Possiamo girarci intorno quanto volete, parlare di preferenze, di gusti personali o di tradizione, ma alla fine l’emblema della pizza nel mondo è e resterà sempre lei: la pizza napoletana, tanto bella quanto irraggiungibile, almeno dal forno di casa.
Bella, tonda, fumante, con il cornicione (più o meno) gonfio, icona in tutto il globo grazie alla leggendaria immagine della regina Margherita, la pizza per antonomasia con i colori del nostro paese.
La napoletana o piace o non piace, c’è poco da fare; nel primo caso tuttavia, spesso e volentieri diviene un vero e proprio culto, una malattia, un amore incontrastato e apocalittico.
E 90 su 100, i più smanettoni fremono dalla voglia di replicare a casa quel disco tanto godurioso.
Ma si potrà davvero fare la pizza napoletana, nel forno di casa?
La bugia del forno di casa
Su internet ormai, da parecchi anni, si trova di tutto.
Da quando la pizza ha iniziato il suo percorso verso la popolarità, su Youtube dilagano ricette, trucchi e consigli per realizzare un’ottima pizza in contesto casalingo.
E ben vengano, sia chiaro.
Il problema nasce quando ad essere vendute non sono le nozioni, i concetti tecnici e i metodi, ma frottole concepite per avvicinare un pubblico più vasto al prodotto pizza.
Sul noto canale di Italia Squisita vengono pubblicate periodicamente videoricette di pizzaioli famosi, ai quali viene chiesto di realizzare dall’inizio alla fine una pizza fatta in casa; è toccato a Gabriele Bonci, poi a Davide Civitiello, a Stefano Callegari e a Vincenzo Capuano.
Video evocativi, tecnicamente ineccepibili, nei quali tuttavia ci si dimentica di un importantissimo concetto: l’ambiente professionale e quello casalingo non coincidono per la quasi totalità delle variabili in gioco.
Non si possono dare indicazioni di massima sulle farine da supermercato, per poi mostrare un prodotto realizzato con materie prime professionali, concepite in laboratorio e studiate per massimizzare il rendimento in lievitazione, maturazione e cottura.
Non si possono trattare preimpasti delicatissimi come la biga, che tanto dipendono dalla stabilità della temperatura esterna, asserendo che la loro gestione in casa sia priva di complicazioni.
Non ci si può rivolgere ad un pubblico generico affermando che la realizzazione di un impasto a mano, in planetaria o in un’impastatrice a spirale porti al medesimo risultato.
Ma soprattutto, non ci si può permettere di affermare la seguente frase: “In pizzeria, a 450 °C, questa pizza cuoce in 60-90 secondi, nel vostro forno di casa alla massima temperatura impiegherà 5-6 minuti, ma non preoccupatevi, il risultato sarà lo stesso.”
Fermi tutti: mi state dicendo che secondo la vostra legge fisica astrale, un panetto steso fino ad avere la sezione di qualche millimetro, cotto a 450 °C per 60 secondi e a 250 °C per 300 secondi avrà le stesse caratteristiche strutturali e sensoriali?
Mi state dicendo che il pomodoro, scottato a 450 °C per una manciata di secondi e COTTO per 5 minuti avrà i medesimi profumi?
La vera pizza napoletana
L’abbiamo ripetuta più volte, e la ripeteremo finché non vi entrerà bene in testa: la pizza napoletana, per definizione, è un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno dai 400 ai 500 °C per un tempo che oscilla tra i 50 e i 90 secondi.
Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura, morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su se stessa a portafoglio o libretto.
L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il famoso cornicione), la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.
Se non rispetta queste caratteristiche, sarà anche la pizza più buona del mondo, ma non è napoletana.
Se le proporzioni tra idratazione e temperatura di cottura saranno state ampiamente rispettate, al termine di una corretta cottura gli amidi saranno gelatinizzati ma la struttura non avrà cristallizzato completamente, consentendo di mantenere una grande morbidezza e scioglievolezza della pasta e di piegare la fetta senza problemi.
Non solo: il pomodoro farà in tempo esclusivamente a scaldarsi e la mozzarella a fondere, dando una percezione organolettica di freschezza impossibile da replicare in altre preparazioni, a meno di non inserire il tutto in un secondo momento.
Queste sono le caratteristiche proprie del prodotto, che non lo rendono migliore di altri, ma semplicemente distinguibile per categoria.
Se cuocete lo stesso disco di pasta per 5 volte il tempo necessario a una temperatura più bassa, otterrete una struttura molto più asciutta, croccante e friabile, dalla maculatura assente e dalla colorazione più scura e uniforme, cuocerete il pomodoro e asciugerete la mozzarella.
Il risultato vi garba?
Buon per voi, e sicuramente il prodotto uscito dalle mani di Davide Civitiello non potrà che essere eccelso, ma se un professionista vi ha convinto che quella sia una napoletana, avete preso un enorme granchio.
Fare una tonda con il cornicione non equivale a fare una napoletana, mettetevelo bene in testa.
È come se io cuocessi un uovo ad occhio di bue vendendovelo per uovo in camicia.
La bugia delle materie prime
Volete l’ennesima, scomodissima verità che non mi stancherò mai di ripetere?
La qualità farina, per la riuscita di una buona pizza, è fondamentale.
Se il buon Vincenzo Capuano vi propone una ricetta utilizzando un prodotto concepito nel mulino per avere risultati strabilianti in termini di espansione, reazione di Maillard e gusto, non vuol dire che otterrete in casa il medesimo risultato comprando la prima farina che vi capita al supermercato.
Ogni mulino produce farine completamente diverse.
Ogni farina, opportunamente lavorata, porta ad esiti completamente diversi.
Ogni variabile implementata in un processo porta a conseguenze completamente diverse.
La bugia della padella
“Aspetta, quindi mi stai dicendo che se faccio una pizza che si piega a portafoglio, sono riuscito a fare una napoletana? Perfetto, giusto ieri ho visto un video di un tizio che cuoceva per 3 minuti in padella e poi passava il tutto sotto il grill del forno. Ho vinto!”
No, sei solo cascato nell’ennesima trappola dell’internet.
Tre minuti da una parte e due dall’altra, hai cotto la base, poi abbrustolito la parte superiore in un secondo momento.
La reazione di Maillard è avvenuta all’esterno per ovvi motivi, ma siamo proprio sicuri che all’interno la pizza sia cotta, o che il pomodoro non abbia perso la sua freschezza?
E ancora, ha davvero senso impiegare un forno e una padella per tentare di avvicinarsi a un risultato che non sarà mai neanche lontanamente vicino ad una pizza napoletana?
La vera pizza fatta in casa
Fare una pizza fatta in casa è una cosa seria.
Oggi il mercato è colmo di attrezzature adatte anche al contesto domestico che vi permettono di superare i 450 °C e soprattutto di sfruttare a dovere conduzione, moti convettivi e irraggiamento del calore per preparare una vera pizza napoletana.
Ma se così non fosse, esistono decine di varianti che il buon vecchio forno casalingo può replicare in modo eccelso, come la cara vecchia teglia romana.
A determinare la qualità di una pizza non è certo l’alta temperatura, ma tutto il processo e il rispetto delle variabili.
Per fare la pizza ci vuole rigore, sia negli ingredienti che nel metodo.
Il mio consiglio?
State alla larga da chi vi vende la sacrosanta balla della “pizza fatta in casa con risorse essenziali, una farina, del pomodoro e della mozzarella qualunque”.
State alla larga da chi vi vende scorciatoie; la pizza è una cosa seria.