È nata l’agricoltura simbiotica. Già, ma che vuol dire? Le pratiche agricole sono al tempo stesso presenti nel dibattito mediatico (pensiamo all’agricoltura biodinamica) quanto poco approfondite. Quando viene formulata una nuova strategia agricola, che sia codificata tramite un disciplinare, una certificazione, un marchio, o sia la messa a punto di una serie di pratiche agricole storiche succede qualcosa di interessante.
L’agricoltura simbiotica, cito, “è un sistema di produzione agroalimentare che mira al ripristino, mantenimento, miglioramento della biodiversità e funzionalità microbica dei suoli”. Ho cercato di capirne di più in due modi: informandomi tramite documenti ufficiali e poi parlando con l’ideatore di questo sistema, Sergio Capaldo, che per anni è stato veterinario poi Presidente del Consorzio di allevatori La Granda, Responsabile Zootecnico Nazionale per Slow Food, Responsabile qualità carni del gruppo Eataly, docente presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e oggi anche artefice e presidente del Consorzio Eco-Simbiotico.
L’agricoltura simbiotica ha un suo manifesto, che raccoglie una serie di pratiche tra cui: la rotazione delle colture e la sostituzione delle monoculture, l’abolizione di OGM e prodotti derivati da OGM, l’utilizzo di tutte le pratiche dell’agricoltura conservativa, ad esempio, la minima lavorazione, la diminuzione drastica del consumo di fertilizzanti azotati, fosfatici, potassici e fitofarmaci. Ma soprattutto: l’applicazione sul suolo coltivato dei microorganismi (biota microbico) che stimolino la ripresa della biodiversità e dell’attività microbica del suolo. Dalla nostra conversazione telefonica, ho dovuto di necessità fare un buon editing (ma sempre fedele) perché Sergio Capaldo è un fiume di idee e di concetti, che non sempre risultano semplicissimi a chi non è pratico della materia. Proviamoci.
Prima di tutto chiedo: la parola ideatore è corretta parlando di lei in relazione all’agricoltura simbiotica?
Penso di sì. Ti spiego perché. Io ho fatto il veterinario tanti anni, avevo iniziato con la qualità del latte per il gruppo Panna Elena – Parmalat. Come ricercatore avevo cercato di fare del fieno di grande qualità per migliorare la qualità del latte. E devo dire, mi son tolto tante soddisfazioni. Poi mi son dedicato al mondo delle carni. I risultati nel mondo del latte mi hanno convinto a fare un buon lavoro anche lì. Volevo vedere se partendo dai principi di questo nostro sistema, l’agricoltura simbiotica, nelle carni si vedeva qualche risultato.
E come ha fatto a testarlo?
Abbiamo lavorato con il CNR di Pisa e abbiamo scoperto che anche le carni cambiavano. Per un’associazione di idee sono arrivato a questa considerazione: se gli animali cambiano i loro grassi, gli antiossidanti e i valori nutrizionali in meglio, cambiando alimentazione, allora l’agricoltura simbiotica per proprietà transitiva cambia anche me. Abbiamo cominciato poi degli studi in campo umano che hanno dato ottimi risultati. Chiaramente è l’inizio di un percorso, vorrei approfondirli.
Da dove parte l’agricoltura simbiotica?
Da un concetto banalissimo: tutta la nostra storia non viene dall’idea che l’uomo è nato sulla terra così, come un fungo. I nostri antenati per milioni di anni sono stati virus, batteri, alghe. Capiamoci: in una giornata di 24 ore, noi siamo gli ultimi 30 secondi. Insomma c’è stato questo miracolo, chiamatelo come volete, che da organismi monocellulari si sono creati i pluricellulari.
Questo cosa c’entra con l’agricoltura simbiotica?
Mi son detto: l’Italia va a sbandierare in tutto il mondo la biodiversità. Il problema è che ci mettiamo a guardare quella che è sopra la terra, quando la vera grande biodiversità sta nella terra stessa. Il terroir dove si fanno i grandi vini, da dove nascono profumi ed essenze, parte da sotto terra. Alla base di tutto però c’è la microbiologia. All’interno del nostro corpo noi abbiamo circa due chili di microbi amici, quella che chiamiamo flora microbica. Anche tra i microbi ci sono i buoni e i cattivi. Per motivi contingenti abbiamo sempre studiato i cattivi perché sono quelli che c’hanno creato più creato problemi.
Come funziona l’agricoltura simbiotica?
È un sistema che va a lavorare su più livelli. Primo: andare a bloccare il carbonio nel suolo, l’energia. Perché l’uomo non è mai riuscito ad imitare la natura con la fotosintesi. Trattenere il carbonio non significa solo trattenere più energia ma anche trattenere di più l’acqua. Attenzione perché svoglio smentire tutti quelli che dicono baggianate: l’acqua, non è mai sparita. Abbiamo la stessa quantità d’acqua che avevamo ai tempi dei dinosauri. Se noi continuiamo ad avere un cambiamento climatico come questo, quando l’acqua piove e la terra è dura come un sasso, torna al mare.
Il nome “simbiotica” da dove viene?
È molto semplice. Le micorrize che usiamo, che vengono messe nel terreno e si attaccano alle radici e diventano un tutt’uno con loro, si chiamano simbionti, è il nome scientifico esatto. Era inutile inventare un altro.
Se fossi un agricoltore e volessi capire quali pratiche agricole applicare, quali sarebbero?
Nutrire il suolo con un complesso microbico. Più o meno come noi andiamo a comprare i probiotici. Io a scuola ho studiato che le radici assorbivano tutte le sostanze nutritive, così pensavo. Poi ho scoperto che le radici assorbono solo quello che è a contatto e hanno anche loro una flora microbica. Questi funghi, queste micorrize, si attaccano alle radici, prendono il cibo, lo danno alla pianta e la pianta in cambio nutre questi funghi. Creano una rete che aumenta di milioni di volte il loro sviluppo. È una cosa difficile da capire per noi umani perché il mondo animale è diviso. Mentre nel mondo vegetale, le specie si aiutano. Questa è la simbiosi.
Questo approccio agricolo è concorrenziale ad altre agricolture, come quella biologica?
Assolutamente no. Si affianca completamente. Chiunque può avvicinarsi. È esattamente quello che sta succedendo, abbiamo molte richieste. È inutile che parliamo tanto: bisogna trovare delle soluzioni che siano anche produttive. Io mi sono convinto della bontà di questa agricoltura perché ho visto un miglioramento produttivo.
Il discorso della certificazione quando è stato introdotto?
Già dall’inizio. Io ero quello contrario alla burocrazia ma mi sono accorto che se non mettevo le cose nero su bianco, non valeva niente. Ho preso spunto dal mondo biologico, ma anche dalle pratiche integrate per capire che se volevo veramente creare un movimento dovevo certificarlo. Così c’è un disciplinare e un ente terzo che verifica che sia rispettato. Sono loro che rilasciano la certificazione. È partita in una modalità privata, come nella biodinamica. Vedremo come si evolverà.
Faccio l’opposizione: se fossi un cliente, e dicessi che è solo una trovata di marketing per vendere dei nuovi prodotti?
Direi no guarda: le buone pratiche che usiamo noi sono stra-accertate. Poi gli direi: guarda, io ho certificato quello che faccio. Sennò a parole, come nel vino, son buoni tutti.
La sua relazione con Eataly?
È stato l’unico, fin dall’inizio, che ha accettato con la Granda il contratto con gli allevatori. Perché nessun’altra GDO l’ha fatto. Noi abbiamo detto ad Eataly: il prezzo non si contratta e loro, gli unici, l’hanno accettato. Gli altri o volevano private label o cambiare il prezzo tutte le settimane. Tu lo sai che quando lavoravo in America, diventavo matto a capire le differenze di prezzo della carne di maiale? Mi hanno spiegato che c’entrava il tempo. “Se piove il prezzo della carne cala perché non si fa il barbecue”. È vergognoso che accada questo.
Oggi da Eataly si trovano alcuni prodotti da agricoltura simbiotica?
Eataly si è messa a disposizione. Hanno accettato i prodotti con questa certificazione. L’anno scorso (2021), alla Camera di Commercio abbiamo registrato il marchio. Da questa primavera è partita la campagna. In quest’autunno con Terra Madre ci sarà il vero lancio. Poi il mercato sarà libero.
Come sta andando?
Bene. Siam partiti con delle idee e dei progetti, vedere che è una cosa che ha centrato degli obiettivi, che poi sono quelli di Farm to Fork, mi rende contento. Chiaro per che per vederli applicati ci vorrà del tempo. Poco per volta.