Un altro mito sfatato. Assumere omega-3, uno degli integratori alimentari più impiegati al mondo, non riduce i problemi cardiovascolari.
Le pillole a base di olio di pesce, che in molti ritengono un potente salvacuore, avrebbero un effetto intangibile sulla prevenzione delle morti da infarto, ictus o irregolarità cardiache.
A far crollare anche questa certezza è un ampio studio della Cochrane, organizzazione che valuta efficacia e sicurezza degli interventi sanitari.
Non è in assoluto una notizia sorprendente: negli ultimi dieci anni altre ricerche avevano evidenziato la quasi inutilità dell’omega-3 nella prevenzione delle malattie cardiache, ma la storica convinzione che sia un toccasana per il corpo ha favorito un business che oggi vale 30 miliardi di dollari.
[Basta fake news: i migliori 5 supercibi secondo la scienza]
La fama risale al periodo della rivoluzione industriale, quando nell’Europa settentrionale si diffuse il rachitismo, patologia causata dalla carenza di vitamina D, presente in grandi quantità nel fegato di merluzzo.
Un farmacista norvegese, Peter Möller, grazie all’apporto decisivo dell’olio di fegato di merluzzo, mise a punto un medicinale il cui consumo, complice una poderosa campagna pubblicitaria –diremmo oggi– divenne pratica comune, anche per coloro non affetti da rachitismo. Quando Möller morì, nel 1869, era proprietario di 70 fabbriche, con una produzione di 5000 barili l’anno del portentoso olio.
“Piccole dosi di omega-3 sono salutari per il nostro corpo, possono ridurre la pressione sanguigna e il colesterolo –rileva oggi la Cochrane nel suo studio–, ma in realtà non hanno nessun effetto sui rischi di contrarre malattie cardiovascolari”.
[Pesce: 10 falsi miti da sfatare]
I produttori delle capsule hanno accusato la Cochrane di non aver incluso nella ricerca i dati del valore del sangue delle persone sottoposte al test, prima e dopo il trattamento con gli integratori. E anche di aver omesso dalla lista dei disturbi la “mortalità cardiaca improvvisa”.
Un’omissione, a loro dire, significativa visto che al 50% delle persone il disturbo cardiovascolare viene diagnosticato dopo la morte.
[Crediti | Newsweek]