Mangiare pesce proveniente dal Giappone è sicuro? Il nostro sushi quotidiano è in pericolo? Dopo la recente decisione del governo giapponese di sversare acque contaminate dalle radiazioni presenti nell’impianto nucleare di Fukushima, in conseguenza del terremoto e dell’incidente del 2011, si è scatenato il panico. Sia in generale che relativamente al consumo di pescato locale. Ma l’allarmismo, in entrambi i casi, si può definire ingiustificato. Vediamo perché.
In generale, come ha spiegato in un breve ed efficace post su Facebook il direttore de Le Scienze Marco Cattaneo, “la quantità di acqua che sarà riversata nell’Oceano Pacifico corrisponde a poco più di un milione di tonnellate. Ma non sarà riversata tutta insieme. Sarà fatto in mare aperto, un po’ per volta e in zone diverse. L’Oceano Pacifico, invece, ha un volume d’acqua di oltre 760 milioni di CHILOMETRI cubi”. Insomma, letteralmente una goccia nel mare: goccia che verrà rapidamente diluita, andando a influire zero sui livelli di radioattività di base dell’oceano e del pianeta. Perché sì, ogni cosa è radioattiva: e circa il 10% della radioattività cosiddetta naturale sta negli alimenti. Si tratta comunque di livelli bassissimi: per arrecare danno al nostro organismo dovremmo mangiare milioni di banane (uno dei cibi più radioattivi a causa di un isotopo contenuto nel potassio) in un solo giorno. Insomma, moriremmo prima per qualche altro motivo.
https://www.facebook.com/marco.cattaneo.583/posts/10159018382756832
Ma rispetto al pesce, è legittimo coltivare qualche dubbio, fare qualche differenza: tutto sommato, potremmo dire, stiamo parlando di pescato nei mari locali, quindi non ci tranquillizza sapere che le acque radioattive vengano diluite in tutto l’oceano Pacifico, quando prima di questa diluizione vanno a contaminare i pesci del Giappone. È il ragionamento che per esempio fa Coldiretti, che lancia l’allarme dicendo: “Fukushima: dalle acque giapponesi 21 mln di kg di pesce”. Attenzione: 21 milioni di chili provenienti da tutto il Giappone, innanzitutto, non dalle acque di Fukushima. Ma comunque, è giusto chiedersi: come stanno le cose?
Il disastro nucleare del marzo 2011 comportò, tra le varie conseguenze, lo stop a tutte le attività di pesca nella prefettura di Fukushima. Secondo uno studio che ha misurato i livelli di radioattività dei mari, dei fondali, della fauna e della flora marina nel corso degli anni, “al largo della costa di Fukushima, la percentuale di pesce con una concentrazione di radiocesio superiore a 100 Bq/kg (il valore standard del radiocesio negli alimenti) rappresentava oltre il 90% del pesce pescato al largo di Fukushima nell’aprile 2011. La percentuale era diminuita allo 0,6% entro ottobre 2014, secondo la stazione sperimentale di pesca della prefettura di Fukushima. L’andamento della concentrazione era diverso tra pesci pelagici e bentonici”, cioè di fondale. In generale poi si è rilevata una grande differenza da specie a specie, ma rimane il fatto che 3 o 4 anni dopo l’incidente, si fosse ritornati a livelli normali.
La ripresa delle attività di pesca però è stata molto più lenta e travagliata: innanzitutto sono dovuti passare 5 anni consecutivi di rilievi non superiori ai livelli normali, e anzi pari a quasi la metà della soglia accettabile. Nel 2019 poi il ritrovamento di un singolo pesce – un particolare tipo di razza – con livelli di radioattività di oltre il limite ha portato a un ban di un anno per quella specie. Dall’anno scorso c’è stata una lenta e graduale ripresa della pesca a scopi commerciali, che comunque attualmente non arriva a superare il 20% del volume di affari pre-terremoto. Questo per dire che non è che si siano fatte le cose in fretta, anzi la precauzione è stata fin tanta.
Ora tutto torna di nuovo in discussione: infatti la decisione del governo giapponese è stata contestata sia dalle associazioni ambientaliste (che hanno obiettato come una conservazione delle acque contaminate sarebbe stata possibile, anche se più costosa) sia dei pescatori. Ma non per una questione di pericolo effettivo, bensì di reputazione. Alcuni paesi hanno imposto divieti sul pesce giapponese, e anche su altri alimenti, dopo il disastro di Fukushima, e continuano a mantenerli oggi. “Questa decisione è estremamente deplorevole e non la accettiamo affatto”, ha affermato Hiroshi Kishi, presidente della Federazione nazionale delle cooperative di pesca. Insomma i pescatori giapponesi non temono gli isotopi radioattivi dell’idrogeno, ma l’allarmismo dell’opinione pubblica globale: sanno che il mondo è pieno di coldiretti, e come dargli torto.
Però la domanda resta in piedi. Detta semplice semplice, è questa: se un tonno si mette proprio davanti al punto dove vengono sversate le acque contaminate, che succede? Ho rivolto questa domanda alla collega Silvia Kuna Ballero, che ne sa più di me, in quanto fisica e comunicatrice scientifica. “Chiaramente tutto dipende da quanta fiducia si ha nella TEPCO e nelle autorità giapponesi, ma il piano è quello di diluirla ulteriormente al momento di sversarla e di farlo in frazioni successive. Teniamo conto che l’acqua che era stata sversata all’epoca non era stata filtrata dagli altri contaminanti: qui c’è solo trizio, già in basse concentrazioni, che sarà ulteriormente diluito”.
Dobbiamo fidarci che faranno quello che dicono di fare, insomma. Ma Ballero su questo è abbastanza netta: “L’idea è quella, anche perché il danno all’industria ittica giapponese è stata una vexata quaestio sin dal momento dell’incidente e dubito che vogliano aggravarlo avendo gli occhi puntati addosso. Comunque vada un colpo di immagine ci sarà”. E dire che il ritorno alla normalità era stato appena annunciato, ma d’altra parte c’è da aggiungere che anche se l’annuncio è di questi giorni, le operazioni di sversamento dovrebbero cominciare nel giro di un paio di anni.
Quindi possiamo dire che comunque è più radioattiva una banana rispetto a un gamberone di Fukushima? “A parità di volume molto molto di più, e peraltro il potassio produce elettroni più energetici”. In ogni caso e giusto a titolo informativo, ci sono dei posti del corpo o degli organi dove gli isotopi radioattivi si concentrano di più? “Dipende dall’isotopo. Parlando dell’uomo giusto come riferimento, ci sono isotopi affini al calcio, come radio, plutonio e stronzio, che finiscono nelle ossa. Altri, come il cesio, sono affini al potassio e finiscono specialmente nei muscoli. Altri, come lo iodio, vanno nella tiroide. Il trizio, essendo idrogeno, va praticamente ovunque (perché sta nell’acqua), ma i suoi effetti biologici non sono chiari. Secondo alcuni è molto pericoloso, secondo alcuni non lo è per nulla. E il danno che fanno dipende sia da come decadono (in che particelle, su che tempi…) sia dalla loro emivita biologica, cioè quanto rapidamente l’organismo se ne libera, e questo dipende da meccanismi metabolici molto variabili da specie a specie”.
Insomma possiamo concludere che i problemi nel consumo di pesce sono BEN ALTRI? “Beh, il mercurio vince”.