Perché amiamo i cibi fermentati anche se sono quasi marci

La fermentazione in cucina è il trend del momento, lo chef che non ha in carta qualcosa di fermentato non è nessuno. Ma vino, birra, yogurt e pane sono alimenti fermentati, quindi non abbiamo inventato niente. Ma quali sono i cibi fermentati più diffusi nel mondo?

Perché amiamo i cibi fermentati anche se sono quasi marci

Cibo marcio, che bontà! Marcio, sì, avete letto bene. E’ questa infatti la nuova tendenza, sono questi i cibi “cult” del momento: cibi marci, in fase iniziale di decadimento, che stanno cominciando ad andare a male.

O, se vogliamo usare un’espressione meno colorita e forse più appropriata, cibi fermentati.

Questa la nuova frontiera del cibo, i cibi fermentati. Cibi cioè trattati con un apposito procedimento, vecchio di millenni, che permette loro di durare a lungo cambiando forma, consistenza, odore e sapore.

E del resto, cos’è il processo di fermentazione, pensandoci bene, se non l’azione del tempo e dei batteri sulle caratteristiche organolettiche degli alimenti?

Con la fermentazione, i cibi vengono sottoposti alla lenta e costante azione dei batteri “buoni”, non nocivi per l’alimentazione umana, dando luogo a prodotti con nuovi gusti e nuove consistenze.

E sono molti i cibi fermentati già oggi presenti nella nostra dieta che non ci fanno assolutamente storcere il naso in un’espressione di disgusto, ma che anzi completano i nostri pasti.

Pensiamo ad esempio al formaggio: il formaggio altro non è che latte, reso solido e saporito dall’azione di enzimi e batteri. Molti di noi saranno gradevolmente sorpresi di sapere che il particolare aroma del gorgonzola è dovuto agli stessi batteri responsabili dell’odore di piedi.

sottaceti

E lo stesso vale per yogurt, sottaceti, crauti, birra, vino e persino il pane. Cos’è infatti il lievito di birra, e cosa l’ormai onnipresente pasta madre, se non una massa di operosi batteri che permettono alla pagnotta di arrivare soffice e morbida sulle nostre tavole?

I cibi fermentati, cioè sottoposti all’azione del tempo e dei batteri, sono quindi già regolarmente presenti nella nostra alimentazione, ma solo da qualche anno si è cominciato a riparlare in modo massiccio di questa tecnica in realtà vecchia di millenni.

Una tecnica antica che ha permesso all’uomo di non solo di conservare il cibo più a lungo, ma anche di trattarlo e modificarlo.

La fermentazione, cioè, non è semplice conservazione, o meglio non è solo quello: alcuni tipi di fermentazione, infatti, non hanno nulla a che fare con il classico obiettivo di “far durare a lungo il cibo”, di rallentare l’inevitabile iter di decadimento, ma semplicemente di renderlo diverso, più buono e gradevole per il nostro palato.

kimchi

Una tecnica da sempre presente in tutte le culture, nella nostra così come quella orientale: kimchi, natto, kvass o miso non sono infatti epiteti in dialetto padano o imprecazioni di cuochi sudcoreani, bensì cibi fermentati nati dall’altra parte del mondo che si stanno sempre più diffondendo nella nostra.

E che, per sovrappiù, hanno conquistato il cuore –e il palato– non solo di persone dotate di papille ordinarie, ma anche quello dei grandi chef internazionali, che oggi non mancano mai di inserirli nei loro menu.

Un interesse sempre maggiore, quello per l’antica tecnica, dimostrato anche dalla recente nascita di una rivista semestrale, “Cured” – curata da Darra Goldestein, già editrice della raffinata rivista “Gastronomica” – tutta dedicata ai cibi fermentati.

Nella rivista gli alimenti sono fotografati più volte, in tempi diversi, per permettere di osservare come le fasi del processo di conservazione agiscano sul cibo stesso, dal loro splendore iniziale fino all’inesorabile decadimento ad opera del processo di fermentazione.

cured

Così vedremo lo squillante arancione dei caki decadere pian piano in toni più neutri, più pacati, mentre la polpa va mutando consistenza per arrivare infine al prodotto finale: l’aceto di caki.

Oppure, si potrà leggere la storia di Edward Lee, chef del ristorante di Manhattan “Baroo”, che ha fatto della fermentazione la sua tecnica preferita.

O anche lasciarsi portare, grazie a foto suggestive ed affascinanti, a Nishikikoji Street, detto anche Pickle Street (la via dei sottaceti), un piccolo vicolo di Kyoto con decine di negozi di cibo in salamoia uno dietro l’altro.

Insomma, i cibi fermentati sono ovunque, da sempre, da millenni. E una ragione ci sarà.

Quella ragione, è il sapore.

Ma quali sono i cibi fermentati più diffusi e consumati? Probabilmente più di quanti immaginate. Eccone una bella carrellata, vale la pena di conoscerli. E, soprattutto, di assaggiarli.

Natto

natto

Star di tutti i cibi fermentati del mondo per effetto delle immagini spesso raccapriccianti diffuse dai foodblogger giapponesi, si ottiene facendo fermentare alcuni fagioli di soia.

E’ un’eccellente fonte di vitamine e minerali, il cui risultato finale al naso ricorda qualcosa di alcolico, pungente, tendente all’andato a male.

Ma gli italiani di ritorno dal Giappone impiegano altre parole per descriverne l’odore: “quello di un paio di Superga, indossate senza calze, dopo una quarantina di chilometri di marcia”.

Yogurt

yogurt

E’ un peccato relegare lo yogurt ottenuto da latte di mucca, oppure di capra, alla sola colazione. Lo yogurt è uno degli alimenti fermentati più versatili che esista, si adatta bene sia sul versante dolce che sul più insolito salato.

Per gli intolleranti cronici del lattosio, per i vegani e per chiunque non gradisca latte animale, da qualche anno esiste un florido mercato di bevande fermentate –chiamate, come le altre, yogurt– ma ottenute da fonti alternative.

Qualche esempio: yogurt di soia, oppure lo yogurt ottenuto da latte di cocco.

Miso

miso

 

Il miso è un prodotto ottenuto da fagioli di soia gialla, cui spesso vengono aggiunti chicchi di orzo o riso. Dopo aver ammollato e cotto i fagioli di soia, la fermentazione avviene grazie a un particolare tipo di fungo, l’Aspergillas oryzae, che interviene sugli amidi, trasformandoli in zuccheri più semplici.

Il miso è un condimento diffuso soprattutto nell’Estremo Oriente, dove si fanno scorpacciate goderecce di miso in zuppe di ramen o udon.

Il gusto è molto deciso e salato.

Tempeh

tempeh

Il tempeh (o la tempeh? Decidete voi, il web sembra dividersi sulla faccenda) è l’ennesimo prodotto ricavato dai fagioli di soia gialla. Usato da chi preferisce una dieta vegana a quella di carne, il suo impiego in cucina si è recentemente allargato ai freak innamorati del naturismo.

Si fa fermentare polverizzando i fagioli di soia, aggiungendo un acidificante, di solito l’aceto e un particolare fungo che accelera il processo.

Ha un elevato apporto nutrizionale (193kcal/100 grammi), e di primo acchito somiglia al tofu. Il sapore non è semplice da descrivere: ricorda le noci, ma anche l’aroma dei funghi.

Pane a lievitazione naturale

pane integrale

Cosa, se non il pane, il più noto degli alimenti fermentati? Batteri e lieviti lavorano alacremente per donare al pane le caratteristiche organolettiche che tutti noi conosciamo.

Lo ‘starter’ è ottenuto proprio da una miscela di lieviti e batteri. E dal tempo, ovviamente: fattore decisivo per avere un buon pane.

Sauerkraut, ovvero i crauti

panino con crauti

Diciamolo senza vergognarcene: non è che sulle tavole mediterranee ci scappino spesso i crauti. Abbinati ai grassi wurstel bianchi, ma anche a quelli classici, sono ovviamente diffusi nei Paesi del Nord, soprattutto in Germania.

La preparazione consiste nel tagliare i cavoli cappuccio a fettine sottili, da sottoporre poi a fermentazione naturale per circa 4 o 6 settimane aggiungendo sale, pepe e aromi.

Salumi

salame

Strano non averci pensato subito, vero? Eppure salame, coppa, bresaola, mortadella e tanti altri salumi sono semplicemente carni sottoposte a fermentazioni molto controllate.

Opportunamente lavorate (e insaccate, in molti casi), sottoposte a processi di essiccazione in ambienti a temperatura e umidità sotto controllo, danno vita a piccoli gioielli di sapore che fanno vacillare pericolosamente il nostro autocontrollo.

Anche per effetto dell’elevata percentuale di grasso e sale che, oltre a conservare, insaporisce notevolmente il prodotto finale. Mettici pure una bella dose di conservanti.

Insomma, da consumare con moderazione.

Conserve di ortaggi e verdure sottaceto

Sottaceti

Carote, barbabietole, zucca, funghi: chi li conosce bene sa anche come fermentarli. Sono tecniche antichissime che sfruttano la cosiddetta “fermentazione anaerobica”, data dalla salamoia, che produce i batteri dell’acido lattico con l’aceto.

Possono essere insaporiti in vario modo: con aglio, cipolle, oppure peperoncino, o ancora con audaci erbe selvatiche che avrete raccolto con le vostre stesse mani. Dopotutto, la moda del “fatto in casa” non tramonterà mai.

Kefir

kefir

Il kefir è molto usato nei Balcani, e in generale nei Paesi dell’Est. Si tratta di un sottoprodotto del latte, ricco di probiotici con un effetto benefico sul riequilibrio della flora intestinale.

La fermentazione principalmente lattica ma in parte anche alcolica si ottiene tramite l’inoculazione di lieviti che contengono un polisaccaride –il kefiran.

Si lascia fermentare per massimo 48 ore a 20 gradi; il kefir prodotto tra le mura domestiche può avere qualche grado alcolico, quello che si trova comunemente nei supermercati è reso analcolico da specifici processi produttivi.

Kimchi

kimchi

Cari filologi, potete dircelo: probabilmente la parola “fermentare” è nata in Corea, visto che proprio loro, i coreani, ne sono i maestri.

L’esistenza del kimchi risale almeno a 3000 anni fa, preparato con verdure varie e condimenti, viene spesso utilizzato come ingrediente di piatti tipici coreani.

Il kimchi più comune è fatto con cavolo cinese fermentato e peperoncino, che dà quel brillante color arancio che conosciamo.

Kvass

kvass

Bevanda diffusa nell’Est Europa, in Paesi come Slovenia, Croazia e parte della Russia, si ricava facendo fermentare pane (nero, o di segale), con acqua, zucchero e un qualsiasi vegetale, ma più spesso la frutta.

Ha un grado alcolico contenuto, sotto il 2%, viene sovente utilizzata per irrorare gli alimenti che compongono le ricette locali.

Birra e Sidro

sidro

Della birra, vista la nostra conclamata passione per quella artigianale, sappiamo tutto. Basta leggere la nostra serie: La birra artigianale spiegata bene, per trovare spiegazioni sul curioso fenomeno della fermentazione spontanea.

Il sidro è una bevanda antica molto amata nei Paesi del Nord Europa dalla diffusione crescente anche in Italia grazie alla gradazione alcolica moderata che lo rende adatto all’aperitivo, che come bevanda a tutto pasto.

E’ ottenuto attraverso la fermentazione alcolica, in questo caso dei frutti delle mele e a volte delle pere.

Mezcal

mezcal1

E’ l’altro liquore ottenuto dalla fermentazione dell’agave. Il mezcal, a differenza della tequila, si ottiene impiegando soltanto la pina, il cuore della pianta raccolta dopo 6/8 anni. Cotta in speciali forni interrati, la pina fermenta per una quindicina di giorni.

Il liquido ottenuto viene lasciato riposare in botti di legno per un periodo che oscilla dai 2 ai 7 anni, acquisendo progressivamente un colore dorato sempre più deciso. Il sapore dipende molto dal tipo di batterio che viene inoculato.

Ma una buona parte dei mezcal viene aromatizzato inserendo le larve di un coleottero diffuso in Messico durante la distillazione.

Kombucha

kombucha

E’ la cosa più simile a una bevanda proveniente da un universo alieno, grazie all’aggiunta di SCOBY (!?)

Per la precisione si tratta di un tè fermentato, molto diffuso in Cina (la parola ‘cha’ significa proprio ‘tè’, in lingua cinese), ottenuto aggiungendo una coltura di lieviti e batteri, nome in codice appunto SCOBY (Simbyotic Colony Of Battery and Yeasts). 

In Europa il kombucha è stato introdotto dai mercanti cinesi passando attraverso la corte degli Zar, che ne facevano ampio uso. La parte iniziale della parola Kombucha deriva dal nome di un medico coreano, Kombu, che curò con il tè l’Imperatore Inyko nel 415 d. C.