Ci sentiamo bene mentre sbocconcelliamo i nostri toast di avocado con maionese di anacardi, bevendoci su latte di mandorle a bicchierate: nessun animale è stato soppresso per il nostro spuntino, non lo abbiamo sfruttato depredandolo di carne, latte uova.
Che soddisfazione, siamo davvero etici quando mangiamo vegano.
Pensiamoci un momento: è così semplice? Basta cibarsi di polpette di soia e spezzatino di tofu per lavarsi la coscienza?
Davvero l’etica, il moto dell’animo che dovrebbe farci tendere verso il bene comune, può essere spiegata con le parole di Giulia Innocenzi che nel suo libro “Tritacarne” afferma che etica significa “non uccidere gli animali”?
Il fatto che insieme a lei lo pensino milioni di vegani nel mondo, significa che dobbiamo rassegnarci alla risposta della giornalista del Fatto Quotidiano alla domanda sul significato di etica?
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Certo, anche noi ci siamo abbeverati alla fonte di Matteo Leonardon, che sul sito The Vision è arrivato a una conclusione diversa: vegano non è etico, per niente. Né per la maggior parte della popolazione e nemmeno per l’ambiente.
Vediamo perché.
È etica la quinoa?
Per buona parte dei vegani la quinoa è un alimento da cui non si prescinde, un serbatoio di proteine che non prevede abbattimenti di mucche e vitelli.
Nutrimento principale, un tempo unico, delle popolazioni di Bolivia, Perù e in generale del Sud America, la quinoa, a causa delle esportazioni nei ricchi paesi occidentali o degli scambi commerciali con i prodotti industriali delle economie avanzate, è oggi troppo costosa per i residenti.
Il prezzo della quinoa in Perù è di 10 soles, cioè 2,70 euro, quattro volte più caro del riso e superiore persino a quello del pollo. Allo stesso tempo, privati del loro alimento principale, troppo costoso rispetto a snack, hamburger precotti e merendine, i bambini peruviani sono secondo l’Unicef tra i più colpiti dalla malnutrizione infantile, con una percentuale del 19,5%.
Anche in Bolivia il prezzo della quinoa è triplicato, oggi raggiunge i 3000 euro a tonnellata, che lievitano a 4 o 8000 per le specie più pregiate. Prezzi che la popolazione locale non può permettersi.
Aumenta anche la criminalità, che si appropria dei terreni da coltivare a quinoa con rapimenti e intimidazioni, spesso distruggendo la biodiversità delle specie vegetali, tutte abbandonate a favore della monocoltura di quinoa.
Sono etici gli anacardi?
La maionese di anacardi nelle ricette vegane sostituisce latte o formaggi.
Il 40 % degli anacardi arriva dal Vietnam, molto spesso da campi di recupero dove i tossicodipendenti sono sottoposti al lavoro forzato e obbligati a tenere un ritmo di estrazione di un anacardo ogni 6 secondi.
Per chi non riesce a mantenere il ritmo sono previste percosse con bastoni chiodati, isolamento, digiuno e privazione dell’acqua. Sono stati provati casi di torture con elettroshock, non per nulla li chiamano “anacardi insanguinati”.
Il 60% degli anacardi viene lavorato nell’India meridionale, dove le donne, sedute nella stessa posizione per 10 ore al giorno, sono incaricate di rompere il guscio esterno. Operazione che provoca spesso la rimozione dei due gusci interni, in questo modo gli anacardi rilasciano un olio caustico, l’acido anacardico, che brucia in modo permanente le pelle delle donne che non possono permettersi dei guanti protettivi.
Tutto per 2,20 euro al giorno.
È etico il latte di mandorle?
Negli ultimi 5 anni, a causa del successo ottenuto del latte di mandorle –un vero boom– il prezzo è triplicato. È molto apprezzato dai vegani perché non di origine animale ma pure per il contenuto di calcio.
La richiesta ha costretto l’Italia a importare il quantitativo necessario di mandorle dall’estero, in particolare dalla California, che produce l’82% di tutte le mandorle del mondo.
Una coltivazione intensiva che ha prosciugato le riserve idriche della California, visto che per produrre una singola mandorla servono oltre 4 litri di acqua e che la California ne produce ogni anno 950.000 tonnellate. La conseguenza è stata una siccità diffusa, con effetti devastanti su flora e fauna, che ha portato alla moria di 4 mila cervi in un anno, oltre a linci, volpi e orsi.
È etico l’avocado?
Il re delle nostre tavole, ormai nessuno ne vuole più fare a meno. Ma pochi sanno che per produrre un chilo di avocado sono necessari 540 litri di acqua, col risultato che tra mandorle e avocado la California negli ultimi 4 anni ha attraversato lunghi periodi di siccità, i peggiori di sempre.
Non va meglio per il Messico, che negli ultimi 10 anni ha decuplicato le esportazioni di avocado. La grande richiesta, a cui il paese non riesce a far fronte, ha portato a una deforestazione di circa 700 ettari all’anno per far posto alle piantagioni di avocado.
L’enorme quantità di concimi di sintesi, pesticidi e fertilizzanti richiesti dalla coltivazione degli avocado, ha inquinato le falde acquifere, con danni e disagi per la popolazione e gli animali. Senza contare le ingerenze delle organizzazioni criminali che taglieggiano i produttori con appendice di omicidi, rapimenti e stupri per chi non segue le regole
È etica la soia?
Ma il maggior danno ambientale è causato dalla soia, responsabile di buona parte della distruzione internazionale delle foreste. Per la coltivazione ogni anno viene distrutto il 3% della foresta pluviale argentina: otto milioni di ettari, l’estensione del Portogallo.
In Brasile è sparito dal ’78 a oggi l’equivalente di Italia e Germania. Considerando che la foresta pluviale produce quasi il 30% dell’ossigeno terrestre e regola il riscaldamento globale, ci si può fare un’idea dell’enorme danno ambientale causato dalle coltivazioni di soia.
Tutto ciò considerato, possiamo affermare oltre ogni ragionevole dubbio che vegano significa etico?
O non sarebbe il caso di scomodare l’etica, come fa notare The Vision, solo ed esclusivamente per il digiuno?
[Crediti: thevision.com]