Ci sono scelte nella vita che implicano un prima e un dopo. Un trasferimento ad esempio, un lavoro, un matrimonio, un figlio e così via. In questi spartiacque c’è anche la dieta, che nel suo senso originale dal greco dìaita significa proprio regime e stile di vita. Diventare vegani è una scelta che cambia non solo ciò che si mangia: è un passaggio che modifica l’intera visione del mondo, dei sistemi che lo reggono e dei valori cui si dà priorità. Ma è anche un percorso imperfetto che può avere diversi tempi di sviluppo e ragioni individuali che non sono affatto universali o scontate.
Oggi vi spiego come e perché si diventa vegani. Non in senso di guida, lungi da me da voler convincere o peggio convertire qualcuno. Piuttosto voglio spiegare che tutti i motivi sono validi, sfatare alcuni miti, normalizzare gli alti e bassi. E magari tranquillizzare chi non si sente “vegano abbastanza”. Nel farlo condividerò un po’ della mia esperienza, che come tante ha attraversato fasi alterne, compromessi e contraddizioni.
I tanti perché del diventare vegani
Si pensa che la scelta di aderire al veganismo derivi da un’eccessiva empatia verso gli animali. In questa frase è già condensato lo stereotipo e il senso di scetticismo (quell’eccessiva) normalmente rivolto alla categoria. Vi dò una notizia: ci possono essere tantissime ragioni per diventare vegani che non per forza implicano gli animali. Io ad esempio dieci anni fa ho deciso di smettere di mangiare carne, uova e formaggi per una pura questione di benessere psicofisico. Questi alimenti non mi facevano stare bene con me stessa e mi sentivo molto più a mio agio con una dieta vegana.
Ovviamente questo vale per me. Ma tanti lo fanno per una questione di salute e nutrizione a più alto livello di fibre e minor rischio di alcune malattie. L’ideologia di fondo può essere non tanto animalista, quanto anti-capitalista e ambientalista. Dai Fridays for Future in poi molti sono diventati vegani in funzione della lotta contro il cambiamento climatico, preoccupati per il livello di emissioni che la dieta onnivora comporta. C’è anche chi, pur amando molto i prodotti di origine animale, si dà a vegetarianismo ed eventualmente veganismo per una combinazione di tutti questi fattori. O ancora chi lo fa per gusto, moda, imitazione. Ogni ragione è valida, purché si accompagni alla consapevolezza che questa scelta comporta: non tanto per se stessi, quanto per il modello virtuoso che si sceglie di promuovere.
Non serve amare gli animali
Voglio sfatare il mito più mito di tutti: per diventare vegani non serve amare gli animali. Prendete me, che ho una paura atavica delle mucche, i maiali mi fanno senso, ai polli non mi avvicinerei neanche morta convinta come sono che gli uccelli tutti (ma loro in particolare) portino malattie. Eccomi qua, vegana che non accarezzerebbe mai una pecora o capra (hanno sicuramente zecche e pulci), i cani non li può vedere neanche dipinti, si definisce gattara anche se in realtà l’unico felino che tollera è il suo (peraltro non ricambiata).
Insomma, avete capito. Il punto è che la mia decisione, per come è iniziata, non aveva nulla a che fare con gli animali. Anche se in generale provo paura disgusto o diffidenza, ciò non toglie che mai e poi mai augurerei loro male o morte (vale anche per le persone). Per me e per tanti altri piuttosto sono le azioni a essere importanti: il sentimento fa sempre in tempo a evolversi e cambiare. Ad oggi, nonostante il mio non amore per gli animali, ho sviluppato una profonda empatia per il destino macabro loro riservato dal nostro sistema alimentare. Compresi i pesci, che fino a 5 anni fa (ricordate, questo è un percorso imperfetto) ogni tanto mangiavo.
Ricordo inoltre che esiste l’opposto, il “paradosso della carne” ovvero la dissonanza cognitiva di chi, pur professando amore infinito per gli animali, continua a mangiarli. A maggior ragione dico: non importa se siete vegani ma gli amici a quattro zampe proprio non sono il vostro. Ciò che conta è il rispetto, il riconoscimento della dignità della vita, l’empatia. Anche a distanza.
Non si diventa vegani dal giorno alla notte
Conosco persone che hanno smesso di fumare da un giorno all’altro. Io stessa quando ho deciso di non bere più alcolici ho semplicemente detto stop e non sono mai più tornata indietro. Tuttavia interrompere una singola azione, per quanto vizio, è tutt’altra cosa che eliminare intere categorie di alimenti in un colpo solo. Per questo esorto a non colpevolizzarsi se non si riesce a passare al veganismo totale pronti via.
Il mio percorso imperfetto mi ha fatto mantenere yogurt e kefir per quasi 7 dei miei 10 anni da vegana. Il latte fermentato, anche per i suoi benefici a livello probiotico, è stato il cibo più difficile da lasciare andare. A un certo punto, con la consapevolezza di quanto l’industria del latte sia crudele e perversa, ho deciso che non ne valeva più la pena. Il porridge o la frutta posso tranquillamente innaffiarli con bevanda vegetale, e per una densità maggiore basta aggiungere semi di lino o chia. L’ideale poi sono gli yogurt vegetali al naturale (ricerca non semplice visto che sono quasi sempre zuccherati, ma questo è il bello della sfida).
Spero che questo esempio, per quanto piccolo, possa far arrivare il messaggio che il veganismo va bene anche per gradi. Si può iniziare da vegetariani e piano piano eliminare uova e latticini. Si può mantenere un cibo animale da mangiare una volta ogni tanto, se proprio non possiamo farne a meno. E nel frattempo guardarsi intorno, scoprire quali sono alternative e sostituzioni per quando saremo pronti a rinunciarvi. Nessuno vi corre dietro o vi punta il dito. Mangiare è un atto politico diceva qualcuno, ma è anche il più intimo e personale che possiamo concepire.
Sperimentare e sbagliare
Chi si avvicina alla dieta vegana da neofita può essere intimorito, e magari chiedersi se la scelta intrapresa non sia stata un tragico errore. Questo perché viviamo in una società abbastanza chiusa dal punto di vista alimentare. La cucina buona è solo quella della nonna (vale a dire della routine), il piatto tipico guai chi ce lo tocca, novità o cibi esteri sono guardati con sospetto. Vale la pena ricordare che la “limitazione” della dieta vegana è solo una percezione, spesso fomentata dall’industria stessa.
In realtà la gamma di cereali, legumi, verdure, semi, germogli, frutta, derivati della soia e del glutine (seitan in primis), bevande, prodotti ad hoc sfornati a ritmo giornaliero dal mercato è pressoché infinita. Senza dimenticare che innumerevoli piatti tipici italiani nascono già vegani. La scelta è ampia e non lascia affamati, anzi. È comprensibile però che tolti carne, uova, formaggi ci si senta un po’ spaesati, almeno all’inizio. Per questo consiglio di sperimentare a più non posso, specialmente con i prodotti cui si è meno avvezzi. Che poi sono gli stessi (vedi tofu, seitan, tempeh) che più immediatamente riescono a sostituire gli alimenti eliminati.
Sembra un ossimoro ma è giusto anche sbagliare, sia in cucina sia nella spesa. Magari scoprite che l’amaranto proprio non vi va giù (eccomi), magari si canna completamente la ricetta delle cotolette di ceci. È tutto ok purché si costruisca il proprio palato e si capisca cosa piace e cosa no. Va bene la causa, gli animali, il pianeta: ma il gusto no, quello non è negoziabile.
Stereotipi e compromessi
La scelta vegan per alcuni può suonare come il coming out versione dieta. Chi è meno fortunato infatti può trovare scetticismo, quando non vera e propria ostilità all’annuncio: “Mamma, papà, ho deciso di diventare vegano”. Tiro in ballo i genitori perché spesso è proprio nel circolo più stretto che scatta la crisi. Vuoi per il fastidio nel dover preparare cose diverse (soluzione: cucinarsi da soli). Vuoi perché gli altri si preoccupano dei rischi di un’alimentazione percepita come “incompleta”. O ancora perché per molti la dieta vegana altrui suona automaticamente come un giudizio (negativo) verso i non vegani.
Io per un po’ di tempo mi sono dovuta sorbire provocazioni del tipo “Ma perché se io vado in un ristorante vegano non posso ordinare la bistecca?”, oppure “Adesso al bar non si trovano più cornetti normali, solo vegani”. O ancora il benaltrismo, atteggiamento adottato sistematicamente da chi si sente punto sul vivo per quello che ha nel piatto. Così, invece di guardare e riflettere sul suo, rilancia subito con: “E allora che mi dici dell’avocado?”. A parte che nessuno obbliga i vegani a mangiare questo o altri cibi considerati impattanti (poi bisogna vedere le emissioni effettive, ma questo è un altro discorso), vogliamo davvero arrivare alla guerra dei numeri? Benissimo, trovatemi le statistiche su chi mangia più avocado tra vegani e onnivori (spoiler: i secondi, visto che sono immensamente di più) e chiudiamola qui.
Tutti questi bias cognitivi ne sono il risultato. Si selezionano solo gli esempi che fanno più comodo (compreso lo stereotipo estremista del nazi vegano) per giustificare tesi completamente campate in aria, fatte per il gusto di criticare e prendersela con il mulino a vento di turno. Se capita, non bisogna abbattersi. Occorre pazienza, ragionamento logico e arte del compromesso. Sedetevi con i vostri genitori/parenti/amici, esponete loro il perché della vostra scelta senza tirare in ballo la loro. Non attaccate o criticate, piuttosto spiegate con calma quali sono le vostre ragioni. E se proprio non va, beh aspettate. Il tempo (e l’uscita di casa, l’indipendenza economica, l’evolversi delle amicizie) sistema tutto.
Vegani non si nasce, si diventa
La dieta vegana è probabilmente l’unica che richiede studio. Liberi di prendere questa decisione per qualsiasi motivo ma, come dicevo all’inizio, ci vuole consapevolezza. Perché il veganismo non nasce a caso, ma come risposta a un sistema insostenibilmente danneggiato. Anche se viene citato da Pitagora in poi, essere vegani oggi ha una portata completamente diversa rispetto a cosa voleva dire nell’antica Grecia. Non c’era stata la rivoluzione industriale, non esistevano allevamenti intensivi, non ci servivano 2,8 pianeti l’anno (l’Overshoot Day 2024 per l’Italia è stato il 19 maggio) per sostenere il nostro stile di vita.
Dunque per diventare davvero vegani tocca informarsi. Io ho cominciato a caso mi verrebbe da dire, ma negli anni mi sono fatta una cultura personale a riguardo. Grazie al cielo ho frequentato un’università che mi ha dato la possibilità di toccare con mano e senza giudizio la filiera animale, dall’ambito tecnologico a quello etico e filosofico. Ho letto, ascoltato, visto documentari, film, reportage. Da Cowspiracy in giù, passando per Fast Food Nation fino all’acclamato Food for Profit.
Ho visitato macelli, ho incontrato persone, ho mangiato ed esplorato tanto. E ci tengo a dire che nonostante tutto questo “studio” non sono un’attivista. Semplicemente una persona interessata a quello che c’è nel piatto per se stessa e per gli altri, preoccupata dal futuro e molto allarmata dal presente. Come dice il bravissimo Jonathan Safran Foer, “Possiamo salvare il mondo, prima di cena”. Basta davvero poco, anche se imperfetto.