“Mamma, cos’è un Happy Meal? Me ne compri uno?”. Matilda, sei anni tra un mese, non ha mai sentito parlare in casa di McDonald’s. Ma Matilda, come più o meno tutti i bambini della sua età, è una fan sfegatata dei Me Contro Te. E i Me Contro Te sono fan di McDonald’s, almeno a giudicare dall’enorme quantità di contenuti che i due influencer siciliani dedicano al fast food più famoso del mondo.
Ma andiamo con ordine, perché c’è la concreta possibilità che non sappiate di cosa stiamo parlando, se non avete meno di quindici anni o non avete un figlio in quella fascia d’età, e invece qui c’è in ballo una questione che riguarda tutti noi.
Me Contro Te: chi sono
Se non avete sentito mai parlare dei Me Contro Te, è solo perché non siete in target. Ma se non avete idea di chi sono, sappiate che state vivendo fuori dal mondo reale. Sofia Scalìa e Luigi Calagna, 22 e 26 anni, sono gli idoli assoluti di una generazione. Se voi avevate Calimero e Carmencita, i bambini di oggi hanno i Me Contro Te. E l’esempio che abbiamo scelto non è casuale: i loro video su YouTube sono un po’ il carosello degli anni Duemila, dove la narrazione simpatica a misura di bambino spesso e volentieri si mescola con la pubblicità (fosse anche solo per le centinaia di prodotti brandizzati da loro).
Ma le proporzioni e le dinamiche, è bene chiarirlo, sono totalmente diverse. Intanto perché il mondo dei Me Contro Te è totalmente precluso agli adulti. Troppi genitori, anche i più attenti e presenti, lasciano YouTube in mano ai propri figli, rassicurati dal fatto che sul più famoso canale dedicato ai bambini i contenuti saranno adatti a loro. La televisione si guarda in famiglia, i video dei Me Contro Te sono appannaggio esclusivo dei più piccoli (anche perché è dura per un genitore seguire una telecamera che zoomma avanti e indietro su una coppia di poco più che teeneger perennemente entusiasti della vita).
E sono appannaggio di TUTTI i bambini, verrebbe da dire. Con 5,82 milioni di iscritti al loro canale Youtube, due film all’attivo (uno già uscito al cinema con incassi record, l’altro in arrivo), quasi 40 milioni di views a gennaio 2021 (fonte: Prima Online), i Me Contro Te sono la Chiara Ferragni della fascia 0-14.
I video su McDonald’s
Il fatto è che i Me Contro Te hanno una vera passione per McDonald’s. Basta digitare “Me Contro Te Mcdonald’s” sulla barra di ricerca di Youtube per accorgersene. Quello che compare sono decine di video con quello che pare product placement più o meno invasivo, che va dal mostrare dieci bicchieri brandizzati per una challenge (se avete bambini non serve che vi spieghi, lo sapete anche voi cos’è una challenge dei Me Contro Te) al video di diciotto minuti (diciotto!) intitolato “Compriamo tutto il menù del McDonald’s”, in cui i due influencers fanno esattamente quello che promettono, acquistando tutto l’acquistabile dalla app di servizio a domicilio e poi procedendo meticolosamente all’unboxing (se avete bambini non serve che vi spieghi, lo sapete anche voi cos’è un’unboxing) delle buste di McDonald’s che gli vengono consegnate.
Un video, attenzione, che a oggi ha 9 MILIONI DUECENTOOTTANTOTTOMILA visualizzazioni. Molte delle quali, devo ammetterlo, arrivano anche da mia figlia, a cui è presa un’improvvisa voglia di andare al McDonald’s pur non avendo mai visto un panino da fast food in casa.
Il presente è online
La televisione è moribonda, la carta stampata non ne parliamo, perciò il futuro è l’online. Il futuro sono gli influencer, e non solo perché fanno più numeri e hanno un target chirurgicamente preciso, ma anche perché vivono in una zona ancora grigia della regolamentazione pubblicitaria.
Il panorama dei video per bambini su YouTube comprende tonnellate di contenuti di questo tipo: c’è Alyssa che ha un intero negozio di giocattoli nella sua cameretta. Ci sono Leonardo e Arex & Vastatore che scartano una bustina a sorpresa dopo l’altra, costringendo noi genitori a un continuo pellegrinaggio in edicola. E appunto, ci sono i Me Contro Te, con il cui logo si trova in commercio ogni genere di cosa, dall’oggettistica ai giocattoli. Tutti questi influencer per bambini hanno in comune una cosa: il product placement. Una cosa che andrebbe certamente posta all’attenzione di chi di dovere, soprattutto quando i contenuti promossi veicolano messaggi discutibili e discussi.
Non a caso il mondo va nella direzione di regolamentare, limitare o addirittura vietare le pubblicità indirizzate ai più piccoli, e in particolare quelle dedicate a stili di vita non propriamente salubri (l’UK sta lavorando su un divieto assoluto delle pubblicità di junk food rivolte ai minori, per combattere l’obesità infantile). Ma quello stesso mondo non tiene conto dei tempi che corrono più veloci delle discussioni parlamentari. Una proposta di regolamentazione che impiega un anno a venire approvata è già vecchia, se nel frattempo i messaggi hanno cambiato il mezzo di riferimento.
Così, se nel 2016 Rai YoYo (il canale del servizio pubblico dedicato ai bamabini) eliminava finalmente ogni genere di consiglio per gli acquisti, gli investitori hanno avuto il tempo di migrare altrove, là dove stavano andando i bambini, spegnendo la tv e accendendo i tablet.
In Italia, di qualsiasi mezzo si parli, la situazione della sovraesposizione dei bambini a messaggi di prodotti alimentari è un problema vero, e troppo sottovalutato. Uno studio pubblicato in questi giorni sul Public Health Nutrition Journal dell’Università di Cambridge dai ricercatori del Mario Negri e da quelli dell’IIPH (Italian Institute for Planetary Health) di Milano ha fatto presente che l’80% delle pubblicità di prodotti alimentari andate in onda nelle fasce orarie dedicate ai più piccoli era, molto semplicemente, “inadeguata a promuovere un’alimentazione corretta e sana”.
Non solo: per la prima volta, forse, l’accento è stato posto proprio sul “problema” YouTube, indubbiamente il medium preferito dai più piccoli: “è necessaria una rigida vigilanza e un’auspicata regolamentazione delle pubblicità che vi sono trasmesse” , ha detto chiaramente Silvano Gallus, uno dei referenti che ha condotto lo studio. A tal proposito, per dovere di completezza è giusto specificare che evidentemente anche YouTube ha realizzato che quel tipo di contenuti non è esattamente adatto ai più piccoli: se anziché con il portale video standard si ricerca “Me Contro Te McDonald’s” utilizzando YouTube Kids (la versione con soli contenuti kids friendly di YouTube) quei video non compaiono, segno che forse sono stati selezionati come inappropriati per il pubblico dei minori.
Ma il problema resta, e la domanda da farsi è: chi ha un seguito di quasi sei milioni di bambini, non avrebbe l’obbligo morale di selezionare attentamente i messaggi che veicola? E se non vogliamo chiamare in causa la moralità, non sarebbe il caso di prevedere la messa in atto dell’obbligo giuridico di tutelare i consumatori, specialmente quelli più piccoli, ingenui e influenzabili? In pratica, indipendentemente dal grado di attenzione che un genitore può avere nei confronti dei contenuti propinati ai propri figli, è lecito che i bambini siano bombardati da uno spottone a McDonald’s della durata di venti minuti con protagonisti i loro idoli, che sarebbero in grado di convincerli a comprare praticamente qualsiasi cosa?
Cosa prevede la legge
Ahinoi la risposta è sì, è lecito. O meglio, come abbiamo già detto, è questo tipo di comunicazione a trovarsi in una zona grigia della regolamentazione. Una zona grigia che però tende al nero, se si guardano i dettagli e si esclude il fatto che per le regolamentazioni dei contenuti online siamo purtroppo indietro di diversi anni.
Per esempio, in televisione un contenuto come quello dei Me Contro Te che per diciotto minuti acquistano panini di McDonald’s non sarebbe in alcun modo possibile trasmetterlo, per diversi motivi. C’è ad esempio il Decreto Ministeriale n. 425 del 30 novembre 1991, relativo alla pubblicità televisiva dei prodotti del tabacco e delle bevande alcoliche e alla tutela dei minorenni, che prevede che “la pubblicità televisiva, allo scopo di impedire ogni pregiudizio morale o fisico ai minorenni, non deve esortare direttamente i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l’inesperienza o la credulità”.
Ma c’è tutta una regolamentazione dettagliata, che prevede, in televisione, che gli spot pubblicitari debbano “costituire eccezioni” all’interno di un programma (non più del 4% dell’orario settimanale di programmazione), e che tra un’interruzione pubblicitaria e l’inizio di quella successiva debbano trascorrere almeno 20 minuti.
E, non in ultimo, come specificato nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, c’è il fatto che “la pubblicità televisiva e le televendite devono essere chiaramente riconoscibili e distinguibili dal contenuto editoriale”. Questo, vale la pena specificarlo, succede anche sul web e sui social dove, come ha più volte ricordato l’Antitrust, ogni contenuto di natura pubblicitaria deve essere ben segnalati agli utenti, per esempio inserendo l’hashtag #adv.
Insomma: qualsiasi inserimento di un prodotto a scopo commerciale deve essere chiaramente dichiarato, in modo che l’utente ne abbia piena consapevolezza.
Piena consapevolezza che un bambino probabilmente non potrebbe comunque avere, e proprio per questo ci si aspetterebbe una tutela ancora maggiore.
McDonald’s, in tutto ciò, non ha pagato i Me Contro Te
Sarà che parlare di McDonald’s significa (quasi) automaticamente assicurarsi l’interesse popolare, sarà che la pratica del “mukbang” (quella per cui si ingurgitano cose davanti al proprio pubblico) è ampiamente diffusa presso gli influencer “per adulti e anche con i bambini doveva funzionare per forza (per forza?!) di cose, ma McDonald’s Italia non ha nulla a che fare con i contenuti di cui vi abbiamo parlato.
“A livello globale McDonald’s si attiene a precise norme sulla promozione dei propri prodotti rivolta ai bambini, e in questo il nostro Paese non fa eccezione. Inoltre, McDonald’s Italia ormai da anni aderisce a EU Pledge, uno standard di condotta europeo a cui aderiscono molte marche dell’industria alimentare che norma in modo stringente la comunicazione ai bambini sotto i 12 anni, non solo per quanto riguarda la classica pubblicità ma anche i materiali presenti nei ristoranti e tutte le altre forme di comunicazione, compreso l’influencer marketing. Per queste ragioni, non abbiamo mai collaborato con i Me contro Te, né con altri soggetti che si rivolgono esplicitamente a bambini e ragazzi sotto i 12 anni”: scrive McDonald’s Italia a Dissapore.
Una policy che fa onore alla multinazionale, ma che non elimina il problema alla base: una deregolamentazione pericolosa, cui solo l’etica delle aziende e degli attori in campo (influencer, youtuber in genere e chiunque si rivolga specificatamente a minori) può sopperire. E se una legge non c’è, l’etica non la si può pretendere.