È uscito il 4 ottobre su Storytel Guscio, un podcast di Mariachiara Montera, che parla di psicoterapia. Sei puntate anticipate da un prologo in cui si raccontano vari aspetti legati alle decisioni, ai processi, alle difficoltà legate alla psicoterapia in modo semplice, umano, diretto. Iniziare, vulnerabilità, amabilità, passato, consapevolezza, relazioni, sono i titoli degli episodi che prendono per mano gli ascoltatori e li invitano a considerare la psicoterapia all’infuori da ogni pregiudizio.
Ebbene dunque, perché ne stiamo parlando? Perché il cibo più volte fa incursione all’interno di questo processo e si propone all’ascolto intrecciandosi con racconti più intimi dell’autrice e delle altre voci che compongono il quadro di Guscio. “Dal punto di vista personale, e anche autoriale, il cibo è il punto di vista con cui registro quello che mi accade, e il modo in cui interpreto i miei sentimenti. Spesso, anche quelli altrui” spiega Mariachiara.
Già, ma come? Prima di Guscio intanto c’era Lingua, un altro podcast dove il cibo aveva un ruolo ancora più predominante. Sei puntate uscite nel 2019 che trattavano sempre il tema del cibo e delle relazioni, secondo diverse angolature. Ogni puntata si chiude con una ricetta – un modo per fermare in un piatto una storia, spiega l’autrice – ogni puntata accoglie un ospite che racconta un’esperienza personale e come questa, in qualche modo, si sia manifestata anche attraverso il cibo. “Quando si parla di foodwriting, si parla spesso dello scrivere di cibo: Guscio e Lingua sono la testimonianza che attraverso il cibo si può scrivere di tutto. È un’attitudine che ha preso già piede all’estero e che anche qui in Italia si sta moltiplicando con spunti interessanti: quella di inserire in una narrazione intorno a un tema la propria persona, con tutto il corredo. Corpo, relazioni, gusti. È una formula autoriale che lega chi legge a chi scrive, e questo diventa ancora più necessario in un podcast, dove la voce è di per sé veicolo di maggiore intimità rispetto a un testo scritto” ci spiega Mariachiara.
È un modo insolito di raccontare la gastronomia, che rimaneggia il solito cliché del buono, gustoso e bello, e fa entrare il cibo anche in ambiti che da sempre gli sono stati preclusi: per esempio il matrimonio, la malattia, il lavoro. “Credo che siamo abituati a una narrazione un po’ piatta di quello che è il cibo: memoria, consolazione, premio. Eppure, se ci svicoliamo dagli aspetti sensoriali del cibo o da quelli legati a una dimensione casalinga, e lo inquadriamo come qualsiasi altro oggetto narrativo, il cibo ha la capacità di evocare una gamma di emozioni ben più vasta” dice Mariachiara. Per questo se c’è qualcosa che non dobbiamo aspettarci da Guscio, eccolo “Ti direi: ricette, le nonne che sanno cucinare, e in genere l’aspetto solo conviviale del cibo” almeno non quelle ricette che troviamo su magazine e riviste patinate.
Il cibo può essere una colonna sonora molto interessante per una narrazione così sfaccettata, volutamente non univoca. Per questo in Guscio alcune delle testimonianze sono raccolte all’interno di una cena tra amici. “Sì, è stata una cena reale e goduta: si è svolta a casa mia, insieme a Massimo, Marianna e Sara come invitati. Sono loro le voci che senti in Guscio. Volevamo trovare, insieme a Storytel, un modo per rendere il racconto corale e inserire qualcosa che fosse poco costruito – come può essere un testo scritto: una cena ci è sembrata la soluzione ideale”.
Il plot dunque si fa più intricato: una tavola, 4 amici, un podcast, ma non un podcast a caso, un podcast sulla psicoterapia. “In cucina eravamo in 8: noi 4, 2 producer audio, 2 producer video e 2 del team di Storytel. Una situazione che sulla carta non era intima, e che invece non ha ingessato la conversazione” ci racconta Mariachiara “Prima della cena ho preparato una serie di punti da esplorare, che riguardavano i temi dei vari episodi: a introdurli, man mano che cibo e vino venivano consumati, è stata Rossella Pivanti, la persona che si è occupata del sound design e del montaggio di Guscio. È stata una chiacchiera molto rilassata, in cui ci siamo confrontati sui nostri personali percorsi di terapia, su psicofarmaci, analisi, famiglie, relazioni. Io conoscevo già tutti, mentre ad esempio Massimo e Sara era la prima volta che si incontravano. Ho preparato tutte portate che avrei messo a tavola lasciando che gli invitati scegliessero cosa prendere, e ho cucinato tutte ricette vegetariane di Yotam Ottolenghi: bruschette con burro e avocado, riso al forno con pomodorini, aglio e cannella, un riso burro, zafferano e cardamomo nero, e un’insalata di cavolfiore, pistacchi e melagrana. E vino, tanto vino”.
Il risultato è un’esperienza corale, come appare anche quella di Lingua pure se con un formato leggermente diverso, dove il cibo è anche un trait d’union con l’ascoltatore/ascoltatrice, la porta d’ingresso che permette di affrontare empaticamente argomenti sensibili. “Quando mangiamo, cioè tutti i giorni, possiamo prestare o meno attenzione al cibo: possiamo cucinare con l’intenzione di coccolarci, di sfamarci, o con disattenzione. Però rimane il gesto, la dispensa, i gusti: sono elementi quotidiani che, col mio lavoro, metto sotto una luce più forte. Li spremo, li indago, mi ci affeziono, li srotolo, li sbatto. Il cibo, sia in Guscio che in Lingua, sono una parte importante del mondo che racconto: sono l’inizio o la fine di una storia, sono spesso il punto di partenza”.