Il tema delle “banche dei semi” è uno di quelli che torna periodicamente in scena quando si parla di biodiversità e della sua conservazione: si cita in genere l’avveniristica Svalbard Global Seed Vault nelle isole Svalbard ma più raro è riuscire a trovare approfondimenti storici, riferimenti normativi ed esempi che vadano oltre quello Norvegese. Proviamo a farlo qui, partendo proprio dalle norme internazionali e dando uno sguardo poi a quanto avviene in giro per il mondo e in Italia.
Nel 2004 è entrato in vigore il Trattato internazionale sulle risorse genetiche delle piante per l’alimentazione e l’agricoltura (Itpgrfa), più noto come “trattato internazionale sui semi”: si tratta di fatto di un accordo, sottoscritto da 130 paesi, che mira a garantire la sicurezza alimentare attraverso la conservazione, lo scambio e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche mondiali per l’alimentazione e l’agricoltura, e l’equa condivisione dei benefici che ne derivino. Sulla carta, gli obiettivi sono condivisibili e lodevoli, e rappresentano una declinazione del principio più generale che mira alla difesa della biodiversità. Quindi, ecco il riconoscimento dei diritti degli agricoltori ad un libero accesso alle risorse genetiche, non ristrette da diritti di proprietà intellettuale, coinvolgimento in discussioni politiche di rilevanza e nell’assunzione di provvedimento, diritto all’uso, al recupero, alla vendita e allo scambio di semi nell’ambito delle leggi nazionali, scambio di informazioni, accesso e trasferimento delle tecnologie specifiche per l’utilizzo delle risorse fitogenetiche. Sono stati individuati 64 dei più importanti alimenti e foraggi vegetali, essenziali per la sicurezza e l’interdipendenza alimentare, per i quali si applicano le regole del trattato.
Il percorso che ha portato al trattato è stato complesso e articolato ed è durato sette anni. Nel 1983 è stato adottato infatti un accordo volontario, l’International Undertaking on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture (impegno internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura – UI), che sosteneva come le risorse genetiche fossero patrimonio comune dell’umanità. Nel 1992 è stata sottoscritta la Convenzione internazionale per la conservazione della diversità biologica (CBD), entrata in vigore l’anno successivo: con essa la giurisdizione delle risorse genetiche è diventata soggetta alla sovranità dei governi nazionali che le possiedono.
Per l’attuazione delle tematiche legate al mondo vegetale, nel 2022 sono seguiti due rilevanti piani strategici: a livello globale la Global Strategy for Plant Conservation (GSPC) e livello continentale la European Plant Conservation Strategy (EPCS) adottata dal Consiglio d’Europa. Vengono focalizzati così 16 importanti obiettivi cui dare attuazione: conoscenza e documentazione della biodiversità vegetale, conservazione e uso sostenibile, promozione di educazione, consapevolezza e capacità di conservazione, oltre a condivisione e scambio di conoscenze, anche mediante la creazione di reti internazionali.
Nonostante le premesse condivisibili, il dibattito sull’efficacia del trattato è ampio, così come sussistono ancora problemi irrisolti o soggetti a interpretazione, come per esempio i diritti di proprietà, i limiti dello scambio di semi e la condivisione dei benefici.
Se oggi il tema delle banche dei semi, o meglio delle “banche del germoplasma” – di cui i riferimenti normativi sopra ricordati rappresentano il tentativo di dare un ordine globale condiviso, è diventato di stringente attualità – il percorso che ha portato alla loro creazione è ben più antico.
La prima banca dei semi
Si deve a Nikolaj Ivanovič Vavilov, agronomo russo nato a Mosca nel 1887 la nascita della prima banca dei semi, nel 1921. Tra i primi studiosi ad intuire l’importanza della genetica vegetale, dopo gli studi con Gregory Bateson e dopo essersi perfezionato in Gran Bretagna, Francia e Germania, gli viene affidata (dal 1929 al 1935) la direzione dell’Accademia pansovietica di scienze agrarie Lenin. In oltre una sessantina di viaggi in giro per il mondo, in quegli anni Vavilov fa aprire oltre 400 centri di ricerca e stazioni sperimentali in tutto il paese, dove lavoravano 20.000 tra ricercatori e tecnici, conducendo l’Unione Sovietica ai vertici mondiali della ricerca botanica e delle sue applicazioni.
L’istituto da lui diretto nel frattempo cambia nome e diventa il VIR, l’Istituto Vavilov di tutte le Russie per gli impianti industriali, oggi per la genetica vegetale: di fatto la prima banca dei semi al mondo, che nel 1940 ospitava già oltre 200.000 campioni (oggi sono 325.000). Le sue sorti cambiano in modo drammatico con la morte di Lenin, suo sostenitore, e l’avvento di Stalin: gli viene preferito Trofim Lysenko, sostenitore di tesi prive di fondamento ma gradito a Stalin. Condannato a vent’anni di carcere, Vavilov muore di stenti nel 1943. Il “suo” VIR tuttavia si salvò, resistendo anche all’assedio nazista di Leningrado: nei lunghi mesi di assedio, decine di ricercatori suoi collaboratori riuscirono infatti a mettere in salvo i testi dei suoi studi e la grande collezione di migliaia di semi che aveva creato.
Dagli anni ’20 ovviamente molto è cambiato e dall’idea di quella prima banca ne sono nate molte altre, ma il VIR rappresenta di fatto il modello cui si sono ispirate tutti gli istituti successivi. Ma che scopo ha e come funziona di preciso una banca dei semi?
A cosa serve una banca dei semi?
Sono molte le ragioni che spingono alla conservazione delle sementi: economiche e scientifiche. Delle 75.000 piante eduli presenti in natura, gli studi dicono che ne sono state usate circa 3.000, ma quelle coltivate e commercializzate sono decisamente meno. La maggior parte dei cibi che mangiamo deriva da sole 20 specie, mentre metà della popolazione mondiale dipende solo dalla produzione di riso. Se la “rivoluzione verde” ha portato da un lato ad un aumento della produzione agricola, dall’altro ha causato una indubbia erosione genetica, con una significativa diminuzione delle varietà locali nonché delle tecniche tradizionali di coltivazione. Uno degli obiettivi delle banche dei semi è quello di bloccare il fenomeno di erosione e consentire alle varietà antiche – più resistenti ed in grado di contrastare le conseguenze dell’omogeneità genetica (tra cui patologie che potrebbero compromettere interi raccolti di piante tutte uguali) – di sopravvivere. Se da un lato è utopistico pensare di poter combattere la fame mondiale con questo tipo di coltivazioni (che sono indubbiamente a bassa resa), è pur vero che queste varietà posso rivelarsi un aiuto prezioso, anche nei confronti delle stesse varietà moderne. Oltre agli scopi alimentari, le specie vegetali rappresentano una fonte di interesse anche per l’industria farmaceutica: il 25% dei principi attivi usati per la produzione di farmaci deriva da piante, mentre stime recenti sostengono che le specie utilizzate in farmaceutica rendono in media dai 19 ai 35 milioni di euro all’anno.
Le banche dei semi consentono quindi non solo la conservazione e la salvaguardia delle varietà, ma anche la possibilità – un po’ come avviene per una biblioteca – di prendere a prestito in caso di necessità, e di scambiare i semi. Ogni seme necessita di precise condizioni di conservazione (temperatura, umidità dell’impianto e umidità relativa interna del seme) e per ognuno si conoscono i tempi di conservazione: si va dai tre o quattro anni dei semi oleosi ai 50-70 anni del grano. La raccolta che alimenta la banca, e quindi il reperimento dei semi, avviene sul campo o attraverso accordi di scambio: il numero complessivo di banche a livello mondiale supera il migliaio, per oltre sette milioni tra varietà e specie vegetali conservate, tra fiori selvatici, ortaggi autoctoni, cereali. In genere si trovano sottoterra e sono costruite per resistere a calamità naturali e guerre.
Le banche dei semi nel mondo
La Svalbard Global Seed Vault
Sicuramente la più famosa e citata. Si trova alle isole Svalbard, in Norvegia, 1200 km dal Polo Nord. E’ stata inaugurata nel 2008 e l’area in cui sono conservati i semi – tre sale, lunghe 27 metri, larghe 10, alte 6 – si trova a 130 metri all’interno della montagna e sotto strati di roccia con spessori tra 40 e 60 metri, con temperatura costante tra i -3° e -4°. Contiene 1,2 miliardi di semi che fanno capo a 5.694 specie. Il paese che spedisce al Vault i semi ne rimane proprietario ma deve accettare di mettere a disposizione campioni per scopi di ricerca, di coltivazione ed educativi. La storia del prelievo del primo campione è significativa: a rivolgersi al Vault è stato il Centro internazionale per la Ricerca agricola in aree asciutte (Icarda) di Aleppo, che ha visto minacciato il proprio patrimonio sementiero a causa della guerra civile in Siria. Icarda aveva già spedito i propri semi alle Svalbard, che le aveva conservate: ha potuto quindi richiederle nuovamente, replicarle, e riconsegnarle per la conservazione nuovamente al Vault. Icarda, proprio in seguito al conflitto siriano, ha stabilito ora la propria sede, anche se temporanea, a Beirut.
Global Crop Diversity Trust
Non è una banca vera e propria ma un organismo che svolge la propria attività seguendo le direttive indicate dal Itpgrfa: la conservazione si concentra in particolare su una selezione di colture primarie a livello globale (mela, orzo, avena, patata, riso, fagiolo, ecc). Di fatto opera come un fondo e sta organizzando una serie di strategie di conservazione nazionali e regionali, promuovendo la rigenerazione, la caratterizzazione, la documentazione e la valutazione delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e lo scambio delle relative informazioni.
Future Seeds
Si trova a Palmira, in Colombia ed è costata 17 milioni di dollari: progettata per essere sostenibile, ospita semi e germoplasmi provenienti per la maggior parte dalle zone tropicali, in particolare manioca (6.100 varietà), erbe da foraggio (22.600) e fagioli (poco meno di 38.000). Se il Vault ha fatto dell’inaccessibilità il suo tratto distintivo, Future Seeds gioca su incontri, seminari, partnership, e l’accesso del pubblico, aprendo anche alle scuole, con lo scopo di far crescere la consapevolezza dell’importanza della biodiversità vegetale tra i più giovani.
Increase
E’ l’acronimo che sta per “Intelligent collections of food legumes genetic resources for European agrofood systems”: di fatto è un progetto di citizen science, finanziato dalla Commissione europea con 7 milioni di euro. Durerà 6 anni ed ha lo scopo di migliorare l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche intervenendo sullo stato delle risorse genetiche di quattro importanti legumi alimentari: cece, fagiolo comune, lenticchia, lupino.
Si basa su un’app: una volta registrati, si riceve un pacco di semi e si procede con il documentare le caratteristiche delle piante (colori e forme dei fiori, dei semi e dei baccelli, delle foglie, crescita, ecc), nel corso della fase di coltivazione. E l’obiettivo è anche quello di condividere preparazioni e ricette nate dai semi coltivati.
Prima di muoversi all’interno dei confini nazionali, vale la pena citare anche il Centro asiatico per la ricerca e lo sviluppo delle verdure di Taiwan, il Centro internazionale di miglioramento del mais e del grano di Città del Messico e l’Istituto internazionale di ricerca sulle colture per i tropici semi-aridi in India.
Le banche dei semi in Italia
In Italia esistono una quindicina di banche del germoplasma impegnate nella conservazione di piante alimentari e specie spontanee. Alcune di queste afferiscono al trattato di cui abbiamo parlato all’inizio – Itpgrfa – e fanno riferimento a 10 Centri del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), 5 istituti del Consiglio Nazionale della Ricerca (CNR) e la OGN “Rete Semi Rurali”. Le attività di ricerca sono finalizzate alla raccolta, conservazione, caratterizzazione, documentazione e utilizzazione di oltre 70 produzioni di rilievo per l’agricoltura italiana (cereali, ortive, fruttiferi, olivo, vite, foraggere, piante forestali, ornamentali, aromatiche e medicinali). Il Database ad oggi comprende 241 generi e 863 specie botaniche, per un totale di 49000 accessioni.
A Bari esiste quella che è considerata una delle più antiche banche del germoplasma del settore agrario del mondo: la banca dei semi dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBBR-CNR). Attiva dal 1970 e frutto di un riordino della rete di ricerca del CNR avvenuto nel 2013, conserva circa 56.000 campioni di semi, provenienti da tutto il mondo appartenenti a 33 famiglie diverse, con 179 generi e 831 specie: la maggior parte appartengono alla famiglia delle Graminacee e delle Leguminose. Oltre 13.000 campioni sono stati raccolti direttamente dagli esploratori dell’Istituto a partire dal 1971, soprattutto in Europa meridionale e in Africa. Il lavoro si fa sulla raccolta, conservazione, valutazione e distribuzione delle risorse genetiche vegetali. La conservazione avviene in camere climatizzate e si distingue la conservazione a breve termine (a 0 °C e 35% di umidità relativa) e quella a lungo termine a -20 °C. I semi mantenuti a 0-1 °C (circa 8.700 kg complessivi) sono conservati in circa 100.600 piccoli sacchetti di carta, mentre quelli a -20 °C (circa 6.100 kg complessivi) sono conservati in circa 21.600 barattoli ermetici, per un totale di oltre 122.000 articoli. Tutto il materiale è allineato su scaffali etichettati all’interno di stanze buie e refrigerate e gestito tramite strutture software avanzate.
Il Database del Germoplasma del Mediterraneo (MGD) è il database di riferimento per la collezione di germoplasma vegetale agroalimentare conservato a Bari.
Life Seedforce
E’ un progetto finanziato dalla Commissione Europea e guidato dal Museo delle scienze di Trento, che coinvolge 15 partner italiani e stranieri. L’obiettivo principale è quello di migliorare lo stato di conservazione di 29 specie vegetali dell’Allegato II della Direttiva Habitat (92/43/CEE) che versano in uno stato di conservazione “Sfavorevole-Inadeguato” (19) o “Sfavorevole-Cattivo” (10), presenti in 76 siti della rete Natura 2000 (SIC/ZSC). Oltre alla raccolta del germoplasma delle specie bersaglio e alla sua conservazione, sono previste anche azioni di rivegetazione e protezione dal pascolo eccessivo e dal calpestio.
Rete Ribes
Si chiama RIBES, ed è la “Rete Italiana di Banche del germoplasma per la conservazione Ex Situ della flora spontanea”. E’ il frutto di un lavoro iniziato nel 2004 da parte di istituzioni pubbliche, ma anche private o onlus impegnate nella conservazione di piante spontanee e con l’obiettivo di arrivare ad una sorta di coordinamento nazionale, in assenza di una normativa di riferimento. La rete nasce ufficialmente nel 2005 dalla sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra 18 istituzioni operanti su gran parte del territorio nazionale. Dopo una serie di trasformazioni, oggi Ribes ha una precisa connotazione (conservazione di specie alpine, specie mediterranee, endemismi, orchidee, ecc.) e copre la maggior parte del territorio italiano.
La Rete Semi Rurali
I soci fondatori sono l’Associazione Rurali Italiana (ARI), l’Associazione per la Salvaguardia della Campagna Italiana (ASCI), Archeologia Arborea, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, Civiltà Contadina, il Consorzio della Quarantina, il Coordinamento Toscano Produttori Biologici (CTPB) e il Centro Internazionale Crocevia. Ne fanno parte 34 organizzazioni e promuove una gestione collettiva dell’agro biodiversità.