Un paio di giorni fa ha piovuto abbastanza a Venezia, la città da cui scrivo. Eravamo tutti felici di una giornata di pioggia ad agosto, perché sono quattro mesi che non piove e in molte città hanno già cominciato a razionare l’acqua. Una trentina di anni fa, quando ero piccola, nessuno si sarebbe rallegrato di una giornata di pioggia ad agosto, sarebbe stata solo una seccatura che portava via un giorno di ferie. Non ho nessuna competenza per commentare argutamente il problema della siccità, e il motivo per cui quest’anno sembra essere più grave dell’anno scorso, ma nelle mie peregrinazioni gastronomiche ho scoperto una cosa semplice, che però non sapevo: l’erba medica, il foraggio animale per eccellenza, non deve essere irrigato, il mais invece sì.
Me lo ha raccontato Marco Fregnan, fondatore, insieme alla figlia Giorgia e al genero, di una piccola azienda cerealicola biologica, la Agrifree del Delta del Po, che si sta facendo notare per una serie di lavorati di frumento integrale con un ciclo di produzione privo di scarti e che recentemente ha ricevuto una menzione dalla Regione Veneto.
Dato che al momento il problema maggiore dato dalla siccità è il mantenimento del terreno irriguo, mi è sembrato opportuno approfondire come mai coltiviamo un sacco di cose che hanno bisogno di un sacco d’acqua e tralasciamo invece le colture che non la sprecano.
Marco Fregnan, oltre che agricoltore, è stato per moltissimi anni agente di vendita di foraggi del gruppo Carli, tra i maggiori d’Italia, e quindi sulle produzioni foraggere sa il fatto suo.
Cos’è l’erba medica?
Ma partiamo dall’inizio, l’erba medica, chiamata in alcune zone anche erba Spagna, è una leguminosa da sempre usata per l’alimentazione animale. Si chiama così perché è molto coltivata in Spagna e perché si suppone che la coltivazione sia stata portata in Europa dagli spagnoli, che l’avrebbero imparata nei paesi Arabi.
Ha moltissime proprietà: fibre, vitamine, saponine ed è altamente proteica. Si usa nell’alimentazione animale, soprattutto per i bovini da latte, perché l’erba medica favorisce la produzione di latte, ma si usa anche per gli allevamenti di mucche da carne e per il pollame. Nella cultura tradizionale la si raccoglie anche come rimedio fitoterapico per l’eccesso di glucosio e di colesterolo nel sangue oltre che per favorire la produzione di latte nelle puerpere. I maggiori produttori attualmente sono Italia, Spagna, Canada e California. Ha bisogno di terreni argillosi e climi temperati, ma se trova le condizioni corrette è una coltivazione molto resistente e che non ha bisogno di quasi nulla, come in generale le coltivazioni antiche e rustiche [hai detto grani antichi?].
La sua caratteristica principale è che l’erba medica ha una radice che scende molto in profondità e che si prende l’acqua da sola dalle falde, per questo non ha bisogno di irrigazione e tiene molto bene la siccità.
L’altra sua caratteristica è quella che una volta piantata dura 5 anni e, nei climi giusti, si possono fare fino a sette sfalci l’anno: il primo in aprile, poi maggio, giugno, luglio, agosto, settembre e, se la stagione aiuta e non è troppo umida, anche ad ottobre. L’effettiva utilità dei sette sfalci è che si tratta di campi molto produttivi che garantiscono cibo animale per tutto l’anno. Ma c’è un’altra caratteristica importante: dopo il primo sfalcio, che è quasi puro, nei campi crescono anche altre erbe spontanee, come il loglietto [sì proprio il famoso loglio da separare dal grano della Bibbia], che aumentano le caratteristiche positive del foraggio, in particolare il loglio è una graminacea che favorisce il fatto che il latte nei bovini sia sempre alto in nutrienti.
Infine l’erba medica non ha bisogno di concime. Essendo una leguminosa, nutre il terreno di azoto ed è perfetta per la rotazione delle colture: in genere si fanno i cinque anni di erba medica, seguiti da un anno di frumento (che gode dell’azoto rilasciato dall’erba medica), un anno di un’altra leguminosa e poi si ricomincia con i cinque anni di erba medica; in questo modo il terreno resta sempre ricco degli elementi necessari per far crescere la pianta.
L’unica controindicazione dell’erba medica è che richiede una certa sapienza nella gestione: l’erba va fatta essiccare subito e completamente; un tempo questa essiccazione si faceva sul campo, e dunque bisognava essere sicuri che nei giorni immediatamente precedenti e in quelli immediatamente successivi allo sfalcio non piovesse, altrimenti si sarebbe perso tutto il raccolto.
Oggi invece gran parte dell’erba medica viene essiccata in impianti industriali, in modo da ottenere un’essiccazione perfetta che mantiene intatte le caratteristiche organolettiche della pianta. Si creano dei “balloni” [parallelepipedi] di foraggio a fibra lunga alla massima altezza di 50 cm/60 cm che contengono proteina, fibra e betacarotene come il prodotto appena colto. Altrimenti si produce un pellettato, ovvero erba medica pressata in cilindretti come quelli per la stufa, che vengono aggiunti ad altre graminacee per l’alimentazione del bestiame (conigli, pollame, tori da carne).
L’alimentazione animale e il mais ceroso
L’alimentazione animale, soprattutto per il bestiame da latte, è tradizionalmente composta da erba medica, fieno e granaglie. Dell’erba medica abbiamo già detto, la differenza con il fieno è che con la parola fieno si intende un misto di erbe, spesso a crescita spontanea nei prati, che vengono tagliate ed essiccate. Esistono, per esempio nella zona del mantovano e in molte zone montane, alcuni campi chiamati “prati stabili” in cui si lasciano crescere le erbe spontanee che vengono aiutate con i liquami delle stalle vicine stabilendo un perfetto ciclo continuo.
Quanto alle graminacee, un tempo era soprattutto la crusca avanzata, oggi invece è invalsa una tecnica particolare: si tratta del mais ceroso, una varietà di mais ricchissima di amido, che viene coltivato a esclusivo uso animale e poi sfalciato ancora verde, e infine trinciato e fermentato per un anno in impianti dedicati e dato agli animali come mangime. Sono i celeberrimi e vituperati insilati.
Una coltivazione del genere ha diversi vantaggi per il contadino: il mais viene usato nell’interezza della pianta, non solo la pannocchia, quindi la resa è molto alta, inoltre il mais ceroso ha un’altissima resa per ettaro e non necessita di particolare attenzione nella coltura.
L’allevatore usa il mais ceroso perché è economico, il mais si è imposto rispetto all’erba medica perché solo di granella fa 100 quintali per ettaro, mentre l’erba medica in cinque anni fa 100 quintali e con tutti gli sfalci di lavoro. Infine il mais apporta all’animale molti amidi e molti zuccheri, facendolo ingrassare velocemente. Tuttavia il bestiame alimentato a mais ceroso non dà buon latte, tanto che il consorzio del Parmigiano Reggiano nel suo disciplinare di produzione, vieta l’alimentazione degli animali con mais ceroso. E poi il mais è, tra le colture delle nostre latitudini, una di quelle che necessità di maggiore irrigazione. [È cosa ormai abbastanza nota che, se anche state risparmiando acqua mentre vi fate la doccia, c’è qualcuno che sta irrigando un campo a dismisura per dar da mangiare alla vostra futura bistecca].
Il ruolo del Polesine
In Polesine si produce un’erba medica particolarmente buona, denominata “gigante polesana”, frutto di una selezione naturale operata nei secoli e dovuta al fatto che questa è una terra di piccoli allevatori che spesso producevano da sé il mangime per i propri animali. Inoltre il terreno, argilloso e sabbioso e ben irrigato grazie al Delta del Grande Fiume rappresenta l’humus ideale per questa coltivazione. La gigante polesana è diventata col tempo una specie di leggenda tra gli allevatori, tanto che i primi due sfalci vengono comprati quasi per intero dal consorzio del parmigiano Reggiano. Gli altri sfalci, oltre che per nutrire il (poco) bestiame locale, viene acquistato soprattutto dai Paesi Arabi, che hanno un’enorme produzione di latte.
Ora fatevi un giro nel Delta del Po se potete, è un posto fantastico, ma inorridirete vedendo quasi ovunque coltivazioni di mais.
Che futuro?
È possibile che questa stortura venga risanata? Per il momento il buonsenso può poco, e nemmeno le leggi di mercato, assai più influenti, sembrano voler andare nella direzione corretta, ovvero quella di ricominciare a nutrire il bestiame col fieno invece che col mais. L’unica vera possibilità al momento viene dalla legislazione che dovrebbe imporre questa via. Per il momento sembra che a livello europeo non si muova nulla. Un faro nella nebbia è l’Austria con il suo Heumilch, il latte fieno riconosciuto nel 2016 dall’Unione europea come STG (Specialità Tradizionale Garantita). Si tratta di un alimento in uso da molti secoli in Austria, in cui il formaggio proviene solo da latte di mucche alimentate a foraggio. Tuttavia negli anni Novanta le zone libera da insilati in cui l’unica produzione è il latte fieno sono passate dalle province del Tirolo, del Vorarlberg e di Salisburgo a ricoprite gran parte del paese. Ad oggi si tratta della maggiore azione fatta contro l’abuso del mais ceroso in Europa, e il fatto che il latte fieno si stia diffondendo come marchio anche in molti altri paesi, anche se non semrpe si è consapevoli di cosa significhi, può far sperare che il vento cambi.