Il Buonappetito – Il diritto al cibo che non fa bene
Ma sembra solo a me che stiamo prendendo una deriva “benista”?
Dopo giustizialista e buonista, sono orgoglioso di coniare il termine “benista” ove per “benista” intendo la mania del cibo che fa bene. Treccani definisce “buonista” “l’ostentazione di buoni sentimenti” e io definisco “benista” “l’ostentazione dei cibi che fanno bene”.
[Il Buonappetito: la verità, vi prego, su ciò che fa male. E che fa bene]
Stiamo diventando tutti Straight Edge, sapete quei pazzi che non bevono, non fumano, non si drogano, sono vegani e non fanno sesso occasionale.
Ehi, ma cosa vivete a fare?
Se mi dite che devo avere un’alimentazione quotidiana equilibrata così campo più a lungo, rispondo: okay, ci sto, avete ragione. Se ti fai un fritto al giorno, duri meno di Sid Vicious. Tengo famiglia, non voglio lasciare vedova e orfani anzitempo.
Ma al ristorante? Magari in un ristorante di fine-dining?
In un locale da duecento euro mica ci mangio tutti i giorni, se per farmi godere hai bisogno di grassi saturi, più sale di quello del Mar Morto e alcol a fiumi ti dico: eccomi qua, fai di me quel che desideri. Per gustare questo piatto devo fumarmi un cubano? Ci sono. Carrello dei formaggi? Travolgimi.
[Le uova fanno bene? Separiamo i falsi miti dalla realtà]
I grandi cuochi che parlano di cucina salubre mi fanno venire i brividi.
Come se un cantante rock abbassasse il volume perché spaventa i cani. O un pittore smettesse di usare i colori a olio perché inquinano quando sciacqua la vaschetta.
La gola è un vizio, perbacco. E mi piace proprio così.