Sabato con la famiglia eravamo nell’entroterra ligure e d’un tratto ci siamo trovati in un bosco di castagni. Per terra un tappeto di ricci. Così, senza averlo previsto, la sera con pazienza certosina (durata molto poco) ci siam messi a sbollentare castagne, a sbucciarle e cuocerle con il miele per mangiarle con il lardo.
Andare per castagne è un gesto che appartiene a tutti gli italiani, ben prima che a nord cominciassero a chiamare queste pratiche boschive “foraging”. Capita anche a noi inurbati, che abbiamo perso il contatto quotidiano con la terra, di farci un fine settimana fuori porta, d’andar a cogliere funghi, mirtilli, fragole, more, cicoria. D’estate magari con una cannetta peschi due pescetti da friggere.
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Per un goloso non c’è sensazione più bella che procacciarsi il cibo da soli. E’ una cosa che ai cittadini capita di rado, eppure in un paese pieno di boschi e di mare ancora succede: la mattina trovi i porcini e la sera ci condisci le tagliatelle, al tramonto vai a pescare e ti ci scappa una grigliata.
Sono gesti ancestrali che riconnettono con la natura, che rimettono ordine nel creato: la terra crea cose buone, le prendo, le cucino, le mangio. Senza industria, senza mediazioni, senza soldi. E’ bellissimo, tutti dovrebbero farlo di tanto in tanto (e chi ha i bambini ce li porti).
E’ un’emozione così bella che non si sta a guardare il capello: le castagne di sabato erano piccole, impossibili da pulire, piuttosto seccarelle. Eppure quando le abbiamo portate in tavola, poche e macilente, e le abbiamo mangiate con il lardo ci sono sembrate squisite, anche migliore dei grandi e succosi marroni che si trovano al mercato. Non c’è frutto migliore che quello del proprio lavoro.