Gianluca Fonsato è un consulente di mulino. Io non sapevo che mestiere fosse; faccio fatica a chiamare i panettieri “panificatori” come va di moda da qualche tempo, figuriamoci questo. Però conoscendolo mi sono resa conto che il consulente di mulino è un mestiere vero, e, oserei dire, necessario nel bailamme contemporaneo intorno al pane. Praticamente lavora per il mulino ma parla la lingua dei panettieri, così può fare da tramite tra i due e costruire farine adatte al mercato.
Se tutto questo vi sembra proditorio la pensate come la pensavo io, poi mi sono fatta raccontare meglio il mondo della farina industriale, quel mondo che oggi viene sbrigativamente messo in soffitta. Mi ha fatto diventare una cerchiobottista come lui: compro il Pane Coraggioso, ma quando in pasticceria mi offrono il croissant integrale al miele faccio una (liberatoria) smorfia di disgusto.
Ho conosciuto Gianluca perché sta per pubblicare un libro sul pane, che è un argomento su cui sono in fissa: è un tipo vulcanico, se me lo chiedessero lo definirei il Mauro Corona dei fornai. Il suo libro lo ha chiamato “Il lato oscuro della crusca“, tanto per gradire: ho provato a tirargli fuori le cose interessanti che ha detto a me, nel corso di molte chiacchierate per farvi conoscere la sua prospettiva retro-retro-innovatrice.
Molitura a cilindri o a pietra?
“La molitura è quel passaggio fondamentale che stabilisce la morte di un chicco per generare la fantasia lievitante dell’uomo. Bene, l’uomo dalla notte dei tempi ha sempre eseguito questo passaggio utilizzando due pietre. Che prodotto otteneva? Una farina grezza, che poi setacciava per renderla più bianca. Ecco, il gioco sta lì: dalla notte dei tempi fino ad adesso abbiamo sempre cercato di rendere bianca la farina per il semplice fatto che ci dà un prodotto più energetico, ricco di amidi e zuccheri. Il pane serve a far passar la fame, o almeno serviva. Per questo l’evoluzione tecnologica ha sempre cercato di estrapolare in maniera veloce e precisa la parte bianca di un chicco.
Il problema è che la macinazione a cilindri dà delle farine più povere a livello nutrizionale. Ma secondo me non è questo il motivo per cui adesso si cercano le farine macinate a pietra. Secondo voi sono anni in cui manca qualcosa a livello nutrizionale? Allora perché volere le farine macinate a pietra? Per le fibre? Le fibre prendetele dall’insalata!
Tutto lo scarto della molitura a cilindri, la crusca, era uno spreco che veniva venduto per due lire a chi allevava i maiali, adesso, con la mania dell’integrale la crusca viene aggiunta alla farina bianca e il suo prezzo al chilo si è impennato. Pensateci la prossima volta che comprate un grissino integrale anche se vi sembra sappia di cartone”.
Grani esteri o grani italiani?
“Il grano è come i soldi, più gira e più si sporca. In mulino seguo personalmente una filiera certificata (iso 22005) di grano locale, nello specifico di grano coltivato nell’Alto e Basso Polesine. E’ un grano eccezionale, fino ai suoi limiti. Purtroppo il nostro clima con inverni sempre più caldi e umidi non riesce a fornire un grano “di alta qualità” come quello coltivato nelle zone fredde del pianeta, Canada in primis, poi a ruota Austria, est Europa ecc ecc. Il freddo e le gelate aiutano il grano a migliorare il suo contenuto enzimatico, la sua forza e la qualità delle sue proteine. Lo sapevano anche i nostri nonni, non a caso il proverbio “sotto la neve pane, sotto l’acqua fame”.
Per l’appunto la farina più famosa venduta in Italia è la Farina Nazionale, guarda caso una farina di media forza, ottimo contenuto enzimatico. E sai cosa fai lievitare con la farina nazionale? La mantovana, la coppia ferrarese, il pan biscotto, il montasù veneziano, le frolle, il pane toscano. Tutti quei lievitati appartenenti alla nostra cultura, legati al nostro territorio, ai nostri grani, al nostro clima. Per questo prima ti ho fatto scrivere “di alta qualità” tra le virgolette: la qualità per un mulino o pastificio è un grano ad alto tenore proteico, che riesce a darti la pasta al dente e lunghe lievitazioni, se la tua qualità è la pasta al dente sai a prescindere che un grano italiano fatica a dartela. Potremmo riassumere così: se ti piace la pasta al dente sei da una parte, se ti piace il pane di pasta dura sei dall’altra”.
Grani antichi o moderni?
“La rivoluzione verde ha “migliorato” i grani antichi, non solo direttamente ma anche a livello agricolo e colturale e credo che l’intento sia stato di aiutarci, non avvelenarci [n.d.r. in fondo a Borlaug, il padre della rivoluzione verde, hanno dato il premio per la pace].
Dal mio punto di vista abbiamo seguito la normale evoluzione delle cose: arriveremo a dieci miliardi e la terra non si allarga, serve tanto grano. Quel che nutre la pancia è il grano di oggi, un grano che genera un pane senza pretese, economico, leggero ed accessibile. Sarà bene ricordarci che il pane è un bene povero, e lo dovrà sempre essere. Pieno sostegno però a chi si fa il mazzo nel recuperare vecchie varietà, essenziali per la biodiversità agricola. Diciamo che il grano antico delizia l’uomo, il grano moderno lo nutre”.
Olio, burro o strutto?
“Ritengo che qualsiasi grasso messo da te nell’impasto sia sempre buono. Messo da altri non saprei, ma da te ne son sicuro. Margarina a parte che lascia quella patina sgradevole sul palato, tutte le altre tipologie di grassi hanno dei pro e dei contro. Io mi ritengo molto antiquato nel panificare: panifico in base a racconti di nonni e fornai che hanno visto passare farine per oltre cinquant’anni e panifico ascoltando i proverbi, che spesso hanno ragione: “Se ho un buon olio non lo metto nel pane, ma sopra”. Come dargli torto: l’olio non lo abbiamo mai messo nel pane, ce n’era poco ed era pregiato.
Vantaggi nell’impasto? A meno che sia una focaccia ligure, molto pochi. Poi addirittura c’è chi fa i pani integrali con l’olio, che tiene ancora più serrata la maglia glutinica e ne limita ulteriormente lo sviluppo. Alla fine, se vogliamo dirci la verità, l’olio lo mettiamo nel pane solo perché abbiamo demonizzato lo strutto, ma le differenze sono notevoli, basta prendere un ferrarese o una mantovana e apprezzarne la fragranza, la durata e il colore.
Lo strutto è quel grasso animale che al pane fa molto bene: dona fragranza, sapore, sviluppo, durata, colore. Se avete problemi a trovare lo strutto andate da Raffaele Billo a Copparo, vi aspetta a braccia aperte nella sua azienda. Il burro è una storia a sé, perché non fa parte della nostra cultura, tanto è vero che a noi italiani non interessa fare un burro buono. Lasciamolo ai pasticceri”.
Per quel che riguarda la produzione di farina, dobbiamo rivalutare l’industria a discapito dell’artigianato?
“Fortunatamente l’industria molitoria italiana è in forte concorrenza, e appena esce una farina di un mulino, quella il giorno dopo finisce nel laboratorio di un altro mulino e viene analizzata. Se qualcosa non quadra stai pur sicuro che qualche post sui social te lo becchi (son peggio delle denunce ultimamente) e poi ti becchi una bella denuncia per contraffazione. Inoltre una grande azienda che compera la tua farina fa un’ulteriore analisi sullo sfarinato: insomma non ti conviene fare il furbetto il partenza”.
Quali sono le cose peggiori che hai visto fare dagli artigiani durante il tuo lavoro?
“Urca… proprio tutto? Dirò soprattutto della fretta: hai sempre l’orologio che ti corre dietro e questo bisogno di soddisfare il cliente in tempi ristretti e le rivendite entro le sei del mattino ti porta a un livello di tensione molto alto.
L’artigiano deve comprendere che non può essere un competitore del supermercato. Il panettiere artigianale viene dimenticato perché quei quindici prodotti che vuole sfornare per ampliare la sua gamma altro non sono che semilavorati al pari qualità di quelli venduti in altri posti. Riempiamo i panifici di Rotor [n.d.r. forni ventilati dove immetto un carrello] sapendo che van bene per i prodotti secchi ma non per tutti quei pani che si sviluppano bene sulla refrattaria. La biga nei panifici è scomparsa e si vede: pani pallidi, crosta gommosa e durata misera”.
A tuo figlio daresti farina 00 o integrale?
“Insegnerei il rispetto nei confronti del pane. Fino a diciott’anni i ragazzi hanno bisogno di amidi, cioè di energia, non di cellulosa per fare la cacca. Io da ragazzo mangiavo cinque ciabattine al giorno (Manitoba e farina bianca), ed ho sempre bruciato e utilizzato tutta quell’energia”.