In questo preciso momento, potrei aprire tutti i rubinetti di casa, farmi la doccia per ore e ore, improvvisare una piscina sul terrazzo, persino concludere che la siccità non è un problema mio. Con questa perseveranza abbiamo spesso ignorato questioni assolutamente cruciali per il nostro immediato futuro: la siccità non può non essere tra queste, visto che la nostra esistenza è legata alla presenza dell’acqua. E non viceversa.
Gli agricoltori sono le prime sentinelle di questi fenomeni. Tempo fa, quando la situazione non era così critica, abbiamo parlato con Lorenzo Costa della gestione delle risorse idriche. Nel mese di Giugno e poi di Luglio la prolungata assenza di piogge, alternata a fenomeni temporaleschi violenti e aggressivi, e l’aumento delle temperature più o meno ovunque, ha reso il mestiere degli agricoltori ancora più complesso. Come una proiezione drammatica del nostro futuro, in India le temperature altissime hanno decimato i raccolti grano, spingendo il paese ad abbattere le esportazioni.
Per capire davvero cosa sia la siccità per le piante, cosa accade quando manca la pioggia in campo aperto o vengono decimate le fonti di irrigazione, abbiamo chiesto a Roberto Marinone di raccontarci cosa sta accadendo nella sua azienda e nel suo territorio. Cascina Bosco Fornasara si trova a Nicorvo, in provincia di Pavia. Qui oltre a loro sono in tantissimi a fare riso, una coltivazione storica dell’areale, molto idrovora (ma sulle quantità di acqua di cui il riso necessita c’è un ampio dibattito) ma estremamente redditizia. Secondo il Water Footprint Network per produrre un kilo di riso occorrono 2497 litri d’acqua, contro i 1849 della pasta. Ma prendiamo i dati con grande prudenza, sia perché si tratta di medie globali, sia perché dipende anche dal metodo di coltivazione: per il riso ce ne sono diversi e non tutti dispendiosi o impattanti allo stesso modo.
“La mia storia di agricoltore è cominciata cinque anni fa, anche se in realtà vengo da una famiglia con una grande azienda agricola di più di 100 ettari. Mio padre era agricoltore, suo padre era un agricoltore, hanno cominciato prendendo in affitto le cascine, poi suo nonno ha avuto il coraggio di comprare i terreni quando c’è stata la riforma agraria. Anche mia madre veniva da una famiglia di agricoltori. Praticavano tutti quella che definiremmo un’agricoltura industriale, è stato lo strumento che ha permesso loro di uscire dalla povertà. Tutto spingeva in quella direzione” racconta Roberto, una storia che potrebbe essere la storia di tantissime aziende e famiglie italiane.
“Io ho sempre vissuto in campagna, ho fatto degli studi che non c’entravano niente, sono tornato alla terra già con l’idea di fare biologico. Per questo mi sono fatto dare un appezzamento da mio padre per delle sperimentazioni. Lui non ci credeva assolutamente” dice. Per questo quando il padre va in pensione l’azienda passa a lui e ai suoi fratelli, anche loro vedono la parte di biologico per quanto piccola, come un rischio. Da qui un punto di rottura che ha portato Roberto a proseguire per la sua strada. “Era il 2016. Appoggiato anche da mia moglie Ilena, la nostra idea era spingerci ben oltre il biologico”.
Da lì nasce Cascina Bosco Fornasara, che applica non solo i principi del biologico ma anche una serie di altre buone pratiche. La rotazione delle culture, la policoltura con altri cereali (che potrebbe essere vista come una perdita economica da chi punta tutto sul riso, molto renumerativo), il sovescio, la creazione di filari che riportino a un habitat più biodiverso e naturale, capace di attirare flora e fauna. “Ci siamo dedicati all’agricoltura rigenerativa, abbiamo creato tantissimi erbai, inserito le rotazioni e non abbiamo più utilizzato nessun prodotto, neanche quelli consentiti nel biologico. Solo semi e acqua”.
E poi prosegue: “Nel nostro caso le pratiche sono molto diverse anche dal biologico che è più simile all’agricoltura convenzionale dove viene lavorato il campo, seminato in asciutta e poi fatti tanti passaggi con attrezzi che muovono il terreno e rompono i germogli delle infestanti. Sono delle tecniche che in qualche campo stiamo sperimentando anche noi per testare le differenze e perché magari non viene bene il sovescio. Però dobbiamo dire che lasciare il terreno nudo invece che coperto mostra una vitalità del suolo completamente diversa. La differenza si vede anche a occhio nudo”.
Una delle ulteriori differenze nella coltivazione del riso, oltre alla copertura del terreno e alla rotazione delle colture, sta nel momento di sommersione delle piante. “Dei 50 ettari che andavano a risaia sommersa, sono diventati 25. Gli altri risi di solito vengono sommersi a Giugno e sono quindi quelli che stanno patendo di più perché hanno bisogno di tanta acqua”. L’assenza di acqua e il suo razionamento è ben visibile “La falda si è abbassata molto, l’acqua ce n’è poca. Io invece non ho avuto problemi a irrigare le risaie perché l’ho fatto ad Aprile quando c’era maggiore disponibilità idrica e minore richiesta. Stiamo subendo la crisi idrica, pur riuscendo a gestirla. Certo se non piove per altri 4 mesi la vedo dura”.
I bacini a Giugno sono quasi al limite, quindi si sta razionando l’acqua a cominciare dalle zone più difficili da servire. Gli agricoltori richiedono l’intervento statale, ma le cose miglioreranno in futuro? “Si grida tanto alla gestione idrica dei bacini, che comunque si potrebbe migliorare, dall’altro lato non vedo che gli agricoltori si muovono per capire come possono gestire meglio l’acqua. Quest’anno c’era già il sospetto che ci sarebbe stato un problema con la risorsa idrica, ma non per questo hanno cambiato molto. Nessuno che ha pensato di mettere coltivazioni magari a più basso reddito, come il miglio e il sorgo, ma che hanno meno bisogno d’acqua. Mi sembra che non ci si voglia mettere in discussione” commenta Roberto.
Dunque una domanda sorge spontanea: se gli agricoltori vivono perdite e subiscono la mancanza d’acqua, perché non vogliono cambiare sistema? Non equivale questo a negare la crisi climatica? “Molti dicono che è stata una casualità, oppure che questi problemi ci sono sempre stati. Preferiscono non uscire da un certo metodo di coltivazione perché è semplice, ti permette di usare il terreno come un substrato, con l’idea: faccio la produzione, vendo, non ho grosse preoccupazioni. Non se ne parla ma in questi terreni siamo a limite della desertificazione, senza acqua e senza apporti esterni di concimi non riescono più a produrre” e poi ancora “Gli agricoltori devono mettersi in testa di cambiare sistema, un po’ per tutelarsi un po’ per cercare di mitigare il cambiamento climatico”. Sembra un paradosso ma “Intorno mi stanno facendo tanti complimenti perché i miei risi sono belli, ma non per questo cambiano nulla, pur considerando che i concimi sono triplicati. Alcuni agricoltori pensano che il prezzo del riso salirà, che qualcuno ci metterà una pezza. Io continuo a trovarla una visione miope”.