Secondo un’antica leggenda romana, le fragole altro non sarebbero se non le lacrime di Venere, cadute in terra per il dolore causato dalla morte dell’amato Adone. Chissà se la dea avrebbe mai pensato che secoli dopo questo struggente mito, e tanto dolore provato, quel frutto così prelibato sarebbe diventato una vera e propria industria capace di generare, ai quattro angoli del globo, interessi da capogiro.
Una sorta di “oro rosso” su cui negli ultimi anni si sono scatenate vere e proprie battaglie dei prezzi, con tanto di accuse reciproche fra Paesi produttori. Una disfida in cui il nostro Paese entra di diritto, visto che il settore rappresenta il 2,5 per cento della produzione ortofrutticola italiana e genera un giro di affari diretto di ben 264 milioni di euro l’anno (il tredicesimo al mondo).
Un paese all’avanguardia
Per fare il punto sul settore il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) e l’Università Politecnica delle Marche hanno presentato ieri mattina il “Simposio Internazionale della Fragola” che si svolgerà on line dall’1 al 5 maggio. Esperti, analisti, produttori e rappresentanti delle istituzioni provenienti da tutto il mondo si confronteranno su quello che William Shakespeare definiva “un cibo da fate” e che oggi rappresenta un fiore all’occhiello della nostra produzione. Fin dagli anni ’70, infatti, il nostro Paese si è dimostrato all’avanguardia e grazie alla ricerca scientifica i nostri agricoltori sono riusciti a dare la vita a decine e decine di nuove varietà di fragole che in breve tempo si sono diffuse nel mondo per lo standard produttivo, in termini di resistenza ai patogeni, e l’ottima pezzatura.
Il Simposio, che torna ad essere ospitato in Italia dopo oltre 30 anni, sarà anche l’occasione per approfondire le svariate tecniche di coltivazione della fragola, da nord a sud del Paese. Infatti, grazie alle diverse varietà create e a tecnologie innovative, gli agricoltori nostrani sono in grado di “produrre durante tutto l’arco dell’anno”. Nel profondo sud, ad esempio, grazie alla tecnica della messa a dimora precoce di piante fresche, fra settembre e ottobre, capaci di andare in produzione dopo 60 giorni e di portare sulle nostre tavole le lacrime di Venere già a novembre.
L’export e il ruolo delle istituzioni
Un patrimonio da difendere, come sottolineato anche dal sottosegretario al ministero degli Esteri, Manlio Di Stefano, che in messaggio di saluto ha assicurato il “sostegno del governo e della Farnesina alla ricerca scientifica, specie nel settore dell’agroalimentare, fiore all’occhiello del nostro export”, grazie alla qualità dei prodotti del made in Italy. Con otre 800 indicazioni geografiche riconosciute, ha poi ricordato il sottosegretario, “l’Italia detiene il primato fra i paesi Ue” e proprio queste indicazioni geografiche “sono cruciali per le esportazioni”. Anche per competere con altri Paesi produttori come Francia, Belgio e Spagna.
Dunque, secondo il sottosegretario al ministero delle Politiche agricole, Francesco Battistoni, “dobbiamo affrontare le sfide che ci arrivano dall’Europa, come quella sulla Politica agricola comune. C’è la necessità di stilare insieme una strategia a sostegno del mondo della fragola” anche in relazione al nuovo piano “per il rafforzamento del biologico” che la commissione europea si appresta a varare. Dal canto suo il presidente del Crea, Carlo Gaudio, si è detto convinto che il nostro Paese possa presentarsi alla sfida europea “con le carte in regola” grazie anche alle innovazioni scientifiche “che hanno rinnovato lo standard produttivo della fragola” determinando un significativo calo del costo di produzione ed un aumento della raccolta. “Attualmente – ha aggiunto – sono una decina le varietà italiane tutelate e riconosciute a livello internazionale”. E presto, assicurano gli esperti, potrebbero essercene molte altre.
I numeri della fragola
Secondo i dati FAO, la superficie coltivata a fragole a livello mondiale nel 2019 è stata di oltre 396.000 ettari, cresciuta del 22% dal 2008 (oltre 325.000 ettari), mentre nello stesso anno la produzione si attesta ad oltre 8.885.000 tonnellate, confermando un trend di crescita esponenziale, che nel decennio 2008-2019 è stato del 45% circa. A livello mondiale la Cina si conferma, anche nel 2019, il primo produttore mondiale con i suoi oltre 3,2 milioni di tonnellate e oltre 125.000 ettari di superficie coltivata, staccando di molto il secondo produttore mondiale, gli Stati Uniti, che raggiungono 1,021 milioni di tonnellate e oltre 18.000 ettari. La Cina e gli Stati Uniti d’America producono insieme circa il 60% del totale mondiale. Scorrendo la classifica troviamo poi il Messico al terzo posto con oltre 861.000 tonnellate di produzione e 16.000 ettari di superficie coltivata. A seguire, Egitto (460mila ton e oltre 11.700 ettari coltivati) e Turchia (486mila ton e 16.000 ettari coltivati). Il primo produttore europeo, sesto nel mondo, è la Spagna (352mila ton e 7200 ettari coltivati), che detiene da decenni il primato di produzione, mentre per trovare l’Italia bisogna scendere al tredicesimo posto. Secondo le stime, la Basilicata e la Campania si confermano come principali bacini produttivi e trainanti della produzione, coprendo il 50% del totale nazionale.