Davvero pensavate di salvare il mondo brucando un cespo di lattuga? O che un’insalata fresca fosse la scelta migliore per voi, per i pianeta e l’universo intero?
Nessuna di queste convinzioni sembra essere corretta.
Il Washington Post, con un articolo poi ripreso da Il Post, ha interpellato Charles Benbrook, biologo americano, che con il collega Donald Davis ha messo a punto un indicatore per misurare le qualità nutritiva dei cibi, che cataloga ogni cibo in base a quanti principi nutritivi fornisce per ogni cento calorie.
È nutriente l’insalata?
Gli alimenti in fondo alla classifica sono cetrioli, ravanelli, lattuga e sedano: in pratica le classiche verdure dell’insalata. Alimenti che essendo composti d’acqua in percentuali che vanno dal 95 al 97%, hanno un apporto nutritivo modestissimo.
Ciononostante, per la loro coltivazione vengono consumate enormi risorse, intese sia come terreno impiegato che come combustibile fossile necessario al loro trasporto. Per avere in cambio soltanto una grande quantità di acqua: un cespo di lattuga iceberg, ad esempio, contiene tanta acqua quanto una bottiglia di Evian, ed è solo un po’ più nutriente.
Il cavolo invece, che è composto per il 90% di acqua, contiene il doppio di sostanze nutritive rispetto alla lattuga.
È etica l’insalata?
In pratica come riferisce il Washington Post, l’insalata sarebbe un altro modo di trasportare l’acqua dalla fattoria alla tavola con l’aggiunta di un po’ di croccantezza.
A riprova, basta cucinare un cespo di lattuga: in breve si riduce a due cucchiaiate scarse di alimento, mentre da cruda l’effetto è più che altro scenografico e volumetrico, ma risibile nell’apporto nutritivo, perlomeno per le quantità che possiamo mangiarne per porzione.
Meglio sarebbe liberare il terreno dedicato all’insalata per coltivare alimenti dal profilo nutritivo più ricco, come cavoli, fagiolini e broccoli.
È salutare l’insalata?
Gli inganni dell’insalata non si limiterebbero, secondo i ricercatori, al grande dispendio di risorse per coltivarla e distribuirla, ma avrebbero un impatto sulla nostra salute.
Nel senso, sempre citando l’articolo del Washington Post, che l’insalata inganna le persone convinte di consumare un cibo salutare, quello che per il marketing è un “healt halo”, cioè un alimento “identificato come sano, al punto di non prestare attenzione al reale contenuto nutritivo o, ancora peggio, alle porzioni consumate”.
Una percezione cavalcata dall’industria, compresa quella della ristorazione, che si affanna a presentare l’insalata come “naturale, fresca, locale o stagionale”, interpretando esattamente ciò che il cliente vuole sentirsi dire. Ma se leviamo le foglie che fanno tanto volume nel nostro piattone di insalata mista, cosa troviamo?
Una piccola pila di gamberetti, pollo, crostini e formaggio: possiamo davvero considerare queste insalatone salutari o dietetiche?
Non basta. L’insalata è anche uno degli alimenti che genera più spreco a livello internazionale. Ogni anno ne vengono buttate 450.000 tonnellate complessive, a causa soprattutto del veloce deperimento, senza contare che negli USA, dal 1998 al 2008, a trasmettere il 22% delle malattie dovute agli alimenti sono state proprio le verdure a foglia verde consumate crude, vale a dire quelle da insalata.
Grande dispendio di terreno, apporto nutritivo irrilevante, spreco e trasmissione di malattie: cosa c’è di davvero etico e salutare nell’insalata?
[Crediti | Washington Post]