ricca.
L’olio di palma spiegato con parole semplici
Come detto si tratta di un olio vegetale, il più utilizzato al mondo nell’industria alimentare (specie nei prodotti da forno: molti biscotti, merendine, cracker, fette biscottate, snack e anche gelati) per un vantaggio innegabile: fa parte dei grassi solidi, tipo il burro. Vale a dire che rende gli alimenti cremosi senza interferire nei sapori, permettendo di eliminare il vecchio e molto nocivo processo di idrogenazione dei grassi.
Inoltre la pianta da cui si ricava, coltivata soprattutto in Malesia e Indonesia, ha una resa eccezionale: a parità di superficie occupata garantisce più olio rispetto ad altre coltivazioni come girasole e soia per esempio.
Trasformare in olio i frutti della palma, chiamati drupe, significa sterilizzarli attraverso il vapore, privarli del nocciolo, e dopo la cottura passarli sotto una grossa pressa per ricavare il liquido che viene in seguito raffinato assumendo l’aspetto che vediamo negli spot televisivi.
Perché alcune aziende hanno eliminato l’olio di palma dai loro prodotti?
Oltre ai dubbi sulle conseguenze dell’olio di palma per la salute esiste un problema ambientale.
Dietro la richiesta dell’industria alimentare che si fa sempre più pressante, le piantagioni stanno vivendo uno sviluppo tumultuoso, specie in Indonesia, dove molti coltivatori incendiano vaste frazioni di foresta per ricavare nuovi campi coltivabili. Un’inchiesta di AltroConsumo ha appurato che nel 2012, il 70% delle coltivazioni si trovava in aree prima occupate da foreste distrutte o incendiate, causando danni enormi alla biodiversità locale e un’impennata di gas serra nell’atmosfera.
Anche se è sbagliato imputare il problema della deforestazione soltanto all’olio di palma che occupa una percentuale limitata dei terreni utilizzati per la produzione di oli a uso alimentare
Comunque, anche per i problemi causati all’ambiente alcuni marchi hanno firmato la petizione “Stop olio di palma” eliminando l’olio, o promettendo di farlo, dai loro prodotti. Come ad esempio: Coop, Esselunga, Carrefour, Iper, Despar, Primia con i marchi Basko, Poli, Tigros e Iperal, Crai, Ikea, Ld Market, Picard, MD discount e U2.
In definitiva, dobbiamo evitare l’olio di palma?
Detto dei problemi legati all’ambiente, dal punto di vista della salute non esiste una specifica ragione per evitare il consumo di olio di palma. Dobbiamo tuttavia mantenere l’assunzione di acidi grassi saturi nei limiti raccomandati, adeguando allo stesso tempo l’apporto di latte, burro, formaggi, carne e uova, cioè a dire gli alimenti assunti di frequente e ricchi di grassi saturi
Tutto questo, va da sé, nell’ambito di stili di vita sani e di una dieta equilibrata.
Insomma un biscotto con l’olio di palma non uccide nessuno. Certo, non si deve esagerare.
[Crediti | Link: Ansa, Il Fatto Alimentare, AltroConsumo, Il Post]