L’inflazione dei beni alimentari nel mondo è un dramma globale: dal nord al sud della Terra, la guerra e la crisi dei prezzi stanno rapidamente spingendo milioni di famiglie, e intere nazioni, sotto la soglia di povertà, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza quotidiana. Dal nord al sud del mondo, ma in modi diversi a seconda dei luoghi.
Abbiamo già visto che la crescita dei prezzi non colpisce i beni in maniera uniforme ma in certi settori meno e in altri di più, e che uno di quelli più inguaiati, per una serie di motivi, è il comparto alimentare – proprio quello che sarebbe più giusto rimanesse impermeabile alle altalenanti vicende. Abbiamo anche visto che l’inflazione dei beni alimentari non colpisce tutte le persone, e i paesi, allo stesso modo: a rimetterci di più, guarda un po’, sono i più poveri – proprio quelli che andrebbero salvaguardati maggiormente. Si può riflettere e studiare quanto si vuole sui meccanismi economico-sociali che stanno all’origine di questa situazione, ma resta teoria. Quando si passa alla pratica – entrati ormai nell’ottavo mese della guerra russa all’Ucraina, e con fosche previsioni sul futuro – le cose appaiono come realmente sono: drammatiche.
La crescita dei prezzi del cibo nel mondo
Quali sono i paesi del mondo più colpiti dalla crescita dei prezzi del cibo? Un recente studio della Banca Mondiale – relativo alla primavera e alla prima parte dell’estate 2022, cioè i mesi in cui i picchi sono stati più alti – mostra quanto vasta e profonda sia la crisi. I numeri come vedete nella tabella sopra sono impressionanti, anche se si considera l’inflazione reale e non quella nominale.
In cima c’è il Libano, seguito dallo Zimbabwe e dal Venezuela: tre paesi, tre continenti. Un’altra cosa che si nota è che subito sotto nella classifica ci sono paesi cosiddetti a reddito medio, come la Turchia, l’Iran, l’Argentina; non proprio tra le nazioni meno sviluppate e più problematiche del mondo. La Banca Mondiale poi osserva come ci siano alcuni paesi doppiamente in crisi perché colpiti sia dall’inflazione che dalla crescita del debito pubblico: Afganistan, Mauritania, Somalia, Tagikistan, Yemen. Anche qui, si nota come sia un problema che affligge varie regioni del mondo.
L’inflazione food in Europa
In Europa l’inflazione nel settore food and beverage (e tabacco) è arrivata all’8,9% a luglio e al 9,1% ad agosto. I paesi baltici continuano ad essere i più colpiti; L’Estonia, in particolare, sta registrando i livelli di inflazione più elevati nella zona euro e ha visto l’inflazione aumentare anno dopo anno dal 6,4% a settembre 2021 al 24,2% a settembre 2022. Anche in Lettonia e Lituania l’inflazione ha raggiunto rispettivamente il 22,4% e il 22,5%.
La crisi dei prezzi del cibo in Africa
In Africa la crisi dei prezzi colpisce il cibo in maniera drammatica: stiamo parlando del continente con il maggior numero di economie in via di sviluppo, quelle cioè dove il costo dei generi di prima necessità incide di più sui bilanci.
Nell’Africa subsahariana i prezzi dei generi alimentari di base sono aumentati in media del 23,9% nel 2020-22, il massimo dalla crisi finanziaria globale del 2008: lo riporta il Fondo Monetario Internazionale. Un aumento spaventoso in assoluto, e anche relativamente alla pur alta inflazione che riguarda il paniere dei beni completo (+8,5%).
Poiché la regione importa la maggior parte dei suoi principali alimenti di base (grano, olio di palma e riso), l’aumento dei prezzi sul mercato globale si riflette pari pari sui prezzi locali: qualsiasi sbalzo viene subìto senza cuscinetti. Anche i prezzi dei prodotti di base di provenienza locale sono aumentati in alcuni paesi a causa delle interruzioni della supply chain interna (a sua volta effetto dell’inflazione sulle fonti di energia), del deprezzamento della valuta locale e dell’aumento dei costi di fertilizzanti. In Nigeria, ad esempio, i prezzi sia della manioca che del mais sono più che raddoppiati anche se sono prodotti principalmente in loco. In Ghana, i prezzi della manioca sono aumentati del 78% nel 2020-21, per effetto, tra gli altri fattori, di costi di produzione più elevati e di problemi nei trasporti.
La quota di consumo di ogni alimento di base subisce maggiormente l’effetto prezzi. Ciò è dovuto in parte al reddito. Le famiglie più abbienti possono permettersi una gamma più ampia di alimenti, ma per i poveri ci sono pochissimi sostituti per i prodotti di base, che costituiscono quasi i due terzi della loro dieta quotidiana.
Per una volta, purtroppo, le cose non sono molto diverse nell’altra delle due macroregioni in cui si suol dividere il continente: il Nordafrica. Tanto che il report specifico della Banca Mondiale è stato accolto positivamente in Tunisia e Marocco, dove l’inflazione dei beni alimentari è stata a giugno “solo” del 9,9% e del 10,6%, rispettivamente. Sembra tanto, ma non lo è rispetto al record del 22,4% in Egitto.
L’inflazione del cibo in Asia, dall’Indonesia all’India
Anche in Asia l’inflazione del cibo picchia duro, e peggio ancora picchia sui poverissimi. Un drammatico reportage del South China Morning Post dall’Indonesia racconta di famiglie di lavoratori manuali, in un povero villaggio di Bali a un tiro di schioppo dai lussuosi resort del turismo internazionale, che sono costretti a scegliere se mettere un piatto a tavola o far proseguire ai figli la scuola: e indovinate un po’ cosa fanno.
Jakarta ha stanziato 24,17 trilioni di rupie (1,5 miliardi di euro) per aiutare più di 20 milioni di famiglie più povere del paese a superare l’ondata di inflazione che è seguita all’aumento del prezzo del carburante. Le famiglie idonee ricevono già assistenza attraverso il Family Hope Program del governo e riceveranno ulteriori 600.000 rupie (45 euro) ciascuna. Pare però che la distribuzione dei fondi – o il loro impiego, perché in certi casi arrivano direttamente derrate alimentari – sia in ritardo e in molti casi proprio interrotta.
Retno Listyarti, commissario presso la Commissione nazionale per la protezione dell’infanzia, spiega al giornale asiatico come povertà e abbandono scolastico siano strettamente intrecciate e possono instaurare effetti negativi a lungo termine: “Se più bambini abbandonano la scuola, ciò ostacola l’obiettivo del governo di frenare la povertà e si traduce in più matrimoni precoci. Se questo continua a succedere, si creerà un circolo vizioso di povertà poiché i genitori che si diplomano solo alla scuola primaria avranno probabilmente risorse limitate per pagare l’istruzione superiore per i loro figli”.
In India, racconta il giornale indipendente East Mojo, le fasce più povere della popolazione spendono più del 40% del loro reddito per il cibo, rispetto al 36% per le famiglie dipendenti dal welfare in Australia e al 27% per quelle con i redditi più bassi negli Stati Uniti. Per questi gruppi, un aumento sostenuto dei prezzi dei generi alimentari significa un aumento sia della fame che della povertà.
A luglio 2022 l’inflazione è stata per i cereali al 7%, oli e grassi al 7,52%, verdure al 10,9% e cibo e bevande in generale al 6,71%. I salari non hanno tenuto il passo con i prezzi. Nei due anni fino a giugno 2022, i salari medi agricoli (reali) sono diminuiti del 2,67% e i salari medi non agricoli (reali) nelle aree rurali sono diminuiti del 4,51%. Con il cibo che diventa meno accessibile, le persone tendono a passare a cibi di qualità inferiore e anche a ridurre gli alimenti più nutrienti come frutta, verdure ad alto contenuto nutritivo, latte e carne. Un problema dato che le diete in India mancano già di diversità e di nutrienti essenziali. Si stima che circa il 70 per cento degli indiani non possa permettersi una dieta sana.
In India – con il suo miliardo e 390 milioni di abitanti il secondo paese più popoloso del mondo, ma il sorpasso sulla Cina è questione di pochi anni – però finora il programma governativo di aiuti ha funzionato: le razioni di cereali hanno impedito a milioni di persone di cadere nella povertà estrema durante la pandemia. La settimana scorsa è stato prorogato per la sesta volta il programma: c’è cibo stoccato a sufficienza per supportare la misura e altri interventi come i pasti gratuiti nelle mense scolastiche e gli aiuti ai bambini sotto i sei anni e alle donne in gravidanza e in allattamento.