Solo integrale, please. Che si parli di farina, o di zucchero, di pasta o di trazione, ormai il mantra è lo stesso: integrale.
Una mania che sembra arrivare ai livelli inaccessibili del gluten free, altro spauracchio in odore di ortoressia (ossessione per il mangiare sano) nonché richiamo per sedicenti intolleranti al noto killer di nome “glutine”, sterminatore di genti.
In effetti, “integrale” ha il suo perché in quanto le farine integrali, rispetto a quelle candide cui siamo o eravamo abituati, hanno più elementi nutritivi utili al nostro organismo, in gran parte contenuti nel germe, e cioè sali minerali, vitamine del gruppo E e B e aminoacidi, e nella crusca, la parte esterna del chicco, ricca di fibre.
Entrambi questi preziosi elementi, germe e crusca, vengono però persi durante il processo di raffinazione e sbiancamento della farina.
C’è da specificare che se la farina integrale presenta indubbi vantaggi (per esempio aumenta il senso di sazietà e facilita il transito intestinale, riducendo l’assorbimento di grassi e colesterolo), è anche vero che i prodotti con farina integrale hanno tempi di conservazione molto più brevi e spesso il gusto lascia un po’ a desiderare.
La farina raffinata è, dal suo lato, più appetibile e facilmente conservabile.
Fatto sta che ormai, per noi, integrale è sinonimo di sano e giusto, mentre la farina bianca è ormai aborrita e da molti considerata un veleno nonché la causa dei nostri guai, dal mal di pancia alla rata del mutuo in scadenza.
Sarà per questo che i produttori, attenti alla nostra salute ma sopratutto alle mode del mercato, si sono premurati di urlare INTEGRALE a lettere cubitali, sulle confezioni.
Peccato che spesso la magica parola non corrisponda alla integrale realtà dei fatti e che molto spesso la dicitura sia, per così dire, “leggermente ingannevole”.
Infatti molte farine che si dichiarano”integrali” in realtà tali non sono: si tratta cioè di farine raffinate a cui è stato poi di nuovo aggiunta, per venire incontro alle nostre pressanti esigenze, una piccola percentuale di crusca o cruschello.
Quindi un doppio processo: di raffinazione prima e, in seguito, di ulteriore ricostituzione. Alla faccia della salute.
Tutto questo in piena legalità: il trattamento era consentito da una Circolare del Ministero delle attività produttive. Peccato che i prodotti con al loro interno farina integrale ricostituita, oltre a contenere una farina che è stata sottoposta a ben due processi, presentino un contenuto di fibra molto minore rispetto a quelli con “vera” farina integrale, passando dall’11% a un modesto 2,5%.
E quindi? Presi all’amo delle nostre smanie salutiste un’altra volta?
In realtà con l’entrata in vigore del nuovo regolamento UE sull’etichettatura degli alimenti (che in parte ha trovato applicazione nel dicembre 2014 e in parte ne troverà nel dicembre 2016) la pratica ambigua non dovrebbe più essere permessa ma, mancando uno specifico regime di sanzioni, e quindi perdurando abbastanza tranquillamente la pratica scorretta, l’unica tutela, per ora, rimane il ricorso all’Antitrust.
Se invece vogliamo andare più per le spicce, basterà osservare con cura la lista degli ingredienti dei prodotti, e se non troveremo la scritta “farina di grano tenero integrale” oppure “farina di frumento integrale”, allora potremo stare certi che si tratterà non di farina integrale vera e propria ma di farina “ricostituita”.
E mestamente ci dirigeremo verso il vicino scaffale. Contenente la solita, vecchia farina bianca.