“L’errore è stato considerare la biodinamica come eresia in toto, mentre è solo una sorella un po’ bizzarra del biologico. Ma quella parte antiscientifica rischia di squalificare tutto il resto: perciò sono d’accordo con Giorgio Parisi, non si può accettare. Il vero punto però è un altro: il biologico, e l’agroecologia, sono il futuro. Ci vorranno anni di ricerca e continui miglioramenti, ma le cose cambieranno”. A parlare è Luca Mercalli, meteorologo e scienziato, volto noto della TV e coltivatore diretto. Lo abbiamo intervistato a proposito della questione legge sul biologico ed equiparazione della biodinamica, e ci ha dato una prospettiva molto interessante, teorica e pratica, al tempo stesso rigorosa e radicale.
Mercalli è diventato famoso, oramai da anni, per le partecipazioni televisive alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio, è presidente della Società Meteorologica Italiana, ed è esperto di questioni climatiche e ambientali, questioni che toccano inevitabilmente i temi di agricoltura e alimentazione. Ma la sua competenza è ancora più diretta: “Ho una formazione agronomica, e poi coltivo, da anni. Possiedo un appezzamento di terra di notevoli dimensioni, sono 5000 metri quadri, non un orticello insomma: coltivo solo per uso personale, ma ho ben chiaro di cosa stiamo parlando”. Tanto che qualche anno fa ha scritto anche un libro in cui introduce il discorso sui fondamenti dell’agroecologia: Il mio orto tra Cielo e Terra – Appunti di meteorologia e ecologia agraria per salvare clima e cavoli.
Partendo da uno degli ultimi interventi in materia che abbiamo ospitato qui su Dissapore, quello dell’agronomo e scrittore Giacomo Sartori, in difesa di un’approccio olistico che accoglie anche la biodinamica, Mercalli ha una posizione netta: “Sono d’accordo al 90% con Sartori, trovo il suo ragionamento condivisibile fino quasi alla fine: quando parla della complessità dei suoli, della necessità di approfondire la ricerca, dell’insostenibilità del modello agricolo convenzionale. Poi però finisce per sostenere la biodinamica, e lì c’è un salto che non capisco. Su quello mi trovo invece totalmente con Parisi, che si è espresso – anche se in un campo non di sua competenza – in modo lucido. C’è un pezzo di biodinamica, magari piccolo, che squalifica tutto. Ed è quello che parla di costellazioni e influssi astrali”. Mercalli non si sofferma tanto su cornoletame e cornosilice, le pratiche biodinamiche più curiose e criticate, quanto sull’aspetto astrologico.
“Nemmeno la luna influisce sull’agricoltura: la luna che è così vicina, figuriamoci le stelle. Gli effetti della luna sono stati sconfessati già a inizio ‘800 dal fisico Antonio Maria Vassalli Eandi, dell’Accademia delle Scienze di Torino, che notava però anche come fosse una credenza ‘dura da scardinare’, e in effetti tuttora molto diffusa tra i vecchi contadini, non per forza biologici o biodinamici”. A chi sostiene che la biodinamica va giudicata sul campo e non in laboratorio, cioè valutando non gli studi scientifici ma i risultati, Mercalli risponde chiaramente: “I risultati, bene, parliamo dei risultati. In campo c’è una tale complessità, una tale variabilità di fattori, che si ottengono ogni anno risultati diversi, senza sapere a cosa vanno attribuiti. Io spesso parlo con coltivatori che usano questi metodi tradizionali, e chiedo loro: lo hai fatto un calendario per tenere traccia di quello che fai? Un quaderno nel quale hai segnato che l’anno scorso avevi seminato con la luna piena ottenendo 16 chili di carote, e quest’anno con la luna nuova ne hai ottenuti 9. Beh, di chiacchiere ne ho sentite tante, ma un calendario del genere non l’ho mai visto”.
Il dibattito sulla legge, dopo gli interventi della senatrice Elena Cattaneo e soprattutto del premio Nobel Giorgio Parisi, si è però polarizzato in maniera estrema: quando l’emendamento che toglieva la parola biodinamica da un articolo di legge (ma non da un altro) è passata, si è parlato di vittoria della scienza. Mercalli concorda con noi sul fatto che la discussione sia diventata un po’ avvilente: “Certo, l’errore è stato prendere la biodinamica come eresia in toto, quando sarebbe solo una sorella un po’ bizzarra del biologico. Però poi penso, se escludiamo quella parte, chiaramente antiscientifica, allora si ricade nel bio, e quindi non c’è bisogno di nominarla”.
Ma appunto, quando il discorso poi si allarga, quando la prospettiva si eleva dalle beghe politiche, dalle minuzie quotidiane (pur importantissime, perché se la legislatura finisce a breve la normativa sul biologico resta ancora una volta al palo), tutto cambia: “In tempi di catastrofe climatica, l’agroecologia è il futuro. Certo, oggi non è ancora matura per un’applicazione estensiva, ma sicuramente sul lungo termine deve affiancare e poi sostituire l’agricoltura convenzionale. Con un investimento nella ricerca: se non riusciamo a capire cosa fanno e come agiscono i microrganismi del suolo, studiamoli! Facciamo i primi passi: ecco, in questo la mia visione è dinamica (senza bio). Ci sono realtà anche grandi che hanno preso questo impegno sul serio, con la riduzione della metà o dei 2/3 nell’uso dei fitofarmaci. Non si può neanche pretendere che si passi da 100 a zero in un anno, ma io vedo della volontà negli agricoltori e nell’industria. Sono cambiamenti che vanno fatti nello spazio di 10 anni, 20 o anche 30, ma prima o poi avvengono”.
Il biologico, o meglio l’agroecologia, come salvezza per il pianeta quindi. E quando il discorso cade sulla consueta critica che una produzione di nicchia non possa sfamare il mondo, e che il biologico è solo avere gli stessi cibi al triplo del prezzo, Mercalli si scalda: “Questa è una banalizzazione, anche quella della senatrice Cattaneo, non ho problemi a dirlo. Il biologico non è solo rese o sapore, è soprattutto salute. Io quando coltivo so che pianto 100 per ottenere 80, perché 20 piante di pomodori saranno attaccate da parassiti o prenderanno malattie. Ma spero di non prendermi un cancro: non c’è solo l’euro, la mia salute non ha prezzo, non ha prezzo! Nicchia? Ora è così, ma siamo in una fase brillante di inizio, di ricerca… io un po’ di fiducia ce l’ho. Certo, oggi c’è chi il biologico non se lo può permettere, vasti settori della popolazione mondiale che non hanno accesso al cibo di qualità e sono costretti a mangiare qualsiasi schifezza costi poco. Ma questo non è colpa dell’agricoltura, bensì del sistema economico”.
Tornando invece all’agricoltura convenzionale, oggi demonizzata dai settori più progressisti della società e dai sostenitori di coltivazioni e alimentazione sostenibile, ma ancora maggioritaria e appoggiata dalle industrie, a volte ci si chiede se sia tutta così da buttare, o se qualcosa non vada salvato: la cosiddetta rivoluzione verde, a botte di fertilizzanti e pestidici, a suo tempo ha comunque consentito un balzo impressionante nelle rese. “Il giudizio è difficile”, argomenta Mercalli, “dipende dalla prospettiva. Il dato storico ci dice che l’agricoltura industriale ha dato da mangiare a miliardi di persone; però a prezzo di una devastazione ambientale che abbiamo iniziato a vedere solo da poco. Perciò dico che dipende: c’è chi ne ha goduto prima, e chi paga ora. Il problema è lo sfasamento temporale per cui gli effetti negativi si sono visti solo dopo, ma ora paghiamo con gli interessi”.
Il meteorologo aggiunge poi una prospettiva radicale, che solo oggi si sta timidamente affacciando al dibattito: “Quando si dice: ma come avremmo fatto altrimenti a sfamare tutta questa gente, si dimentica che in un passato anche non recente si potevano intraprendere azioni decisive. Ricorre quest’anno il 50esimo anniversario della pubblicazione di Limits to growth del Mit e del Club di Roma promosso dal nostro Aurelio Peccei: nel 1972 gli abitanti della terra erano 3 miliardi e mezzo, e già si prospettava un sovrappopolamento e una crescita non sostenibile; se si fosse accettato di provare a limitare la natalità mondiale, magari le cose sarebbero andate in maniera diversa. Non con mezzi coercitivi per carità, ma attraverso campagne di educazione, e soprattutto attraverso aiuti economici: degli esperimenti sono stati fatti, per esempio in Bangladesh è stato incrementato il microcredito a favore della parte femminile della popolazione, e gli effetti si sono visti. Non sappiamo come nutrire tutta questa gente? E fatene meno, di gente!”.
“La verità”, conclude sull’argomento Mercalli, “è che ci sono disequilibri, che però non derivano dall’agricoltura ma dal sistema economico e finanziario, il quale genera situazioni intollerabili come lo spreco di cibo in certi luoghi e le persone che fanno la fame in altri”. E come dargli torto. Ma in definitiva, ci chiediamo e chiediamo a Luca Mercalli, scienza e agricoltura in che rapporto sono? Sono completamente sovrapposte – nel senso che i coltivatori devono fare sempre e solo ciò che è scientificamente validato – sono totalmente separate, o hanno un ambito di azione comune che però lascia margini di indipendenza? “L’agricoltura è dipendente da condizioni locali. Perciò il ricettario, la formula generale, non funziona. Dove le acquisizioni scientifiche ci sono, io seguo quelle. Dove mancano, nel senso che la scienza non è ancora arrivata a spiegare certe cose, io aspetto. E nel frattempo agisco con l’empirismo. Ecco, il modello potrebbe essere questo: scienza più artigianato agricolo”.