Chi fa informazione dovrebbe tenere presente le regole basilari dell’informare. L’importanza di divulgare fatti, prima che opinioni. Certo, ogni giornale ha una sua linea editoriale, che inevitabilmente inciderà sui toni. E certo, noi giornalisti non siamo ChatGPT, e possiamo dare una nostra lettura critica dei fatti. Purché i fatti non vengano distorti e restino lì a faro di quello che raccontiamo.
Questi principi sono basilari, e non solo per le testate giornalistiche e per i giornalisti iscritti all’ordine, ma per chiunque voglia dare notizie. Insomma, anche le associazioni come Coldiretti dovrebbero tenerne conto, nella misura in cui fanno informazione con i loro post, news o articoli, pure se a scriverli non sono giornalisti, e pure se i loro siti non sono giornali. Se c’è da dare un’informazione al pubblico da parte di un soggetto autorevole, le buone regole sarebbero da tenere presenti. Altrimenti, il diritto del lettore a essere informato correttamente viene meno.
Prendere un informazione e leggerla in senso univoco, selezionando solo la parte della notizia che più ci garba, è una pratica che evidentemente mette in discussione tutto quanto detto fino a ora sulla buona informazione. Eppure, capita spesso, ma fa ancora più rumore quando a farlo è un’associazione ben in vista e stimata come Coldiretti.
La carne colturale inquina o no?
Prendiamo l’esempio del tema della carne colturale (che, a differenza nostra, Coldiretti si ostina a chiamare “sintetica”). È notizia di ieri (e l’abbiamo riportata anche noi) che uno studio americano sostiene la possibilità che la carne colturale sia dalle 4 alle 25 volte più inquinante di quella animale, con buona pace di quanti fino a oggi hanno sostenuto che fosse un’alternativa meno impattante sull’ambiente.
Studio che – come ricorda il collega che ha firmato la nostra news – è stato pubblicato sul sito bioRxiv, piattaforma che raccoglie i lavori che ancora non hanno superato lo scrutinio della comunità scientifica. Insomma, trattasi di uno studio, ancora da verificare, e che – udite udite – dice sostanzialmente cose che in parte già sapevamo. Nel 2019 infatti, l’Università di Oxford (l’Università di Oxford) aveva spiegato piuttosto chiaramente che “le tipologie attualmente proposte di carne coltivata in laboratorio non possono fornire una panacea per gli impatti climatici dannosi derivanti dalla produzione di carne” e che le proiezioni sull’impatto climatico della carne colturale sono ancora incerte, perché dipenderanno da fattori diversi e da dati che ancora non abbiamo. Quale sarà la domanda? Quali saranno i metodi di produzione? Quale sarà la disponibilità di fonti energetiche a basse emissioni di carbonio per realizzarla? Insomma: è – come per tante altre cose su questo argomento – ancora presto per dirlo con sicurezza. Lo dice Oxford eh, non Coldiretti.
Ambiente: la carne sintetica inquina 25 volte di più
Invece, Coldiretti ha già deciso. “Ambiente: la carne sintetica inquina 25 volte di più”: così titola oggi nella home page del suo sito, raccontando i risultati dello studio. E se capiamo che i titoli, per necessità di sintesi, talvolta possono essere incompleti, ci si aspetterebbe un po’ più di precisione nel testo. Invece no: i risultati di uno studio vengono presi per unico parametro di riferimento, concludendo – con una sicurezza che neanche la comunità scientifica internazionale ha – che “Il risultato è che la produzione della carne in laboratorio è più impattante dal punto di vista ambientale della zootecnia tradizionale”.
Di più: perfino il Rapporto pubblicato dalla Fao e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla carne colturale viene letto in maniera parziale. Nello stesso articolo in cui si cita lo studio sull’impatto ambientale, Coldiretti fa infatti notare che Fao e Oms “hanno individuato ben 53 pericoli potenziali per la salute, dalle allergie ai tumori, per i cibi a base cellulare”. E lo fa contravvenendo a quanto espresso esplicitamente dal rapporto “Food safety aspects of cell-based food” che cita, in cui Fao e Oms mettono in guardia sul non confondere “pericoli” e “rischi”. I pericoli, sostanzialmente, sono spesso evitabili prendendo le dovute precauzioni, che sono poi le stesse che si prendono per tutti gli altri prodotti alimentari, che infatti hanno più o meno gli stessi pericoli potenziali trovati nella carne colturale. Tra i 53 rischi potenziali per la salute individuati da Oms e Fao, per fare un esempio, c’è anche quello di contaminazione con oggetti estranei che potrebbero inserirsi nel processo di produzione: una cosa che può succedere con qualsiasi prodotto confezionato. Insomma, i 53 rischi individuati dal rapporto non sono esclusivi della carne coltivata, ma comuni a diversi altri alimenti e – su questo il rapporto è molto chiaro – esistono già i metodi per contrastarli, come ad esempio il rispetto delle norme HACCP. Dunque no, la Fao e l’Oms non condannano la carne coltivata, bensì spiegano quali sono le sfide eventualmente da affrontare nel percorso verso la sua eventuale e futura messa in commercio. Ometterlo è, senza mezzi termini, cattiva informazione, e non capiamo a quale titolo un’associazione storica e rispettata come Coldiretti debba farla.