P-a-r-z-i-a-l-e. A-p-p-r-o-s-s-i-m-a-t-i-v-o.
S-u-p-e-r-f-i-c-i-a-l-e. F-a-z-i-o-s-o.
E soprattutto non titolato a parlare di grani antichi, grani moderni, glutine e celiachia.
Questo è quanto pensa pensa Enzo Spisni, docente di Fisiologia della nutrizione all’Università di Bologna, a proposito di Dario Bressanini, di professione chimico, uno dei divulgatori scientifici più seguiti del web ed apprezzati del web.
La polemica inizia con un articolo apparso su Il fatto alimentare, in cui Spisni contesta punto per punto la lunga opinione espressa da Bressanini in un suo post sui grani “antichi”.
Secondo l’opinione espressa da Bressanini non sarebbe affatto provato che i grani “antichi” (il farro monococco, e i più recenti Senatore Cappelli, Saragolla, Tumminia o Perciasacchi) abbiano un minore contenuto di glutine o che questo sia di qualità migliore rispetto ai grani “moderni”, a tutto vantaggio delle persone celiache o intolleranti al glutine, come si sente dire un po’ dovunque di questi tempi.
Tutte balle, ribatte praticamente Spisni, conclusioni affrettate suggerite da studi scelti appositamente da Bressanini operando una “ristrettissima selezione. Un’abile cernita effettuata cioè tra centinaia di studi visionabili su PubMed e che arriverebbero a ben diverse conclusioni; il tutto per supportare le propri opinioni. Sbagliate, secondo Spisni.
Non solo. Spisni contesta a monte le conclusioni di Bressanini, di volta in volta chiamato “blogger” o “divulgatore”, informandoci che in Italia sono solo tre le figure professionali titolate a parlare di nutrizione: il medico dietologo, il biologo nutrizionista e il dietista.
Tutti gli altri sono solo biechi imbonitori, chimici, farmacisti e tecnici di laboratorio compresi.
Gli articoli di Bressanini, inoltre, continua Spisni, in relazione a celiachia e altre intolleranze dovute al grano, prendono in considerazione solo ed esclusivamente di glutine, mentre ad oggi la comunità scientifica non è più così sicura “che questi fenomeni infiammatori siano dovuti al glutine o solo al glutine”.
Tal intolleranze potrebbero infatti essere imputabili ad altre proteine del grano considerate antiinfiammatorie o antidigestive, presenti sia nei grani antichi che in quelli moderni. Considerando solo il glutine, continua Spisni, l’articolo di Bressanini risulterebbe quindi “certamente parziale”.
Inoltre, continua Spisni, gli articoli scelti da Bressanini si basano tutti sulla digestione in vitro, e sono soprattutto basati su studi non effettuati sull’uomo, i quali porterebbero a risultati ben più complessi e fondamentalmente diversi: in altri studi, infatti, le proteine dei grani moderni sarebbero risultate molto più infiammatorie rispetto a quelle dei grani tradizionali (o antichi).
Conclusione?
Per Snipsi “non è affatto vero che i grani sono tutti uguali”, mentre per Bressanini sarebbero tutti simili, e la superiorità dei grani di Tutankamon rispetto a quelli moderni farebbe solo parte di scaltre “suggestioni non dimostrate dalla ricerca scientifica”, per rimandarci a periodi lontani, puri e incontaminati.
E noi di Dissapore, non essendo titolati a esprimere opinioni su argomenti così specifici (siamo forse medici dietologi, biologi nutrizionisti o dietisti, le tre categorie menzionate da Spisni?), non possiamo far altro che attenerci ai dati certi.
E cosa dicono questi dati?
Che quando usciamo dal forno con la nostra fragrante pagnotta fatta con farina di grano “senatore Cappelli”, in realtà, del pregiato grano, ne stiamo portando a casa a malapena la metà.
Il resto è tutta fuffa, antica o moderna che sia.
[Crediti: Il Fatto Alimentare, Dario Bressanini, Dissapore]